Visita alla Tenuta il Bosco

Il racconto della visita presso la Tenuta il Bosco in Oltrepò Pavese, da parte di un gruppo di corsisti di Ais Varese

Massimo Beccegato

Tenuta il BoscoCi apprestiamo ad affrontare la visita all’azienda vinicola, prevista dal programma del primo Corso AIS che ci condurrà in Oltrepò Pavese. Lasciamo il Palace Grand Hotel di Varese ed accompagnati da tratti di pioggia maciniamo la strada. Usciti dall’autostrada, una strada interrotta ci obbliga ad un percorso alquanto tortuoso, che però mostra più da vicino i piccoli centri vitati. Lunghi rettilinei spolverati di pioggia su una pianura vasta. Valichiamo il Po per giustificare il nome della zona ed aleggiano nella mente intasata da letture, castelli, chiese, palazzi e torri che caratterizzano l’Oltrepò retaggio delle dominazioni dei Malaspina, dei Visconti, dei Beccaria, dei Dal Verme e degli Sforza. Non sono mai stato in Oltrepò e mi chiedo dove possano essere posizionati i vigneti. Arriverà qualche collina a dare un poco di respiro a questo orizzonte lineare? Finalmente, giunti nell’abitato di Zenevredo, ad una curva scorgo il cartello della Tenuta Il Bosco e come per incanto, solo ora, la strada si inerpica leggermente accarezzando la prima collina di una serie. Scorrono i primi filari di vite, geometrie perfette che stuzzicano l’occhio. Terreno calcareo-argilloso che ospita sistemi d’allevamento a guyot e cordone speronato. 

Tenuta il Bosco

Dopo aver imprigionato in una fotografia il vigneto, ci avviamo verso l’azienda. Si presenta con linee moderne e semplici nel mezzo delle colline. Anticamente anche questo terreno faceva parte del monastero di Santa Maria Teodote, come quasi tutto il paese d'altronde. 

Nel 1987 la famiglia Zonin acquistò questa vigna di soli 30 ettari portandola a 152 attuali e divenendo la seconda azienda viticola dell’Oltrepò Pavese. Oltre ad un ampliamento quantitativo si è curato un miglioramento qualitativo garantito da un aumento della densità delle viti e dalla diminuizione del numero di grappoli per pianta. L’investimento economico ha riguardato principalmente vitigni autoctoni coe la bonarda e la barbera, continuando, comunque, a donare molta attenzione al pinot nero. 

Tenuta il Bosco

Ci accoglie l’enologo Piernicola Olmo, che ci guiderà alla visita dell’azienda. Con rammarico saltiamo la visita al vigneto per ovvie condizioni climatiche. Giudandoci tra i vari locali dell'azienda ci dona informazioni e al tempo stesso, ogni tanto, saggia le nostre, ancora relative, conoscenze. Si ripassa, si impara e si tocca con mano quello che abbiamo studiato durante il corso AIS. La mia curiosità viene attirata da vecchie macchine in legno per la pigiatuara, ormai abbandonate per la lavorazione, ma che racchiudono ancora un fascino impareggiabile. Poi scorrono autoclavi, barrique, file ordinatissime di bottiglie collocate a testa in giù nelle pupitre e che verranno poi periodicamente girate a mano durante l’affascinante operazione del remuage, ed infine le etichettatrici, che concludono la visita. Rientriamo nella hall per il gran finale con la degustazione. 

Tenuta il BoscoAssaggiamo quattro vini: quelli che mi hanno lasciato un marcato ricordo sono anche i due che inseguito deciderò di acquistare. Il primo è il vino frizzante Oltrenero Cuvèe Brut da uve pinot nero. Giallo paglierino con perlage fine e persistente. Riconosco il profumo della crosta di pane, ma sfuggono, al mio olfatto ancora inesperto, odori di frutti rossi, ribes in particolare. Condizionato dal colore, non ero pronto a questa percezione, ma sotto la saggia guida di Piernicola Olmo si scopre sempre di più. Il secondo vino, un Oltrepò Pavese Metodo Classico Brut Il Bosco, 80% pinot nero e 20% chardonnay, è, invece, una scoperta difficile ed impegnativa, che va capita anche intellettualmente. Sì, intellettualmete, perché non è un vino facile da capire subito: Piernicola Olmo inizia a raccontarcelo, con la passione con cui l’ha creato, e dopo un primo impatto graffiante lo si comincia a comprendere. Capisco come il cervello possa far cambiare le opinioni sui sensi, come la cultura possa far comprendere i lati oscuri. Quindi, dopo un primo assaggio difficoltoso, vengo affascinato dal carattere di questo vino. Scopro come il suo colore paglierino con riflessi verdolini in realtà celi un vino di più di dieci anni che l’acciaio ha mantenuto severamente. Scopro un profumo che è l’evoluzione del vino precedente. Scopro, per la prima volta, il famoso quinto gusto, l’umami. Anche in bocca si presenta con una personalità spiccata, che può anche non piacere, ma lascia il segno. Conclusione perfetta alla nostra visita. Ancor più perfetto il ricordo, tra i discorsi più informali di fine degustazione, di un aneddoto del nostro enologo: ci racconta che fin da piccolo, ogni anno, visita la Francia ed in particolare Alsazia e Borgogna; come allora, tredicenne, si fece immortalare davanti ad una di queste aziende abbracciato a suo fratello, anche ora, a distanza di tanti anni, ha rifatto la stessa foto, nella stessa posa. Ebbene, amore per suo fratello, ma anche amore per il suo lavoro, che trasmette la voglia di conoscenza di questo particolare mondo del vino.

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