Vernaccia di San Gimignano: regina bianca, nobile e ribelle
Racconti dalle delegazioni
06 ottobre 2025

Guidati da Valentino Tesi, Miglior Sommelier d’Italia 2019, andiamo alla scoperta dell’anima bianca della Toscana del vino: la Vernaccia di San Gimignano. Un viaggio sensoriale attraverso sette interpretazioni di questa storica denominazione, per comprendere a fondo l’evoluzione, la struttura e la sorprendente capacità di invecchiamento di un bianco che ha fatto la storia dell’enologia italiana.
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Nel cuore della Toscana, tra le torri medievali di San Gimignano, piccolo borgo a metà strada tra il Mar Tirreno e gli Appennini, nasce uno dei vini bianchi più affascinanti e identitari del panorama enologico italiano: la Vernaccia di San Gimignano. La posizione felice gode dell’influsso del mare da Volterra e, grazie all’Appennino, della protezione da fenomeni meteo avversi, assicurando così condizioni ottimali di luce e di ventilazione.
Prima DOC della storia enologica italiana nel 1966 e DOCG dal 1993, questo vino è il più antico della Toscana e il più apprezzato nella storia. Citata da Dante nella Divina Commedia e celebrata da poeti e cronisti rinascimentali, la Vernaccia ha attraversato i secoli mantenendo una forte identità territoriale sebbene poi, tra gli anni ‘80 e ‘90 del Novecento abbia vissuto un periodo di declino in termini di immagine.
Nonostante sia un borgo molto piccolo, San Gimignano ospita più di 3 milioni di turisti all’anno. Al termine della visita, la scelta del souvenir da portar via con sé non può che ricadere sulla Vernaccia, il prodotto più identitario del luogo. Per questo motivo, e suo malgrado, ha però acquistato la fama, in senso dispregiativo, di “vino per turisti”. La campagna di riposizionamento da parte del Consorzio di Tutela nasce quindi dall’esigenza di restituire alla Vernaccia il prestigio che le appartiene, quello di regina bianca, unica, nobile, ribelle. Bianca perché la Vernaccia, racchiusa in una specie di isola cromatica, è l’unico grande vino bianco in Toscana, notoriamente terra di rossi blasonati. Unica in quanto, a differenza di altri areali per i quali esiste una zona di elezione e altre di ricaduta, la vernaccia è allevata solo ed esclusivamente nella zona collinare attorno al borgo. Nobile va da sé, mentre il titolo di ribelle se lo aggiudica proprio per la resistenza opposta ai vicini di casa: Chianti, Chianti Classico, Chianti Colli Senesi.
Lo skyline del borgo di San Gimignano, patrimonio UNESCO dal 1990, è iconico, assimilabile a quello di una “Manhattan del Medioevo”. Le 13 torri, che nel 1300 erano 72, rivendicano orgogliosamente il ruolo ufficiale di rappresentanza diventato, ad onor del vero, ridondante nelle etichette dei prodotti locali. Una gara di visibilità ingaggiata all’epoca dai mercanti fiorentini in terra senese, per erigere la torre più alta e più bella che spiccasse nel panorama bucolico circostante completamente disegnato da uliveti e vigneti coltivati prevalentemente a vernaccia.
Il Consorzio di tutela
La produzione di Vernaccia è limitata: 4,6 milioni di bottiglie immesse sul mercato nel 2023 ottenute da meno di 1.000 ettari vitati. Di queste, la metà è destinata al mercato italiano, con una quota importante venduta nel borgo mentre l’altra metà viene esportata soprattutto in Germania e Stati Uniti. Oggi si contano 196 produttori, di cui 123 viticoltori in proprio. Circa 70 sono gli associati al Consorzio di Tutela, nato nel 1972 e guidato nel tempo da figure di rilievo, primo fra tutti il principe Strozzi, tra i fondatori e due volte Presidente dello stesso. La sede del Consorzio ospita, al piano terra, un’enoteca con le etichette dei consorziati, dove si possono seguire le degustazioni a cura dei sommelier residenti. Al primo piano si trova il museo 3D - dove è possibile usufruire della Vernaccia Wine Experience – insieme a documenti, oggetti e attrezzature del passato.
Una timeline densa
Del vitigno si dice sia stato acquisito da “Vernazza”, paesino sito nelle Cinque Terre, ma in realtà la sua origine non è certa. La matrice etimologica vuole che il termine “vernaccia” derivi da “vernaculum”, cioè “del posto”, concetto condiviso con tutte le vernacce. Un’altra teoria lega l’antico vitigno agli Etruschi che lo avrebbero portato dall’Oriente. Qualsiasi sia la provenienza, a certificarne l’età e il censo di prodotto di lusso è il Libro delle gabelle del 1276, consultabile al museo di San Gimignano. Per un mero esercizio di benchmarking si noti che il primo documento che cita il Chianti risale al 1398.
La Vernaccia compare nel Canto XXIV del Purgatorio della Divina Commedia, nei versi in cui, nella cornice dei golosi, Dante incontra Forese Donati, suo amico fiorentino, il quale fa riferimento a Papa Martino IV dicendo: «Questi è il padre Messer Martino, che del Vernaccia e dell’anguille di Bolsena fu sì ghiotto, che quivi è stato fino». Oltre ad essere una delle prime menzioni letterarie di un vino italiano specifico, la citazione conferma la notorietà e il prestigio della Vernaccia che già all’epoca veniva considerata un vino per palati raffinati. Boccaccio la cita nel Decameron come cura per lo stomaco e come fiume fantastico nel “paese di Bengodi”. Anche Cecco Angiolieri la menziona in tono goliardico, mentre nel 1487 Ludovico il Moro ne ordina 200 fiaschi per le nozze di Gian Galeazzo Visconti e Isabella di Napoli. Nel 1541 il bottigliere di Papa Paolo III, Sante Lancerio, la definì “bevanda da Signori”, lamentandone la scarsità. Nei versi de L’Aione (1643), il poeta Michelangelo Buonarroti il Giovane ne esalta la forza sensoriale: «lecca, bacia, morde e punge», segno della sua ricchezza gustativa tra dolcezza, acidità e astringenza.
Nel ‘500 la Vernaccia trionfa. Nel cuore del potere mediceo, il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio - affrescato da Giorgio Vasari - custodisce una formella allegorica raffigurante San Gimignano e Colle Val d’Elsa in cui un satiro gusta la Vernaccia: un omaggio alla nobiltà del vino locale con chiari rimandi ai riti bacchici della cultura classica.
Nel ‘700 arrivano da Venezia la Malvasia, i vini grecizzati, aromatizzati, divenuti di gran moda assieme al caffè, al tè e ad altre bevande. Nonostante il declino l’uva non sparisce mai dai filari. Già nel Novecento, Ugo Nomi Venerosi Pesciolini, fondatore dei Musei Civici e della Biblioteca di San Gimignano, annota sulla vernaccia: «qualche raro possidente ne serba alcun poco, o per curiosità o per gratificarne gli amici, ma è cosa piccolissima e non si commercia; tiensi quasi come il rosolio».
Nel 1930 l’unica fattoria a tenere in vita la vernaccia era la fattoria di Pietrafitta dei Principi di Savoia. Dopo la devastante stagione della fillossera il prof. Carlo Fregola, Reggente della Cattedra Ambulante di Agricoltura di Colle Val d’Elsa segnalò l’esistenza di viti di vernaccia «sparse nei filari in quasi tutte le zone» di San Gimignano e invitò i contadini locali a partecipare al recupero del vitigno. L’appello fu accolto e il successo fu tale che, nel 1966, la Vernaccia di San Giminiano divenne il primo vino italiano a ottenere la DOC, o meglio, fu il primo vino italiano DOC iscritto in Gazzetta Ufficiale.
I suoli
Il terroir di San Gimignano è caratterizzato da una complessa stratificazione geologica che influenza profondamente le caratteristiche organolettiche della Vernaccia. Cinque milioni di anni fa San Gimignano si trovava nell’ultimo lembo del Mar Ligure e quindi i suoli pliocenici dominano la zona, con una prevalenza di sabbie gialle e argille, mentre nelle aree più antiche affiorano formazioni triassiche con calcare cavernoso rossiccio. Le zone collinari si distinguono in aree a sud e sud-ovest con suoli argilloso-calcarei e sabbie gialle, a nord-est suoli più sabbiosi e silicei mentre nelle alture centrali si trovano terreni misti e con una buona ventilazione. Questa varietà pedologica, unita a microclimi, altitudini tra 67 e 629 m s.l.m. ed esposizioni diversificate, consente alla vernaccia di esprimere profili sensoriali molto variegati.
Il vitigno
Il vitigno non mostra affinità genetiche con altri vitigni italiani, a conferma della sua singolarità. La Vernaccia prodotta si distingue per caratteristiche estranee al paradigma dei vini bianchi: è austera, strutturata, con aromaticità scarsa ma ricchezza minerale e sapidità decise, non ha profumi facili né immediatezze fruttate. È un vino che si esprime pienamente con il tempo le cui doti sono sapidità, eleganza e longevità.
Nella produzione non prevale un unico stile interpretativo. La tendenza moderna è quella utilizzare materiali inerti anche nelle Riserve per lasciare intatte le caratteristiche del vitigno anche se ha dimostrato di avere lo spessore e la qualità saper accogliere il legno piccolo o grande e addirittura anche nuovo.
Il disciplinare di produzione, redatto secondo le tendenze del passato nutrite dalla reverenza verso il mercato dominato da bianchi aromatici, è ora oggetto di una revisione. Si chiede di esaltare l'identità e l’autenticità del prodotto laddove l'attuale normativa prevede minimo 85% di vernaccia, ma consente l’aggiunta fino al 15% di chardonnay. Questa scelta è giudicata incoerente da molti addetti ai lavori poiché non mette in risalto la tipicità. Eppure, già nel 1966, si erano intuite la grandezza e la potenzialità evolutiva della Vernaccia con l’introduzione della menzione Riserva: un unicum tra i bianchi toscani. Unica anche nelle procedure, la Riserva va dichiarata al momento della vendemmia e non in cantina. È una scelta di campo, un gesto di fiducia verso il vigneto e le sue uve. Spesso la Vernaccia nasce da singoli appezzamenti, selezionati con cura, facendo sì che tutta la filiera, dalla vinificazione all’imbottigliamento, avvenga all’interno del Comune, esaltando il legame del vitigno con il suo terroir.
La degustazione
Vernaccia di San Gimignano DOCG 2024 - La Lastra
Nadia Betti, vicepresidente del Consorzio, trentina, diplomata in agraria all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, arriva nel 1994 a San Gimignano assieme al marito e a un gruppo di amici con i quali acquista un terreno a circa 260 m s.l.m. che insiste sulle sabbie gialle. Nasce così l’azienda biologica La Lastra.
La Vernaccia in degustazione accoglie il 2% di malvasia bianca lunga del Chianti e trebbiano, proprio le uve del Vin Santo che anche a San Gimignano si fa. La vinificazione e l’affinamento si svolgono in acciaio a cui seguono 2 mesi in bottiglia.
Il colore è impalpabile, tenue. Timida al naso, svela in sottofondo un agrume vivo, amaro con sentori di pompelmo, buccia di limone grattugiata, fiori amari. Nulla che viri al dolce, niente che accomodi l’olfatto; rimane il rustico e l’amaricante. Si affaccia poi un vegetale freschissimo, identitario che sa di asparago di mare, di salicornia, di salsedine. Al palato una lieve nota rotonda, morbida, data dalla malvasia. Poi torna il pompelmo, vibrante e citrino con la mandorla fresca ma non c’è la persistenza fruttata tipica del vino bianco. Il finale è ruvido, grintoso con nota dissetante a ricordo del chinotto. Non propriamente da abbinare a un primo piatto a base di vongole.
Vernaccia di San Gimignano DOCG Fiore 2023 - Montenidoli
Montenidoli è stata una delle prime aziende a credere nel potenziale di questo vino già dagli anni Sessanta del secolo scorso. Fondata da Elisabetta Fagiuoli, figura schietta e tutt'altro che accomodante, l’azienda è stata raccontata anche da Luigi Veronelli ne I vignaioli storici del 1989. Elisabetta, laureata in storia dell’arte a Parigi, insieme al marito insegnante, si trasferisce a San Gimignano dove scopre una zona di vigneti antica e abbandonata, un luogo carico di storia, ex insediamento etrusco, poi romano e infine proprietà dei Templari che vi producevano vino per la messa. Qui passa la Via Francigena, e il nome stesso della tenuta - Montenidoli, “monte dei piccoli nidi” - evoca una dimensione intima e naturale. Fin da subito la sua visione ha adottato pratiche biologiche, l’utilizzo di compost con lombrichi, l’allevamento dei conigli per il letame, l’inerbimento naturale nei filari. I vigneti di Montenidoli giacciono su suoli di calcare rosso del Triassico a 400 metri di altitudine, in un contesto pedoclimatico straordinario.
La Vernaccia Fiore ha caratteristiche uniche: è ottenuta esclusivamente da mosto fiore, la parte eletta del succo d’uva, senza passaggi in pressa o torchio.
Colore brillante attraversato da vene verdoline, giovani e fresche. Il naso sorprende per l’eleganza asciutta e la tipicità: l’esordio è vegetale e balsamico, con note di lemongrass, citronella, timo mediterraneo e una sfumatura resinosa, quasi di pruina di pinolo. Nessuna concessione a sentori maturi: prevalgono il cedro, la nespola, il biancospino, accompagnati da un agrume teso e vibrante. Sul fondo cristalli di salgemma e sbuffi d’aria densa di salsedine come quella prodotta da una tempesta marina. Accenni di torba e fumo chiudono il bouquet. Al palato un’acidità ben integrata, agrumata e vibrante con rimandi alla mela Granny Smith, alla susina acerba e a una polpa croccante di frutti bianchi. Pur provenendo da colline boscose questo vino sembra aver respirato il mare: sapido, verticale, profondamente territoriale. La sensazione avvolgente e calorica non pesa, grazie a un equilibrio sorprendente. La persistenza è lunga, e la longevità quasi una garanzia. Perfetta con carni bianche poco salate, in piatti dove il vino diventa il condimento, questa Vernaccia rappresenta un esempio autentico e puro dell’identità del vitigno. Negli abbinamenti moderni si sta rivelando particolarmente interessante anche con la cucina asiatica.
Vernaccia di San Gimignano DOCG Rialto 2022 - Cappella Sant'Andrea
L’amore di Flavia e Francesco nasce sullo sfondo dell’eredità contadina di Giovanni Leoncini, mezzadro e uomo della terra. Il nonno di Flavia, acquistato un podere nella zona di Casale sotto il borgo di San Gimignano vi si stabilì come contadino per poi affidarsi ai grandi nomi dell’enologia toscana, Paolo Salvi e Giulio Gambelli, per acquisire i fondamenti della vitivinicoltura. Nel 2006, Flavia e Francesco vendemmiano per la prima volta in autonomia, forti dell’insegnamento del nonno e di un patrimonio ampelografico raro, composto da viti antichissime, alcune ancora maritate agli alberi.
Tra i vigneti di Cappella Sant’Andrea, spicca Rialto, il più vecchio, con viti di 50 anni da cui il cru, voce della terra e della memoria. La loro è un’agricoltura sostenibile e rispettosa: allevano capre e utilizzano i residui organici come fertilizzante, chiudendo un ciclo virtuoso fra allevamento e vigneto. Il 2022, segnato dalla siccità e da vendemmie anticipate, è stato un anno difficile per i rossi della zona, molti dei quali non sono usciti sul mercato. Ma la Vernaccia, fedele alla sua resilienza antica, ha retto con forza, consegnando un’annata intensa e sincera. Il mosto ha subito 20 ore di macerazione a freddo per estrarre complessità senza cedere polifenoli: il risultato non è un vino orange, ma una Vernaccia profonda e autentica, affinata 12 mesi sur lies e 6 in bottiglia, rigorosamente non filtrata.
Il colore è paglierino tenue, ma il naso dice intensità. I profumi aprono su nespola, mela verde e cedro maturo, accompagnati da note floreali amare di fiore di cedrina e agrumi balsamici come bergamotto ed eucalipto. Emergono poi sentori di alghe verdi, salicornia su uno sfondo di ghiaia e pietra focaia, e in ultimo, evanescenti sfumature affumicate. I profumi mediterranei di pino, erbette aromatiche, aria salmastra preparano il palato a un sorso avvolgente, denso, che richiama nespola matura, cedro candito, erba cipollina. In bocca peso, struttura e pseudo-calore si allargano e danno il senso del corpo. Perfetto con coniglio in umido alle olive, salsa bianca, ribollita, lampredotto, piatti di quinto quarto. È un vino pronto che gioca con eleganza sulle durezze senza mai risultare disarmonico. Un bianco di identità e profondità dal finale lungo e persistente.
Vernaccia di San Gimignano Riserva DOCG Vigna a Solatìo 2019 - Casale Falchini
La Vernaccia di San Gimignano è anche legno, ed è soprattutto innovazione. Gran parte di questa trasformazione si deve all’incontro tra Riccardo Falchini, ingegnere edile di Prato, e Giacomo Tachis, nome di spicco dell’enologia italiana. L’ing. Falchini lavorava per il marchese Antinori quando incontrò Giacomo Tachis, allora impegnato con idee avveniristiche nella realizzazione della nuova Cantina Bargino a San Casciano. L’ingegnere le giudicò impraticabili, ma da quel confronto nacque un’amicizia duratura e una collaborazione che avrebbe cambiato il destino della Vernaccia. Avendo diversificato i suoi investimenti nel vino, Falchini affidò a Tachis la consulenza tecnica. Fu l’inizio di una rivoluzione silenziosa: via il legno di castagno, che rilasciava tannini amari, dentro l’acciaio inox a temperatura controllata e fine della macerazione sulle bucce. Nel 1968 nasce così la Vernaccia moderna, pulita, elegante, capace di parlare anche ai mercati internazionali. Negli anni ’70 del Novecento, la cantina Falchini era la più moderna della zona ma non finì lì: l’enologo ebbe l’idea di spumantizzare la vernaccia adottando il Metodo Classico e introducendo chardonnay. Nacque il Falchini Brut, un prodotto raffinato, seguito dal celebre Campora, un Cabernet Sauvignon pluripremiato.
Il cuore della filosofia Falchini resta però la storica Riserva ottenuta da un singolo vigneto, Solatìo, con esposizione in pieno sud. L’annata 2019 è considerata tra le più longeve mai prodotte. Fermenta in barrique nuove, poi resta nelle stesse barrique per 8–10 mesi eseguendo regolarmente bâtonnage e poi sosta 4–6 mesi in bottiglia: una tecnica di matrice borgognona, oggi rara ma efficace.
Dorato tenue, luminoso con residui verdolini. Al naso l’utilizzo del legno è inequivoco: tostatura vanigliata, bacca di vaniglia, un ricordo di pasta frolla agli agrumi. Ma occorre attendere, lasciare che il vino si apra nel calice. La Vernaccia si rivela pian piano, con note di ananas fresco, susina gialla, melone, nespola matura, agrume candito. I fiori gialli sanno di tisana. Poi, a sorpresa, la vaniglia svanisce: emergono i gusci di ostriche, la salsedine marina, fieno, paglia, zenzero grattugiato. Il finale olfattivo è inebriante: profumi cerealicoli, fiocchi di avena Kellogs zuccherati, salvia, maggiorana, erbe aromatiche. Il legno è presente ma non domina, anzi accompagna e valorizza la Vernaccia, senza appiattirla. In bocca è giovane, vivo, ha verve acida che rimbalza tra frutta matura, agrumi canditi ed erbe balsamiche. È un vino in piena evoluzione: tra 10 anni al suo apice, ma capace di arrivare ai 20.
Vernaccia di San Gimignano Riserva DOCG Sant'Elena 2018 - Teruzzi
Le Cantine Teruzzi nascono nel 1974 a San Gimignano grazie alla visione di Enrico Teruzzi, ingegnere con una forte passione per il vino, e di sua moglie Carmen Puthod, ballerina alla Scala di Milano. Fin dall’inizio l’obiettivo era rilanciare la Vernaccia di San Gimignano, di cui oggi Teruzzi è il principale produttore con 60 ettari dedicati. Nel 2005, l’azienda viene acquisita dal Gruppo Campari, che punta su quantità e successo commerciale. In questo periodo nasce il best seller Terra di Tufi Terruzzi e Puthod, blend di vernaccia e chardonnay. Nel 2016 Campari abbandona il comparto dei vini fermi e vende Teruzzi (insieme a Sella & Mosca) al gruppo Terra Moretti, già proprietario di Bellavista. Sotto la nuova proprietà, Teruzzi cambia volto: punta su qualità, territorialità e sostenibilità, ottenendo anche la certificazione Equalitas. Una figura chiave in questa transizione è Alessio Gragnoli, agronomo e responsabile tecnico, che scopre le potenzialità di una parcella speciale, Vigna Sant’Elena, situata a 300–350 m di altitudine su suoli argillosi, in località Racciano.
È proprio lì che nasce la Riserva Sant’Elena, affinata 18 mesi in acciaio sulle fecce fini, dimostrando come la Vernaccia possa evolvere nobilmente anche senza barrique. L’annata 2018, fresca e piovosa, è esemplare: l’evoluzione è lenta, in ossidoriduzione, e Gragnoli tiene in cantina annate ferme proprio per mostrare la capacità di invecchiamento del vino. Oggi Teruzzi rappresenta un nuovo equilibrio tra tecnologia e territorio, tradizione e innovazione, restituendo alla Vernaccia una voce autentica e moderna.
Paglierino con accenni dorati, difficile attribuirgli un’età. È un vino che sfida il tempo, rimanendo vivo, vitale, energico. Al naso colpisce per la ricchezza espressiva: frutta matura ma ancora fresca, mandorla in tutte le sue versioni (fresca, in pasta, tostata) e poi nocciola, marzapane, fiori amari e secchi. La componente minerale pulsa alghe, sale, poi torba, maggiorana, echi balsamici, cereali come avena e orzo, insieme a sentori agrumati eleganti e penetranti: bergamotto, lime maturo, chinotto. In bocca è altrettanto vibrante, con una trama amaricante agrumata e dissetante, che ricorda il pompelmo, l’anice verde. La struttura è cerealicola e persistente, con un finale elegante e mai invadente. Nella dinamica tra acidità, alcol e sapidità, nessuna sovrasta. È un vino che non stanca, deciso, complesso, non ammiccante, risultato di una scelta di sottrazione: niente legno, 18 mesi in acciaio, nessuna scorciatoia aromatica. È il frutto di una visione nuova che affida alla sola materia prima e al tempo la responsabilità dell’evoluzione. Un’idea opposta a quella barrique-centrica ma non meno ambiziosa, una sperimentazione silenziosa, che guarda lontano.
Vernaccia di San Gimignano Riserva DOCG La Ginestra 2017 - Azienda Agricola Signano
Immaginiamoci per le colline di San Gimignano a bordo di una Panda rossa con 10 centimetri di terra sul fondo. Alla guida c’è Malrico Piacini, vicepresidente onorario del Consorzio, un libro parlante più utile di qualsiasi guida. Sa tutto. Ma proprio tutto. Cose che nei libri non ci sono, aneddoti, storie, battute, fatti dimenticati: è la memoria storica del territorio, da ascoltare e ricordare. Il vino è una questione di famiglia. Tutto è cominciato col padre, tra vino e bestie allevate in terra pliocenica. Il suo stile è schietto ed artigiano: utilizza le barrique ma nessuno sa se siano nuove o di secondo passaggio. Il suo vino più rappresentativo è La Ginestra, l’arbusto simbolo di San Gimignano. Matura 12 mesi in barrique con un ulteriore affinamento in bottiglia. L’annata in degustazione è stata estremamente siccitosa, ma il vino ha tenuto bene.
Si presenta dorato, con la sfumatura luminosa tipica del legno piccolo, preludio a un’esplosione sensoriale. Effetto wow il primo impatto: un’esplosione intensa e generosa, una giostra di dolcezza e agrumi. Profuma di crema bruciacchiata, mou, caramelle Alpenliebe, crostata al limone appena sfornata. Poi si infittisce di erbe aromatiche secche come timo, rosmarino. Fanno capolino ginestra e fiori gialli appassiti che sfumano nel miele di eucalipto, note balsamiche e una punta di tabacco biondo. Le caramelle al limone e all’orzo chiudono il cerchio di un naso pirotecnico, senza una traiettoria univoca. È una Vernaccia anarchica, proprio come il suo vigneron. È biologica? Chi lo sa! Ma di certo è viva, autentica, senza trucco. Al palato, riaffiorano note di frolla bagnata in liquore agli agrumi, con suggestioni di miele e pasticceria. È un vino che non aspira all’immortalità ma ci arriva comunque, per personalità e tenacia. Abbinamento? Cucina indiana, spezie, piccante. Ci vuole un contrasto, una sfida. Il retrogusto di curry e senape lo porta fuori dal confine della tradizione toscana e lo fa danzare con l’etnico.
Vernaccia di San Gimignano Riserva DOCG 2015 - Panizzi
Un vino nato quasi per gioco, dal sogno di un bergamasco, Giovanni Panizzi, che a San Gimignano acquista una proprietà per passione. Ma il gioco diventa presto visione, sostenuta da un amico influente e da un’intuizione rara: che la Vernaccia avesse dentro di sé la forza del tempo. Nel 1976 la prima vendemmia con l’etichetta storica. Poi, nel 1998 con i Tre Bicchieri del Gambero Rosso conquista la scena. L’azienda evolve, cambia agronomo, ma soprattutto mentalità. Panizzi è la prima cantina a San Gimignano ad affrontare davvero la dimensione del tempo con il progetto dell’uscita ritardata: bottiglie conservate per dieci anni in azienda, pronte per essere consegnate ai ristoratori solo quando il vino ha raggiunto l’equilibrio perfetto. È l’unica azienda con una riserva storica verticale completa, e oggi il testimone è passato alla famiglia Niccolai, che ha ampliato gli ettari e affinato la visione.
La Riserva di Panizzi non è più legata a un solo vigneto, ma resta figlia delle migliori uve, selezionate da sabbie plioceniche a 400 metri di altitudine, nella splendida zona di Santa Margherita, esposta a nord: un’intuizione precoce, perfetta per l’equilibrio climatico di oggi. Annata difficile la 2015, appena sotto la celebrata 2016, ma capace di stupire. Fermentazione e affinamento in barrique nuove per 12 mesi, poi altri 24 mesi in bottiglia.
Il vino è dorato delicato, vivo e luminoso. Il legno è percepibile ma è un amplificatore, non un attore protagonista. Il naso è fresco, tipico, senza grandi segni di maturità. Note balsamiche, mediterranee: elicriso, tamerici, pino silvestre, agrumi canditi. Al palato equilibrio perfetto tra salinità e acidità, con un limone maturo che sarebbe un sour nella mixology. Il cenno di burro salato di Normandia e il richiamo al Calvados proiettano oltralpe in Francia, pur restando profondamente toscano. Complessità, profondità e finale lungo sembrano confortare l’ammonimento del Redi con il quale Valentino Tesi ama concludere i suoi interventi sulla Vernaccia di San Gimignano:
«Se vi è alcuno a cui non piaccia la Vernaccia, vendemmiata in Pietrafitta, interdetto, maledetto, fugga via dal mio cospetto».