A tu per tu con Nino Barraco

Racconti dalle delegazioni
08 novembre 2023

A tu per tu con Nino Barraco

Nino Barraco, uno dei protagonisti della rinascita dei vini di Marsala, è stato ospite della Delegazione di Monza in compagnia di Giuseppe Vallone. Si è parlato di passato, presente e futuro di un terroir ricco di fascino e contraddizioni.

Alessandro Di Venosa

Sembra una sera di fine estate a Monza. Fa ancora piuttosto caldo. Ma è il 6 ottobre.
Sarà forse colpa (o merito) di Nino Barraco e della sua emozionante presenza in Delegazione in compagnia del sommelier Giuseppe Vallone? Non lo sappiamo; ciò di cui siamo certi, però, è che qualche sera fa Nino ha portato con sé, in piena Brianza, una salina, calda ma altrettanto fresca (nel senso più ampio del termine) ventata di Sicilia. 

Ma chi è Nino Barraco? 

Come egli stesso ama definirsi sulle etichette delle sue creature, è prima di tutto un contadino. «Che disonore!» esclama, tra il serio e il faceto, incalzato dalle domande di Giuseppe. Ma questa è tuttora la percezione di questa professione così importante per la nostra cultura e per l’ambiente. Quando Nino, terminati gli studi in Scienze Politiche decise che la vigna, la cantina, il mare e i dolci declivi intorno alla sua casa, sarebbero diventati ciò a cui dedicare la sua esistenza, non mancò di ricevere il monito della sua cara nonna, convinta che, a quel punto, quello dedicato allo studio, era stato tempo buttato se proprio sentiva così forte il desiderio di abbracciare la terra invece che una scrivania di qualche ufficio sito chissà dove.

Da dove arriva Nino Barraco? Dalla Sicilia, ma non da un luogo qualunque; dall’estrema Trinacria occidentale, da Marsala. Come sottolinea Giuseppe Vallone nella sua introduzione, questo areale è battuto da 3.452 ore di sole all’anno. Queste ore di sole sono evidentemente parenti di una temperatura media annua di 18,3°C affiancata da una piovosità media di 554mm. Tra giugno e settembre la media delle temperature massime non scende sotto i 25,5°C (valore medio 1991-2021).

Come collocare il Marsala oggi? Lo annoveriamo, senza dubbio, in quella categoria di prodotti dal vissuto travagliato e complesso; un passato, però, che non gli ha impedito di tornare a risplendere nel presente almeno tanto quanto prima che un capitano inglese lo portasse in Inghilterra fortificandolo e dando, involontariamente, il via alla marsalistica, sinonimo di trasformazione della locale economia da rurale-artigianale a propriamente industriale.
Sì perché il Marsala, vino fortificato, conciato e industrializzato, era ben altra cosa dall’originale vino di Marsala: è stato solo grazie a produttori illuminati che oggi abbiamo di nuovo la possibilità di bere ciò che fu e, se possibile, reso ancora migliore dallo studio profondo e amorevole di tutti coloro che hanno voluto salvarlo. A partire da Marco De Bartoli, che con il suo Vecchio Samperi fece riaprire gli occhi sul vero vino dei marsalesi, quello che oggi, per intenderci, definiremmo pre-British: un vino di contrada, ossidativo, non fortificato, non conciato, prodotto ad alta gradazione naturale e frutto di un assemblaggio verticale di annate con un sistema simile alle soleras spagnole, prodotto per la prima volta nel 1980, 

Quali vini produce Nino Barraco? 

Partiamo dal presupposto più importante, ovvero l’idea di vino di Nino Barraco, elemento fondatore e fondante di tutto il suo essere vignaiolo. Come campeggia sul suo sito, ciò che egli cerca «non è un vino “perfetto”, ma un vino che sappia emozionare. Lavoriamo controllando ogni fase della produzione, dalla coltivazione delle uve alla vinificazione, dall’imbottigliamento alla proposta di cinque vitigni (grillo, catarratto, zibibbo, nero d’Avola e pignatello – ndr). Ad ogni vendemmia dedico sempre uno spazio alla ricerca, sperimentazione e innovazione, nel solco del lavoro che abbiamo già fatto, senza stravolgerlo».

Quindi, cosa abbiamo degustato? Sei eccellenti testimoni del loro terroir di provenienza. Sei vini tutti vinificati con uve grillo in purezza, ognuno con la sua personalità, ognuno con un pensiero, ognuno con qualcosa da raccontarci.

Il racconto della degustazione

Ecco, dunque, far capolino nel nostro calice il primo vino della serata. Una partenza in grande, uno dei vini più iconici dell’intera produzione di Nino, il Terre Siciliane Bianco Igp Vignammare 2017, vino che oggi ha cambiato nome in Binacammare. Nasce da una «raccolta volutamente squilibrata» sottolinea Nino: sì, perché questo prodotto, dall’invitante colore dorato luminoso, nasce proprio dall’idea di emulare le doti di un vino che il produttore aveva degustato a inizio millennio in Borgogna, un vino che sapeva di mare e di ostriche, salato. Sfruttando un piccolo appezzamento a due passi dal mare, Nino nel 2011 decide di creare un Metodo Classico da dedicare alla figlia Alice, prossima alla nascita. Una volta assaggiata la base si accorge di quanto quel vino fosse, in realtà, già fatto e finito. Così, la bollicina prodotta nel 2011 in quella vigna ne rimane l’unica produzione. Dal 2012 quella base spumante, figlia di una vendemmia anticipata che gioca in quadro volutamente acido, diventa l’interpretazione di Nino di queste uve grillo nate e cresciute sulla battigia, in grado di portare con sé tutti i saporiti profumi e gusti del mare della costa ovest della Sicilia. Messo al naso l’impianto olfattivo è sfaccettato: un «diorama di immagini che si susseguono» afferma Giuseppe citando una grande voce del vino come quella di Armando Castagno. Immagini evocate dai profumi di frutta matura e disidratata, profusione di iodio, erbe aromatiche: è un vino che parla. Schioccante in bocca grazie a una freschezza e a una sapidità che lo rende snello ma al tempo stesso possente.

Gioca quasi in antitesi al suo predecessore il Terre Siciliane IGP Bianco G 2021 che, anche in questo caso, non rivendica l’indicazione del vitigno in etichetta. A differenza del Vignammare, che per decisione di Nino non fu mai presentato per l’assegnazione della DOC, in questo caso, dopo che nel 2020 il vino fu bocciato in commissione d’assaggio con la motivazione di “mancanza di territorialità”, il produttore decise di non presentarlo più. Tralasciando i dettagli di questo che sembra quasi uno scherzo del destino verso uno dei più strenui difensori dell’espressività siciliana attraverso il vino, ciò che si riscontra subito in questo prodotto è il suo carattere più introverso rispetto al Vignammare: colori più tenui si abbinano a profumi che emergono con minore esuberanza. Un ascolto pronto e accorto, evidenzia tonalità tostate di nocciola, di albicocca disidratata, sbuffi agrumati: «questo vino sussurra», come ci si può aspettare da un vitigno nobile come il grillo vinificato in modo da preservarne al meglio le caratteristiche varietali. In bocca entra suadente, sferico, e in comune con il primo calice ha il sale che ritorna e amplia l’assaggio. Persistente, invoca l’abbinamento.



Un battito di ciglia e alla nostra destra compare una splendida magnum che reca al suo interno il Terre Siciliane IGP Le Dame 2021. Se nel primo vino abbiamo trovato la lettura, quasi estrema, di un singolo cru, se con il secondo abbiamo individuato l’interpretazione lineare e netta dell’uva, con questo terzo calice il produttore intende dare massima espressività all’annata. Questa idea è figlia dello stile di vinificazione: il mosto viene infatti viene posto a vinificare in damigiane di vetro, secondo una tecnica usata di rado, soprattutto a causa delle dimensioni ridotte di questi contenitori. Ma dato l’estremo livello di inerzia di questi recipienti, possiamo dire con certezza che alla fine del processo, il blend delle diverse damigiane contenti prodotti derivanti anche da vigne diverse, potranno senza dubbio offrire una media organolettica in grado di rappresentare il millesimo. Vicino nei colori al Bianco G, fa emergere al naso profumi di alghe, di scoglio, di erbe aromatiche tipiche della macchia mediterranea che scivolano verso nuance di frutta a polpa bianca croccante. Fresco più che sapido, si apre a un sorso dove per la prima volta percepiamo con più forza un effetto pseudo-calorico.

Il Biancoterre Siciliane IGP Altomare 2019 è per Nino il vino della maturità. Un vino che nasce sulla scorta di vini già in produzione e di cui si è voluto cogliere i tratti più significativi per unirli a un lato sperimentale. Quattro vendemmie separate, da quattro vigne diverse: «ce lo siamo immaginati come se fosse un vino costruito su quattro colonne: le due colonne esterne sono date dalla struttura dell’Altogrado (il sesto vino in degustazione) e dall’acidità del Vignammare, nel mezzo la classicità del Bianco G e infine la parte sperimentale data dalla vinificazione a grappolo intero». Ne risulta, come dice Nino, quasi un vino “Frankenstein”, in cui di fatto è come se convergessero quattro vini diversi in grado però di integrarsi dando vita a una nuova armonia (o dissonanza, a seconda dei punti di vista). Questa quarta interpretazione è nuovamente molto diversa dalle precedenti. Giallo caldo, intarsiato da luminosi riflessi arancioni, al naso gioca su note dolci e aromatiche, a tratti puntute: zafferano da una parte, chiodo di garofano dall’altra; poi nocciola, scorza di arancia. Nino lo definisce “affascinante”, Giuseppe “seducente”. La bocca è piena, entra larga, con una dimensione tutta sua: la trama tannica è la vera chiave di lettura di questo vino, è la rete che sostiene tutto l’assaggio. È un viaggio leggermente amaricante che dall’inizio alla fine accompagna l’assaggio.

Il Terre Siciliane IGP Grillo 2015 è il protagonista del nostro quinto assaggio. Nino ci tiene a farci notare che la nota ossidativa percettibile subito all’olfatto è caratteristica transitoria di questo vino: basterà aspettarlo ancora qualche tempo in bottiglia per vedersi ridurre questa caratteristica; nel nostro caso, avendo il vino già nel calice, basterà semplicemente farlo respirare per vedere emergere tutte le sue migliori caratteristiche organolettiche. Il colore e l’olfatto ci parlano di evoluzione: frutta secca tostata, mandorle soprattutto, nocciole caramellate, arancia in confettura che chiudono su tonalità di colatura di alici. L’iniziale rotondità, via via si assottiglia e si fa sapidità ma soprattutto freschezza e pseudo-calore, che si stagliano sullo sfondo di una piacevolissima trama tannica.

Chiudiamo la nostra degustazione con il Terre Siciliane IGP Altogrado 2016. Un vino che è una sorta di firma sul manifesto produttivo dell’azienda Barraco. Lo è perché questa tipologia porta nel calice tutto il legame dei marsalesi con la propria terra, con il mare, con il vigneto; è il vino da tutto pasto, è il vino che fino alla fine degli anni ’80 si trovava su tutte le tavole dei marsalesi. Paradossalmente è anche il vino più “semplice” da fare: il lavoro infatti lo fa tutto l’uva, come ricorda Nino. Caratteristica importante è quella di partire da una vigna possibilmente vecchia e di aspettare l’uva in vigna il più possibile, in modo da averla a piena maturazione ma non disidrata. Nel suo caso, avviene anche la fortunata comparsa di muffa nobile, elemento che rende l’assaggio e ancora più complesso e attraente. In cantina, sono sufficienti poche ore di contatto con le bucce, con la pressatura che avviene direttamente sulla botte grande in cui avverrà il processo fermentativo. Alte temperature in fermentazione, escursione termica percettibile tra estate e inverno, e poi è tutta attesa: la regola di Nino e non meno di sette anni per ottenere l’articolato profilo organolettico desiderato. Note di dattero, zenzero candito, mallo di noce, caramello e fico al forno offrono al nostro olfatto una profondità paragonabile a un vino passito. All’assaggio è letteralmente spiazzante: tutta la direzione dolce olfattiva, in bocca diventa sapidità, freschezza, calore, tannino: «un monolite che ti conquista» chiude Giuseppe.

Abbiamo concluso degustando l’ultimo vino (ma naturalmente non ci siamo fatti poi mancare una prova di abbinamento con gli altri vini già degustati) con due fette di pane del pluripremiato Forno del Mastro che si sono fatti base ideale per una leggera distesa di ricotta di bufala su cui poggiava una quenelle di miele di sulla, quest’ultimo prodotto dallo stesso Nino. Un piccolo regalo della Delegazione di Monza che è stata, come da abitudine, accogliente e ospitale, e anche questa volta non ha mancato di farci chiudere in bellezza con questo gradevole amuse bouche finale che, come si suol dire, è stata la ciliegina sulla torta di una splendida serata.