Un febbraio in rosso per i Degustatori lombardi

Degustatori AIS Lombardia
28 febbraio 2022

Un febbraio in rosso per i Degustatori lombardi

Febbraio si apre nel segno della bacca rossa per i Degustatori di AIS Lombardia. Valcalepio, Garda e Moscato di Scanzo: tre terre diverse, tre timbri diversi, tre modi differenti di intendere l’eleganza.

Sofia Landoni

Due nicchie di internazionali a bacca rossa, separate da una lingua di terra votata alla spumantizzazione: la Valcalepio e la zona del Garda stringono la loro alleanza guardandosi dirimpetto una all’altra, modulate dalla sola Franciacorta che afferra uno e l’altro lembo. L’enclave bresciana dello chardonnay e del pinot bianco è scortata per entrambe le braccia dai bordolesi rossi, che nella provincia bergamasca diventano DOC Valcalepio mentre nel cuneo lombardo a sud est rispondono alla denominazione DOC Garda, in patria mantovana. 

Due terre, due diversi percorsi storici, ma anche due diverse cucine e persino due diverse caratterizzazioni umane, che somigliano molto ai profili dei rispettivi vini. La complessità fitta del Valcalepio mostra il volto più tenebroso e stratificato del cabernet sauvignon, mentre la fragranza del DOC Garda svela il tratto più nervoso e scalpitante di un vitigno che, qui, necessita di essere ammansito. 

Il seminario di aggiornamento dei Degustatori AIS di Lombardia, sui primi rintocchi di febbraio, è andato a scovare precisamente queste sfumature, per addentrarsi nella terra lombarda dei rossi di nerbo. A moderare l’incontro, come consuetudine, il responsabile del Gruppo Degustatori di Lombardia Luigi Bortolotti, affiancato da tre personalità che giocano ruoli fondamentali nella costruzione quotidiana di queste zone vitivinicole: Sergio Cantoni, Direttore del Consorzio Tutela Vini Valcalepio, Corrado Cattani, Presidente del Consorzio Vini Mantovani e infine il padrone di casa, il Conte Emanuele Medolago Albani che, oltre a presiedere il Consorzio Tutela Vini Valcalepio, ha accolto il gruppo di Degustatori nelle proprie sale per questa giornata formativa.

 

Tre batterie, dunque, per imparare a distinguere e interpretare alcune delle mille sfumature del cabernet sauvignon, labirinto della bacca rossa. Infine, la quarta batteria. Una chicca, un piccolo gioiello di enorme valore, una medaglia affissa al petto lombardo che celebra il nostro onore vitivinicolo. Il nostro vanto si chiama Moscato di Scanzo. 


Valcalepio e il suo taglio bordolese
 

La sfilata dei calici in batteria ha sollevato un interrogativo sulle forme del cabernet sauvignon, sulla sua metamorfosi nelle due zone. Il taglio bordolese della bergamasca si biforca in DOC Valcalepio e DOC Valcalepio Riserva. Una differenza, questa, che si marca non solo con il tempo e le modalità di affinamento – la Riserva prevede un affinamento minimo di 3 anni, di cui almeno 1 in botti di Rovere –, ma anche in vigneto, dove le uve destinate alla Riserva necessitano di un profilo zuccherino leggermente superiore per dirsi pronte alla raccolta. 

I calici di Valcalepio offrono una complessità ricca di frutto e spezie, ravvivate da una certa fragranza e dall’autoriale nota vegetale tipica del cabernet. L’approccio alle Riserve richiede un ulteriore passo, quel passo che conduce nelle profondità di un timbro più scuro, più intenso. Il naso spalanca le porte sul mondo denso della terra, del fungo, delle spezie orientali, mentre il sorso si arricchisce di una materia mai eccedente sulle durezze. Ma, soprattutto, il Valcalepio Riserva si impreziosisce di un tannino da manuale, capace di fare del suo segno una piroetta elegante al palato. 

I rossi del Garda: pugno e carezza

Il Garda batte il contrappunto, voltando la medaglia e mostrando l’altra faccia del cabernet sauvignon. Nei suoli mantovani la celebre bacca bordolese si esprime nel suo lato più severo e secco, ai limiti del nervoso. Il sorso fragrante può estendersi in una freschezza tagliente, talvolta, chiamando a gran voce la presenza di un complice, la rotonda e morbida corvina, che qui ha diramato radici da lungo tempo. Il ciclo fisiologico della corvina è piuttosto breve e la maturazione è raggiunta in fretta, ben prima di quanto spetta al cabernet sauvignon. La frazione di tempo che discosta una maturazione dall’altra consente di destinare i grappoli di corvina a un appassimento, in attesa che anche il cabernet tagli il suo traguardo in maturazione. Una volta vendemmiato anch’esso, le due varietà vengono vinificate simultaneamente e unite in blend per definire un uvaggio complementare. L’acido e teso cabernet porge la mano alla gentile corvina, risolvendo la combinazione in un sorso di equilibrio, riconoscibile per la tridimensionalità del palato. Si riconoscono il pugno e la carezza, nel DOC Garda, a sintesi di uno stile territoriale che definisce la denominazione. Tre batterie alternate fra carte scoperte e vitigni celati hanno sollecitato il palato, che ha bisogno di capire da sé. Ne sono derivati punteggi buoni, che hanno visto la più bassa votazione in un 83 e sono arrivati a sfiorare i 90 punti. 

Il Moscato di Scanzo: eleganza e complessità

Il Moscato di Scanzo ha concluso i lavori, con quel colpo di coda che solo uno strascico di seta saprebbe donare. Quattro espressioni del vitigno, quattro gemme che raccontano di un nettare raro. La natura ha investito la Lombardia di questa elezione speciale, che consente lo sgorgare di un nettare quantificabile a gocce. Ce n’è poco, di Moscato di Scanzo, ma quello che c’è si riconferma essere ogni volta sorprendente. Qualcuno ne esalta l’eleganza, qualcun altro la complessità; certe volte appare la rosa, certe altre diventa un inno alla spezia: la complessità del Moscato di Scanzo è qualcosa che non conosce obiezioni. I suoi punteggi volano alti sopra i 90 punti, raggiungendo vette di 94 punti con la leggerezza di una farfalla. 

Quella Lombardia che sa scortare l’intero pasto offrendo dalle bollicine al vino dolce, oggi si è mostrata nel suo vestito rosso. Un manto che ci riempie di orgoglio e ci spinge a rovistare in tutti i suoi bauli, specialmente quelli aperti di rado. 

Foto di Alessandro Di Venosa e Giuseppe Vallone