I Degustatori AIS Lombardia tra Franciacorta, Montalcino e Langhe
Il gruppo dei Degustatori ha approfondito le caratteristiche di Franciacorta, Brunello di Montalcino e Barolo, alla presenza di Giulio Barzanò di Mosnel e di Stefano Cinelli Colombini di Fattoria dei Barbi.
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A introdurre la Franciacorta è stato Giulio Barzanò che, con la sorella Lucia, guida oggi un’azienda storica del territorio, Mosnel.
Giulio ha ripercorso a beneficio dei presenti la storia dell’azienda, che si mescola e si fonde con quella della sua famiglia; una storia risalente alla prima metà del XIX secolo, con l’acquisizione per via ereditaria delle terre e della cinquecentesca cantina, e ha conosciuto uno sviluppo decisivo nei primi anni ’60 del XX secolo, quando la madre di Giulio e Lucia, Emanuela Barboglio, ebbe l’intuizione di impiantare vigneti specializzati e adottare, nel 1968, la neonata DOC Franciacorta.
Negli anni, Mosnel ha perseguito l’obiettivo di esprimere lo «spirito franciacortino», quel fil rouge che unisce oggi tutti i vini della gamma aziendale e che Giulio ha invitato a riconoscere nei vini in assaggio.
E dunque, se il Franciacorta Pas Dosé è un vino, con le parole di Giulio Barzanò, «che vuole unire un’anima giovane alla capacità di accostarsi a diversi abbinamenti», grazie all’utilizzo del legno durante la fermentazione, e che oggi invoca ancora tempo per integrarsi a seguito del recente degorgément (febbraio 2022), il Franciacorta 2017 è uno «chardonnay volutamente più maturo» nei profumi e nell’esperienza palatale e, a dispetto di una sboccatura ancor più recente (marzo 2022) si presenta già pronto, più compatto e unito rispetto al precedente.
Il Franciacorta Extra Brut EBB 2016 - «prodotto» racconta Giulio Barzanò «per la prima volta nel 2003 in omaggio a nostra madre. Il nome EBB è infatti l’acronimo delle sue iniziali» - è lo spumante che forse, più di tutti, «vuole rappresentare lo spirito franciacortino e il particolare carattere di Mosnel, perché» prosegue Giulio «la collocazione dei vigneti da cui sono tratte le uve è tale da rendere i vini eleganti e verticali, grazie all’elevata escursione termica, alle temperature notturne fresche e ai terreni sciolti e drenanti». Caratteristiche che Mosnel asseconda ed esalta con le scelte di non svolgere la fermentazione malolattica e di sottolineare la freschezza del vino attraverso un dosaggio molto contenuto, di 1,5 g/l di zucchero residuo. In effetti, i Degustatori e il tavolo della commissione sono concordi nel definire l’EBB un vino «paradigmatico dell’italianità e dell’identità di Franciacorta».
Il Franciacorta Rosé Pas Dosé Parosé 2016 è, invece, «un Franciacorta estremamente ragionato, con l’intenzione di far emergere l’anima del pinot nero, rinvenibile nelle note di frutti rossi e in un attacco in bocca verticale, accompagnata però dall’eleganza e dalla grazia dello chardonnay». Uno spumante dalla grande bevibilità, più incisivo e verticale dell’EBB, che si caratterizza invece per una maggiore cremosità.
Da ultimo, il Franciacorta Pas Dosé Riserva 2008, 102 mesi sui lieviti, degustato da una magnum, è la summa dei vini precedenti, con un quadro olfattivo dalle tinte variegate e complesse e un palato intenso, elegante, sontuoso e dalla guizzante verve sapida.
Dell’intero excursus ha tracciato una sintesi perfettamente a fuoco Francesco Albertini: «i vini di Mosnel sono rigorosi, non cedono alla piacevolezza immediata e sfidano la degustazione proponendo continuamente nuovi profumi e descrittori. Hanno innegabilmente un filo conduttore e la degustazione che abbiamo concluso ci ha offerto una panoramica che è andata in crescendo sia passando da un vino all’altro, sia rimanendo sullo stesso calice al variare della temperatura».
Lasciando la Franciacorta e spostandosi idealmente in Toscana, i Degustatori hanno dato il benvenuto a Stefano Cinelli Colombini, vice presidente del Consorzio del Brunello e, soprattutto, alla guida di Fattoria dei Barbi a Montalcino.
Una storia, quella dei Colombini, che affonda nel Medioevo: nati commercianti, furono banchieri, giuristi, notai, letterati e proprietari terrieri e annoverano, tra i loro avi, golfalieri e senatori a Siena, podestà a Moltalcino e financo beati della Chiesa Cattolica.
Alla metà dell’Ottocento risalgono le radici vitivinicole, grazie a Paolo Colombini e al figlio Pio, che produsse le prime bottiglie di Brunello ancora oggi nella cantina storica dell’azienda. «Fu però con Giovanni Colombini, nel 1906», chiosa Stefano, «che la famiglia trovò un innovatore, un pioniere della viticoltura a livello mondiale»: fu lui ad aprire nel 1938 la prima enoteca pubblica italiana, a Montalcino; e fu sempre lui, in quegli anni, a inaugurare la vendita per corrispondenza del vino toscano, con le prime esportazioni di Brunello. Negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, poi, diede impulso e vocazione turistica a Fattoria dei Barbi, facendone un punto di riferimento per un movimento allora ancora in erba, l’enoturismo.
Secoli di appartenenza a un territorio e lustri passati a produrre e a bere Brunello, dunque. A tal proposito, Stefano Cinelli Colombini afferma che il Brunello, oggi, «è così perché questo è il gusto dei montalcinesi», che fanno squadra e si muovono idealmente come fossero un sol uomo: «noi siamo il Brunello», affermano, a voler rivendicare la primazia del territorio, del vitigno e quindi del vino rispetto al singolo produttore, del quale si deve dire soltanto in seconda battuta. Se il disciplinare di produzione del Brunello di Montalcino ha determinate caratteristiche, quasi del tutto invariate negli anni, è perché la tradizione del vino dei montalcinesi è solida e insofferente al passare del tempo, dei gusti e delle tendenze.
«Il sangiovese si presta a fare diversi vini, non solo Brunello. Però, se si fa altro, con serenità si deve riconoscere che quel vino non è Brunello» conclude Stefano.
Una frase che può apparire una cesura, ma che invece fa da apertura alla degustazione, che inizia con il Toscana Rosso IGT Senza Solfiti Aggiunti 2021, «un vino ambizioso, sviluppato in collaborazione con le professoresse Angela Zinnai e Francesca Venturi dell’Università di Pisa», che vuole proporre il sangiovese «così com’è, senza che subisca gli effetti dell’ossigeno». Prodotto in ambiente riduttivo partendo da uve surmature affinché acidità e tenore alcolometrico siano in partenza sufficientemente elevati, il vino è senza dubbio intrigante, sin dal colore, e poi ancora al naso e al palato. Giovane, esuberante, tutto sul frutto, è intenso e gioioso. Un vino nel quale Stefano Cinelli Colombini crede molto e che ha colpito i Degustatori.
Il Rosso di Montalcino DOC 2020 ha fatto da interludio per i tre Brunello: dapprima il Brunello di Montalcino DOCG 2017, che ancora necessita di tempo per esprimersi al suo meglio («fare Brunello è l’arte di gestire l’ossidazione» dice Stefano); poi il Brunello di Moltalcino DOCG Vigna del Fiore 2016, i cui profumi di ciliegia esaltano l’eleganza propria dell’annata e che all’assaggio esprime una struttura invidiabile e un perfetto bilanciamento tra le varie componenti.
Da ultimo, il Brunello di Montalcino DOCG Riserva 2010, che raggiunge quella che Stefano definisce «una perfezione stilistica», con un nitido sentore di viola «tipica di Fattoria dei Barbi» e che si sviluppa sia orizzontalmente, con un corpo, una incisività e una persistenza senz’altro più imponenti dei vini che l’hanno preceduto, sia verticalmente, con profumi di frutta in confettura, tamarindo, arancia sanguinella, spezie e torrefazione.
La giornata di approfondimento è infine proseguita con la degustazione di tre vini di Roberto Voerzio, storico produttore di La Morra, sotto la guida di Gabriele Merlo e Francesco Albertini.
La Barbera d’Alba DOC Pozzo dell’Annunziata 2017 ha introdotto i presenti in terra langarola, con i profumi di mon chéri, rosa damascena, peonia, polvere di cacao e fava tonca e una bocca intrigante per la sua progressione.
Il Barolo DOCG del Comune di La Morra 2016, prodotto da vigneti posti in diverse parcelle su marne di Sant’Agata Fossili, risponde “presente” al richiamo di un’annata meravigliosa, evidenziando ancor di più l’eleganza di La Morra e la capacità di Roberto Voerzio. Un vino che Gabriele e Francesco trovano esuberante, di grande equilibro, avvolgente ed estrema nitidezza.
A chiudere, il Barolo DOCG 2012 Case Nere Riserva 10 anni ha convinto unanimemente la sala: l’impatto al naso, con profumi balsamici, di alloro, genziana, eucalipto, erbe di montagna e poi ancora camino spento, corteccia di cipresso e confettura di mora di rovo, ha trovato perfetta corrispondenza con un palato dal tannino deciso ma elegante e aromi di after eight, chinotto e radici.
Mosnel, Fattoria dei Barbi e Roberto Voerzio testimoniano con la loro attività e i loro vini non solo la vocazione delle loro terre, ma anche il filo conduttore che i Degustatori hanno infine individuato, vale a dire il forte legame che il singolo ha con l’intera comunità di riferimento. Emerge infatti nitido l’attaccamento che le tre aziende hanno con le comunità franciacortina, montalcinese e langarola e si esaltano così, con le parole di Paola Marcone «l’eleganza e la sapidità della Franciacorta, l’austerità senza tempo del Brunello di Montalcino e la rigorosa espressività del Barolo».