Moscato di Scanzo verso la DOCG

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08 aprile 2009

Moscato di Scanzo verso la DOCG

Sarà la prima Docg della provincia di Bergamo, la quinta in Lombardia. Ha ottenuto il parere favorevole della Commissione ministeriale pubblicato sulla G.U. del 12 marzo. Ora si attende il decreto ministeriale di riconoscimento

Giordana Talamona

Appena un fazzoletto di sessanta ettari coltivati nella parte sud di Scanzorosciate, sulle colline più esposte al sole. È il Moscato di Scanzo Docg, vino passito da meditazione, rosso rubino carico che si esprime con belle note di frutta matura, che con gli anni si arricchiscono di profumi minerali, di pietra focaia e di incenso.

Un vino interessante, di certo quello più caratteristico e particolare di tutta la bergamasca.

Un vitigno autocnono antico, forse portato dai primi coloni romani della zona, le cui tracce documentali certe risalgono al 1372, a un carteggio del Vescovo feudatario della Tribulina di Scanzo nel quale di disquisiva di quanto “moscadello” gli dovessero fornire i suoi

coloni.

Da allora e dalle lotte intestine tra i Guelfi di Scanzo e i Ghibellini di Rosciate, che pare si disputassero le ambite botticelle di “moscadello”, il vitigno ha trovato la sua prima fortuna tra il seicento e il settecento, portato sino alla corte russa da Giacomo Quarenghi.

Mirabile architetto e pittore bergamasco, Quarenghi, chiamato alla corte di Caterina II di Russia alla fine del settecento, fece dono di alcune bottiglie di questo passito rosso rubino.

La seconda fortuna di questo vino, quella che sta vivendo oggi, porta il nome di “Consorzio di tutela” e raggruppa trentadue produttori. Per il moscato di Scanzo, infatti, per la sua salvaguardia e promozione si è fatto e si fa garante il Consorzio a cui si deve la scampata estinzione di questo vitigno. La crisi della viticoltura che ne aveva ridotto la produzione tra gli anni cinquanta e sessanta, ne aveva portato alla quasi completa scomparsa negli anni settanta.



Nacque quindi nel 1982 l’Associazione dei produttori del moscato di Scanzo, che ne incentivò la produzione e il miglioramento qualitativo e iniziò la procedura per la Doc.

Da qui un lungo, interminabile e travagliato iter che dapprima vide il riconoscimento della Doc in quella della Valcalepio, con la denominazione Valcalepio Passito Moscato di Scanzo. Nel 1993, a seguito dell’opposizione di altri produttori extra comune, tagliati fuori dalla denominazione, furono riconosciute altre Doc prodotte da uve passite di moscato

di Scanzo. Nascevano così altri “Valcalepio Passito Moscato di…” a cui venivano fatti seguire i nomi dei comuni di produzione. Fu a questo punto che nacque il Consorzio di tutela del moscato di Scanzo, quello che conosciamo ancora oggi e che volle tutelarne la peculiarità di zona e di prodotto richiedendone un riconoscimento autonomo rispetto alla Doc Valcalepio.

Nel 2002 si giunse quindi all’ambita denominazione Moscato di Scanzo o Scanzo Doc e dopo poco il Consorzio iniziò le pratiche per l’ottenimento della Docg. Differenze sostanziali tra i due disciplinari non ce ne sono. Per la Doc veniva previsto che il moscato di Scanzo fosse “ottenuto dalla pigiatura di uve moscato di Scanzo allevate, appassite, vinificate, affinate esclusivamente nel comune di Scanzorosciate”, alla Docg si è aggiunta

la dicitura “e imbottigliate”.

Ed è proprio per questo motivo che il Consorzio ha chiesto che la Docg fosse riconosciuta retroattivamente anche per la vendemmia 2007, quella che verrà messa in commercio dopo il primo novembre di quest’anno. Vino interessante, dicevamo, che trova la sua migliore espressione sul monte Bastia grazie a una particolare esposizione delle uve al sole, dall’alba al tramonto, e grazie a una conformazione calcarea chiamata “Sas de Luna”, una pietra bianca che non solo drena l’acqua e restituisce il calore alla vigna durante la notte, ma che si trova appena 30 cm sotto il terreno, limitandone la resa e permettendo una maggiore concentrazione delle sostanze terpeniche nell’uva.

Grappolo spargolo e piccolo, con buccia coriacea, ha una buona resistenza alla botrite

e la vite è piuttosto resistente allo oidio e alla peronospora. La maggior parte dei vigneti è a pergola e la vendemmia è effettuata a mano nel mese di ottobre. È previsto un appassimento minimo su graticci di 21 giorni. Il disciplinare vieta il passaggio in legno

e il moscato di Scanzo non se ne duole, anzi. Ha delle caratteristiche aromatiche

talmente peculiari che passarlo in legno sarebbe come snaturalo, ucciderlo. L’affinamento

avviene quindi in acciaio o vetro per un minimo di 24 mesi.

Se fatto bene, se le uve sono attentamente selezionate e appassite senza essere attaccate da muffe, si ha non solo un vino interessante, ma estremamente piacevole,

fine e da meditazione che trova il suo abbinamento con la pasticceria secca e con i formaggi della zona tra cui lo strachinut.

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