In Champagne si pensa di allargare la zona

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19 novembre 2008

In Champagne si pensa di allargare la zona

A dire il vero Daniel Lorson, Direttore della comunicazione del Comité Interprofessionel du Vin de Champagne (CIVC), non sarebbe contento di questo titolo: in realtà...

Alessandro Franceschini

...la delimitazione del territorio all’interno della quale è possibile elaborare le note bollicine, non si allarga, ma si rifà il look e subirà una revisione. Cosa succede, o meglio, cosa succerà in Champagne? La denominazione locale, AOC Champagne, cambierà, non subito, ma lo farà. I confini territoriali entro i quali è consentito elaborare e vinificare con quello che i cugini francesi chiamano metodo “champenoise” ed in Italia metodo “classico” verranno allargati, anche se, come ci tengono a sottolineare al Centro Informazioni Champagne, è meglio parlare di “revisione”. Attualmente, e questo sin dal 1908 (per legge dal 22 luglio del 1927), esistono 647 comuni all’interno dei quali è possibile elaborare e vinificare i vini a denominazione Champagne. All’interno di quest’area esistono poi 319 comuni i cui terreni sono ritenuti idonei per la coltivazione della vite per un totale di 35.280 ettari. Cosa succederà? L’INAO (Institut National de l'origine et de la qualité) nel 2006 ha incaricato 5 esperti indipendenti (uno storico, un geografo, un enologo, un agronomo ed un fito-sociologo) di rivedere i confini entro i quali è possibile produrre lo champagne: nel 2007 i cinque esperti hanno depositato il loro progetto che prevede l’aumento dei comuni dove è possibile elaborare le famose bollicine (da 634 a 675) ed anche di quelli dove è possibile allevare le viti di chardonnay, pinot noir e pinot meunier (da 319 a 357). La commissione ha proposto anche l’esclusione di due comuni dalla zona di produzione. Se non ci saranno troppi intoppi e si riusciranno ad analizzare tutti i reclami del caso, nel 2009 inizierà l’ultima fase, quella di revisione delle singole particelle di terreno, che avrà termine non prima del 2015. Ci saranno, quindi, terreni supplementari sui quali piantare nuovi vigneti, in modo progressivo a seconda delle esigenze di mercato. E qui arriviamo alla motivazione di fondo che ha fatto si che si mettesse in piedi questo complesso meccanismo di allargamento e revisione insieme: andare incontro alla domanda mondiale, che quanto meno fino al 2007 superava nettamente l’offerta. Come ha affermato Daniel Lorson, durante la conferenza stampa che si è tenuta a Milano lo scorso 6 ottobre durante la manifestazione “La giornata Champagne”: “La domanda mondiale di Champagne continua a crescere. Oggi la produzione di Champagne non rappresenta che il 12% del mercato dei vini effervescenti”. I numeri dell’anno scorso parlano chiaro e se guardiamo all’Italia sono quasi strabilianti: più di 10 milioni di bottiglie importate (+10,94% rispetto al 2006), ma quasi in tutto il mondo (segno negativo solo negli Usa che comunque consumano più di 21 milioni di bottiglie) la crescita è sempre sostenuta, dal Regno Unito, importatore principale delle pregiate bollicine (quasi 40 milioni) alla Svizzera (circa 6 milioni), passando per il mercato giapponese che è aumentato del 14% con i suoi 9 milioni di bottiglie. Di fatto, esigenze di mercato hanno fatto sì che si decidesse di mettere a disposizione nuovi terreni dove coltivare e produrre: ovviamente il tutto sta avvenendo con perizia e precisione, prendendo in considerazione zone che prima dell’arrivo del flagello della filossera e della grande guerra dopo, già accoglievano le viti per la produzione dello Champagne (è bene sottolineare, infatti, che nel 1865 la superficie vitata in Champagne era addirittura di 65.000 ettari). Mantenere la stessa qualità ed aumentare la produzione, sempre che il mercato mondiale continui a chiedere e consumare così tante bollicine: una bella sfida.

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