Vini macerati: ispirazioni e confronti, tra moda e tradizione

Una giornata di vivo interesse, dedicata ai vitigni bianchi vinificati in rosso. A Brescia i Degustatori di AIS Lombardia hanno approfondito una tipologia di vini che fa spesso discutere, ma continua a catturare l’attenzione di professionisti e appassionati.

Mauro Garolfi

Argomento di grande attrattiva nel secondo incontro del 2023 per il gruppo dei Degustatori lombardi: i vini bianchi derivati dalla fermentazione a contatto con le bucce.

Focus sui vini macerati, dunque, per la brillante squadra guidata da Luigi Bortolotti e Sebastiano Baldinu, chiamata per l’occasione, domenica 12 febbraio, presso la Delegazione di AIS Brescia, ad approfondire una tipologia di vini che fa discutere, cattura attenzioni ed emozioni, divide, richiama, affascina.  

Obiettivi, come sempre in queste giornate di formazione, la comprensione, l’approfondimento e, in quest’occasione, anche il tentativo di dare risposte ad una domanda, esplicitata nelle prime battute: la macerazione aggiunge, migliora qualcosa, aiuta l’espressività del vitigno e del vino oppure è, in parte o esclusivamente, frutto di moda?

Stiamo parlando, infatti, di una tipologia che, se in alcune zone è da sempre praticata, tanto da essere considerata “di tradizione”, altrove si è affacciata di recente in modo più o meno repentino; in ogni caso, nel tempo, ha saputo ritagliarsi un ruolo di sicuro fascino e di vivace richiamo tra gli appassionati di vino.

Le batterie in degustazione

Proprio a partire da queste premesse sono state pensate le cinque batterie - da quattro vini ciascuna - in degustazione: in ogni quaterna saranno presenti due coppie di vini elaborati dalla stessa cantina, con lo stesso vitigno, uno macerato, l’altro secondo una vinificazione che non prevede macerazione.

Il viaggio che ci attende, che attraverserà l’Italia da nord a sud, con piccole ma significative escursioni oltre confine, darà modo di esplorare particolarità, differenze ed effetti della tecnica di macerazione con le bucce.

Prima batteria

Siamo in Sicilia, con due vitigni autoctoni, catarratto e zibibbo. La prima varietà si caratterizza in genere per vini con una buona acidità, una nota alcolica contenuta e sentori di biancospino, pera, pesca bianca ed agrumi; la seconda, invece, progenitrice di tanti grandi vini passiti, è complessivamente dotata di un’“anima profumata” presente anche in vini secchi freschi e fruttati.  

Nella degustazione di oggi, lo zibibbo non sottoposto a macerazione si manifesta in un’esplosione fruttata aromatica, in un quadro di bella espressività; il corrispettivo macerato, che rimane per qualche mese sulle bucce, si riconosce come del tutto affine al primo, non va a incrementare o stravolgere il precedente, né ad implementare quei contenuti che ci si aspetta, tipicamente, da un vino macerato.

Passando al catarratto, quello non macerato risulta molto piacevole e di sicuro interesse, mentre in quello macerato, a contatto con le bucce per venti giorni, il quadro olfattivo si amplifica, dal miele alla frutta secca, alla frutta matura, arricchendosi di note terziarie.

Ci troviamo davanti ad una batteria che, nella fascia di punteggio, si rivela sostanzialmente omogenea.

Seconda batteria

I protagonisti della seconda batteria sono due vitigni diversi e lontani: la turbiana, alla base del Lugana, e il siciliano grillo.
Mentre il primo vitigno si esprime generalmente in vini con un bagaglio floreale e fruttato e si caratterizza per buona freschezza, decisa sapidità e un tipico finale ammandorlato, il secondo si manifesta di solito in vini bianchi freschi e profumati, di spessore, con sentori di melone bianco, agrumi, pera e ananas, gelsomino e pepe verde.

Nelle degustazioni di questa batteria i due Lugana, quello macerato per circa un mese in anfora e quello ottenuto senza contatto con le bucce, si esprimono molto bene su un livello qualitativo comparabile, pur nelle diverse complessità organolettiche. Tra i due grillo, quello macerato in anfora per qualche mese, pur con qualche imperfezione, si dimostra più interessante, ricco di spunti, dal sorso espressivamente più ampio e complessivamente migliore.

Segue una considerazione su quali possono essere i calici più adatti ad accogliere un vino macerato e ci si sofferma su vini dal bevante ampio, tipo ballon.

Terza batteria

È l’occasione per approfondire alcune aree del Friuli Venezia-Giulia, che negli anni hanno saputo ritagliarsi ruoli di rilievo nel mercato dei vini macerati.

Qui, in terra di confine fra Italia e Slovenia, tra il Collio friulano e il Collio sloveno (chiamato Brda) e nel Carso triestino, il vino bianco è sostanzialmente sempre stato realizzato così, trattando l’uva bianca come se fosse a bacca rossa.Mesi di macerazione, di contatto con le bucce, portano a colori diversi, alla presenza viva dei tannini, a sentori, profumi ed aromi unici e caratterizzanti.

Possibile difficoltà o semplicità di approccio, bevibilità e piacevolezza: questi concetti danno vita a considerazioni sui vini macerati e si innestano nell’incedere della degustazione, che vede protagonista di questa batteria la ribolla gialla. Uva neutra, storicamente “povera”, dà tipicamente vini freschi con note di frutti esotici, di pompelmo e di mela. Piantata spesso, nel tempo, insieme al friulano, serviva da complemento ad esso, cioè a dargli maggiore freschezza senza “deteriorare” il prodotto. Nell’ultima decina d’anni circa ha visto più che decuplicare gli ettari vitati. La ribolla gialla trova la sua ragion d’essere in zone collinari e tanta parte di essa viene oggi spumantizzata. Le sue grandi doti risiedono nella buccia: comprendiamo bene il motivo della macerazione.

In questa batteria si affrontano due ribolla gialla provenienti dal Collio e due provenienti dal Collio sloveno (Brda).
I due non macerati sono vini piacevoli, freschi, immediati e ben adattabili a svariati abbinamenti col cibo.

Vini secchi, in cui il tannino è ben presente, ma non prevaricante e ben integrato, i due vini macerati - uno per quattordici giorni, l’altro per mesi - esprimono pienamente un livello qualitativo superiore ai corrispettivi non sottoposti a macerazione: più complessi, strutturati, massicci, più ricchi gustativamente.

In questi casi la macerazione arricchisce le caratteristiche del vitigno, mantiene la sua tipicità valorizzandone gli aspetti espressivi più interessanti. Seguono considerazioni sulle temperature di servizio, che per i macerati vengono consigliate sui 14-15 °C.

Quarta batteria

Restiamo nel nord-est, con la malvasia istriana, vitigno che in genere si caratterizza in vini dai tipici sentori di albicocca e pesca. Per l’altro vitigno della batteria ci spostiamo più a sud, in Romagna, con l’albana, che offre generalmente vini carichi di colore nei quali a sentori di miele e ricordi speziati si affiancano note di pesca e albicocca.

In questa degustazione, la malvasia istriana macerata per mesi raggiunge vette di espressività qualitativa superiore rispetto al corrispettivo non macerato, vino comunque già di alto livello, toccando picchi di assoluta eccellenza.

I due albana, sia quello sottoposto a macerazione di dieci-quindici giorni, sia quello non macerato, sono entrambe grandissime manifestazioni del vitigno, interessanti, ricche e piacevolissime. Il macerato offre un’espressione diversa: dolce all’olfatto, mentre al gusto è secco, asciutto, più nervoso e dotato di un certo tannino, mantiene un livello qualitativo elevato.

Seguono poi, nell’avanzare del nostro approfondimento, considerazioni su come la tecnica della macerazione, con le sue specificità, possa effettivamente, con tutte le variabili del caso, in determinati contesti e situazioni, se applicata intelligentemente, determinare un’espressività diversa del vitigno, mantenendo il livello qualitativo del non macerato, o un effettivo miglioramento qualitativo e una reale valorizzazione di alcuni vitigni più che di altri.

Quinta batteria

L’ultima batteria della giornata è focalizzata su un singolo territorio. Si salpa per l’isola d’Elba, scrigno prezioso di una tradizione vinicola antica e di ricchezze enologiche contemporanee.

La storia racconta che nell’Ottocento la viticoltura, con cinquemila ettari vitati, era la principale attività dell’isola, così importante da meritarsi, da parte del governo napoleonico, la creazione di una sorta di denominazione d’origine per i suoi vini.

Tanti gli ettari, ma anche tante le varietà d’uva, ai tempi, dal sangioveto – clone di sangiovese piccolo - al carignano, dall’alicante al moscato bianco, al riminese (nome locale per il vermentino), all’aleatico. Alcune sono rimaste, altre oggi non sono più coltivate. Ai vitigni autoctoni si affiancano oggi alcuni alloctoni, come viognier, incrocio manzoni, chardonnay, syrah, sagrantino, alcuni di essi oggetto anche di sperimentazioni da parte di produttori curiosi e brillanti.

Su suoli di grande ricchezza e varietà mineralogica e immersi in una mirabile biodiversità, l’Elba è la culla dell’unico aleatico a denominazione DOCG in Italia e al tempo stesso dell’unico passito a denominazione DOCG in Toscana, sempre aleatico.

Ci si sofferma su come l’uso delle anfore di terracotta, contenitori neutri, scelti per dare microssigenazione al vino, ma in grado di non trasferirgli nulla, abbia preso piede presso certe realtà. Ottimo isolante termico, l’anfora permette anche un certo ammortamento dei costi, data la possibilità di utilizzo per tempi molto lunghi.

Il primo vino della batteria è fruttato, dalla spiccata vena olfattiva che spazia da note di mango e albicocca a frutta esotica e foglie di tabacco verde, per incedere con sentori di lavanda e pompelmo, poi ricordi di anice stellato in retrolfazione. Esuberante nella sua eleganza. 

A base di viognier, è stato ottenuto da una macerazione di acini interi (20-30% dell’uva), senza raspi, senza spremiture, a contatto con le bucce per 6 mesi in anfore da 800 litri.

Il secondo vino, a base dello stesso vitigno, nello stesso vigneto, nella stessa annata, non è maturato in anfora, bensì in barrique da 300 litri; e ne riporta una marcata influenza, con note burrose e di vaniglia, poi sentori di frutta secca, mandorle, albicocca e pesca. Pacato ed aristocratico.

Rispetto al primo vino cambia l’impostazione gusto-olfattiva, per certi versi l’espressività aumenta, sebbene si spenga, in parte, la fragranza fruttata del precedente. 
Si passa a un vino a base di ansonica, vitigno neutro, facilmente ossidabile, dalla buccia molto spessa, in passato uva da tavola molto venduta. Qui miele d’acacia in evidenza, pesca e un’interessante sapidità finale. La macerazione con passaggio in anfora gli dona modo di esprimersi in modo pieno e strutturato.

L’ultimo vino di questa avvincente giornata di approfondimento è una particolarità, una chicca, un vino intrigante e attraente.

Sappiamo che prima della vinificazione di questo vino le uve di ansonica vengono disposte in ceste di vimini e messe in profondità nel mare, dove sostano per alcuni giorni, così che il sale entri negli acini e svolga il ruolo di conservante, di antiossidante, secondo una metodologia risalente a duemila anni fa, praticata dagli antichi Greci. Le uve vengono poi lasciate al sole, fermentate e lasciate a riposo in anfora, con le bucce, per 6 mesi.
Il vino rivela profumi di frutta esotica e pesca gialla, sentori di alghe e ostriche, con un miele deciso, che si svela prepotente nella sua eleganza, ben accompagnato da note iodate e dal profumo del calicanto. Densità, consistenza, complessità, un tannino deciso, morbidezza e pienezza ne scolpiscono una beva invitante.Insolito. Seducente. Da godere.

Un sentito e caloroso ringraziamento alle aziende: Arrighi, Marco De Bartoli, Draga, Ferdinand, Fabio Ferracane, Il Carpino, Ottella, Tre Monti, che con il loro prezioso contributo hanno concorso alla realizzazione delle batterie di degustazione.