Terra d’Eclano: il concetto di grande vino realizzato da Quintodecimo

Per il professor Luigi Moio, ordinario di Enologia presso il Dipartimento di Scienza degli Alimenti dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, Quintodecimo è la realizzazione del desiderio di mettere in pratica e far diventare realtà il concetto di “grande vino”.

Giacomo Pelatti

Tratto da www.aismilano.it

Una nozione interiorizzata e maturata in Francia, durante il dottorato di ricerca nel Laboratoire de Recherche sur les Arômes dell’Institut National de la Recherche Agronomique di Dijon, nel cuore della Borgogna.

Ma come si realizza un grande vino? Tutto parte, necessariamente, dall’armoniosa unione tra un grande terroir e uno o più vitigni individuati che su di esso possono esprimere il loro meglio in una commistione nata naturalmente, solidificata nel tempo e cristallizzata nella storia vitivinicola mondiale. Un binomio così armonico da non necessitare di un eccessivo intervento umano, nel quale l’enologo si limita ad accompagnare l’uva a diventare un grande vino, perfettamente equilibrato nelle sue componenti organolettiche. Un esempio, secondo il professor Moio, sono i pinot noir e chardonnay provenienti dalla Borgogna, un terroir famosissimo dal quale provengono vini tra i migliori al mondo. Al contrario, nel caso occorresse lavorare molto in cantina, non si avrebbe una situazione ottimale e, dunque, sarebbe sì possibile far diventare il vino “corretto”, “buono”, ma non potrebbe mai assurgere al rango di “grande”.



Dove mettere in pratica questa teoria? La decisione ricade sulla natia Campania, precisamente in Irpinia perché, per Moio, quest’ultima «ha qualcosa in più rispetto alle altre» per realizzare vini di alta qualità. La scelta necessariamente cade sugli autoctoni fiano, greco e falanghina per i bianchi e aglianico per i rossi, vitigni che hanno consolidato nei decenni la loro presenza su questo terroir, raggiungendo così quell’armoniosa unione. Da tutto questo nasce, nel 2001, l’azienda Quintodecimo il cui operato non contempla l’uso di diserbanti o concimi, la vendemmia è rigorosamente manuale e nel 2019 sarà si compirà la conversione biologica.

L’aglianico è l’uva in cui tutte le componenti convivano in armonia in particolare il tannino, l’elemento costantemente monitorato dal professore, tanto da reputarlo la discriminante decisiva di un importante vino rosso. Da questo vitigno, simbolo della Campania, vengono prodotti due Taurasi Riserva DOCG da altrettanti cru: Vigna Quintodecimo, dai suoli composti da argille espandibili ricche di calcare, e il Vigna Grande Cerzito, di netta impronta vulcanica. Inoltre, viene prodotto anche un Irpinia Aglianico DOC, il Terra d’Eclano, frutto di una selezione di grappoli provenienti da tutti i vigneti di proprietà coltivati ad aglianico.

Le scelte agronomiche comprendono la forma di allevamento cordone speronato, una densità per ettaro di circa 5000 viti, potature corte per avere solo 5 grappoli per pianta, e vendemmia anticipata di qualche giorno per evitare un accumulo eccessivo di tannini. In cantina, le decisioni ricadono sulla diraspatura totale, fermentazione alcolica con lieviti selezionati e macerazione sulle bucce di circa 15 giorni in serbatoi di acciaio lunghi e stretti, con rimontaggi leggeri, il tutto per evitare un’estrazione eccessiva dei tannini. Successivamente, il vino viene collocato in barrique di rovere francese nuove per almeno il 50% per il Terra d’Eclano e l’80% per i due cru, con travasi ogni tre mesi e una permanenza totale di 12 mesi per il primo e almeno 18 mesi per gli altri due. Da sottolineare i pochissimi i solfiti aggiunti, pari a 35 mg/L.


A testimonianza di quanto espresso a parole, una verticale di ben dieci differenti annate dell’Irpinia Aglianico DOC Terra d’Eclano ha permesso di verificare se il desiderio di Moio è stato esaudito.

L’annata 2015, con il suo rosso rubino intenso, i profumi tipici dell’aglianico di questa terra come la ciliegia e i frutti di bosco, la violetta, le spezie, soprattutto il pepe nero, e un tocco di liquirizia esplicita quanto espresso in precedenza. All’assaggio i tannini sono integrati, con buona morbidezza e un’acidità che dona un’ottima bevibilità, dal lungo finale fruttato e tostato.

La 2014 presenta un naso più compatto, meno rivelato, con note di frutta scura, spezie e uno sfondo di sottobosco; in bocca è più equilibrato del precedente e la persistenza è molto soddisfacente.

Piacevole l’impatto affumicato della 2013 con sentori di coriandolo, incenso e cioccolato, fruttato e floreale di viola sullo sfondo; il tannino è soffuso e la freschezza è piacevolmente in prima linea, invitandoci a un altro sorso.

La complicata annata 2012 sfoggia un colore che guarda al granato e un’intensità olfattiva soffusa, balsamica. Struttura leggera e persistenza inferiore ai campioni precedenti.

Con la 2011 si torna a profumi intensi e complessi, ciliegia e lamponi, violetta appassita, chiodi di garofano e cacao; anche il sorso è più corposo, setoso, equilibrato e persistente.

La 2010, dal rubino ancora compatto, è balsamica, con frutta e fiori rossi macerati, speziata e ricca di liquirizia; in bocca è piena, equilibrata, con un tannino mirabilmente integrato, e dalla lunga persistenza.

La non certo semplice annata 2008 ci dà un colore granato, note balsamiche, caffè, liquirizia e ciliegia matura, corpo di media struttura e una persistenza sufficiente.

La calda 2007, dai sentori di frutta macerata e in confettura, viola appassita e spezie scure, perde nella freschezza, ma ha tannini e struttura di prim’ordine.

L’annata 2006 gioca su profumi balsamici, fruttati e floreali maturi e pepe rosa; all’assaggio è corposo, con durezze ottimali e grande lunghezza.

Concludiamo la serata con la prima annata di Terra d’Eclano, la 2004, dal colore pienamente granato, note tostate e di spezie dolci, ciliegia sotto spirito. Buona la freschezza, il tannino è presente e la persistenza soddisfacente.