Il pinot nero nel dualismo Francia-Italia

Degustatori AIS Lombardia
12 gennaio 2024

Il pinot nero nel dualismo Francia-Italia

Grazie a quattro distinte batterie di altissima qualità, il gruppo degustatori di AIS Lombardia ha provato a identificare le caratteristiche dei vini ottenuti dal più nobile dei vitigni che caratterizzano il parallelismo tra il Bel Paese e quello dei cugini d’oltralpe: il pinot nero.

Giovanni Sabaini

Al tramonto dell’anno 2022, nonostante la crescita esponenziale di alcuni Paesi del nuovo mondo, le statistiche piazzavano sui primi due gradini del podio, per quantità di vino prodotto, Italia e Francia. Certo, la quantità è spesso segno di attenzione verso un determinato prodotto, ma è sulla qualità che ci si deve focalizzare. Italia e Francia sono stati e continuano ad essere i due Paesi in grado di sfornare le più grandi gemme enologiche del mondo, e se di pietre preziose si deve parlare, non si può non citare una perla nera dal valore inestimabile: il pinot nero.

Difficile da coltivare come pochi altri vitigni al mondo, le sue zone di elezione sono poche e con caratteristiche ben precise. Il pinot nero esige un clima mite, meglio se fresco, e specifici terreni a seconda del risultato finale che si desidera ottenere, se base spumante o vinificato in rosso. Ed è proprio da qui che parte il lavoro del gruppo Degustatori, un confronto serrato e articolato tra Champagne e Franciacorta, seguito da un affascinante sfida tra Borgogna ed Alto Adige, tutte zone estremamente vocate, ma con marcate e riconoscibili differenze.

Come rappresentante della Champagne abbiamo avuto la fortuna di ospitare Kelly Richard, della maison Richard-Dhondt, sita a Dizy, un piccolo paese nei pressi di Epernay, che ha parlato così della sua azienda: «abbiamo settanta ettari di vigneto divisi tra chardonnay, pinot nero e pinot meunier. Nella maggior parte dei nostri terreni la presenza di gesso è molto importante ed è inevitabile che questo dia una marcata impronta sia olfattiva che gustativa. Il vino in degustazione proviene da un unico vigneto ad Aÿ, ed è stato prodotto con un assemblaggio di due annate molto particolari perché particolarmente calde, la 2019 e la 2020. La cosa che si nota subito è il color pesca che il vino ha nel calice, figlio di un’estrazione di colore molto importante dovuta al caldo delle due annate, e della scelta di non illimpidirlo. La scelta del dosaggio extra brut è legata alla volontà di avere un vino più longevo possibile».

Il testimone è poi passato ad Andrea Assanelli, brand ambassador di Antica Fratta, che ha parlato così della Franciacorta: “la Franciacorta è una regione molto piccola e per molti aspetti molto creativa. L’identità della regione si è costruita da quando Guido Berlucchi, prendendo ispirazione dalla Champagne, decise nel 1961 di partire con la produzione del suo spumante, ma si è consolidata nel tempo insieme a tutti i produttori che negli anni hanno contribuito ad una costante crescita qualitativa. In tre parole, la Franciacorta si può riassumere in clima, che consente di poter attendere la giusta maturazione dei grappoli sia per lo chardonnay che per il pinot nero, corpo, perché la tessitura dei vini deve essere sempre importante e identitaria della regione, e complessità, che si ritrova nei vini a prescindere dall’approccio enologico che ogni produttore decide di adottare.”

A seguito dei due campioni di taratura per ciascuno dei due areali vitivinicoli, si è poi partiti con un confronto tra vini assolutamente identificativi del loro territorio di provenienza. Nonostante l’esercizio di riconoscimento alla cieca, le caratteristiche di salinità ed eleganza per i Franciacorta, di mineralità e potenza per gli Champagne sono risultate assolutamente evidenti, in alcuni campioni persino palesi. L’elemento destabilizzante è l’andamento delle annate: nel caso di una stessa annata risultata più fredda in Franciacorta e più calda in Champagne, le caratteristiche gustative risultano inevitabilmente più vicine, seppur mantenendo bouquet olfattivi fortemente identitari.

Anche il concetto di evoluzione è giocoforza da analizzare in vini con questa età e complessità. Si è avvezzi al pensiero di un vino che evolve in maniera lineare, seguendo una curva crescente fino al momento della sua massima espressione e poi in lento, ma costante calo. Non è sempre vero. La prova arriva da due campioni di due annate molto distanti tra loro in temini di tempo (2009 e 2015), ma non in termini di analisi sensoriale. A parità di vitigno e di tecniche produttive, è molto probabile che un vino sviluppi sentori evolutivi nei primi anni, ma che li mantenga negli anni successivi affinando le percezioni tattili delle bollicine. Viene quindi da pensare che sarebbe più corretto immaginare l’evoluzione del vino con due distinte curve, ovvero quella dell’olfatto e quella del gusto, concetto abbastanza complesso da applicare in maniera generalizzata, ma adeguato nel caso di Metodo Classico ottenuti da pinot nero.

È la volta poi del pinot nero vinificato in rosso, in quelle che probabilmente sono le due regioni europee più vocate in assoluto per la sua coltivazione, l’Alto Adige e la Borgogna.

Accarezzato dall’Ora, vento che soffia da sud a nord proveniente dal lago di Garda, la zona di produzione del pinot nero in Alto Adige si divide tra Mazon, Gleno, Pinzano e le valli Venosta e d’Isarco. Nonostante le ovvie eccezioni alla regola, le caratteristiche del pinot nero altoatesino sono chiare e di semplice definizione. Visivamente non bisogna cercare grande carica cromatica: il clima gioca in questo un ruolo fondamentale, in quanto le temperature mediamente piuttosto basse non aiutano il fissaggio degli antociani sulla buccia dell’acino. Dal punto di vista olfattivo va ricercata la frutta rossa come la fragola e il lampone, entrambi in stato di maturazione avanzata, misti ad una speziatura dolce data dal frequente utilizzo di barrique in vinificazione e in affinamento (anche se ci si sta spostando sempre di più su legni più grandi). Infine, la particolarità gustativa è relativa al tannino, molto delicato, raffinato, setoso, che va a braccetto con una componente acida di assoluto rilievo.

Inevitabilmente diverse sono le caratteristiche del pinot nero di Borgogna, anche se più difficili da inserire in un contesto generalizzato poiché trattasi di un’areale molto più grande. Ci sono, però, alcune costanti, come per esempio i colori che spesso risultano più accesi di quanto non siano in Alto Adige. Le note di frutta al naso sono più orientate alle piccole bacche come il ribes che danno note più acerbe e pungenti. Al palato si rivela, invece, con tannini abbastanza marcati o, quantomeno, più presenti di quanto non siano sul pinot nero italiano.

Nei calici si ritrova perfettamente quanto appena enunciato con le consuete variabili che fanno da spunto di riflessione. Emerge un elemento in particolare: la diversa integrazione del legno nei calici. In alcuni campioni è evidente come il legno contribuisca ad amplificare i sapori, mentre in altri rimane in disparte, dando il suo contributo, ma lasciando alla frutta il ruolo da protagonista assoluto, anche in quei casi in cui la sosta in legno è più lunga di quanto suggerisca l’assaggio. Quest’ultimo caso fa pensare ad un prodotto di base estremamente ricco, figlio di un grappolo dalla perfetta maturazione e con caratteristiche organolettiche fuori dal comune.

E dunque anche questa seduta si chiude con la consapevolezza che il vino è materia estremamente affascinante e complessa, fatta di tante regole e di altrettante eccezioni. Ciò non toglie che con il gruppo degustatori AIS Lombardia stia portando avanti un progetto di approfondimento straordinariamente ricco, che di certo porterà i suoi componenti ad una formazione di altissimo livello.

Un grazie a tutto il gruppo di lavoro di AIS Milano, perfetto nella gestione dell’evento, al presidente Hosam Eldin Abou Eleyoun, a Luigi Bortolotti e Sebastiano Baldinu, fari di questo progetto, ai nostri campioni Nicola Bonera, Luisito Perazzo, Artur Vaso e Federico Bovarini e ai graditissimi ospiti intervenuti in questa sessione.