Alla ricerca del “vigneto sostenibile”

Racconti dalle delegazioni
07 settembre 2023

Alla ricerca del “vigneto sostenibile”

Sara Missaglia ci accompagna tra le pagine del libro “Il vigneto sostenibile” insieme alle autrici Valeria Fasoli e Costanza Fregoni, in un excursus che ridona senso e sostanza alla parola sostenibilità, in un’epoca segnata dalla pericolosa deriva del fenomeno del greenwashing.

Valeria Mulas

«Abbiate cura di incontrare chi non sta nel mezzo, cercate gli esseri estremi, i deliri, gli incanti. Cercate una donna e un uomo che non siano di questo mondo. Cercate Giovanna d’Arco, Giordano Bruno».

Sara Missaglia - giornalista, sommelier, degustatrice e relatrice AIS – sceglie le parole di Franco Arminio per introdurci alla conoscenza delle due autrici del libro Il vigneto sostenibile. Progettazione, realizzazione e gestione – Edagricole, 2022, il vero protagonista della serata.

Le autrici

Valeria Fasoli si presenta come una donna che mette sempre in discussione i dati certi e che non accetta i luoghi comuni. Agronoma, ha studiato prima a Milano e poi a Piacenza. Dopo un peregrinare tra ricerca e lavoro in Oltrepò Pavese, nelle Marche e in tutta Italia, approda in Toscana, dove è diventata Direttore Tecnico in Viticoltura. Qui vive e coltiva anche un piccolo vigneto di pinot nero per il piacere di condividere la piccola produzione con gli amici.

Costanza Fregoni, anch’essa agronoma, nel tempo ha scelto di iscriversi all’albo dei giornalisti. Dopo gli studi approda prima in cantina e in campo con il Consorzio Colli Piacentini, poi sceglie la carriera di giornalista, formatrice e copywriter, occupandosi di comunicazione sia per il settore vitivinicolo che per l’indotto.

Il vigneto sostenibile

L’uso della parola “sostenibilità” è andato via via crescendo fino al punto che oggi, sia il sostantivo che gli aggettivi derivati, vedono la loro presenza in modo sproporzionato e al limite dell’esagerazione. Viene quindi da chiedersi perché scegliere di inserire questo termine nel titolo del libro oggetto della serata. Per la risposta, dice Sara Missaglia, può esserci utile l’introduzione scritta da Gianmarco Navarini, professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università Bicocca di Milano. «Partiamo da una considerazione che forse può apparire non così scontata: la “sostenibilità” non è una novità assoluta dei nostri tempi. Il concetto ha una storia millenaria, sebbene la sua diffusione abbia inizio in Europa nel XVI secolo; la parola invece compare ufficialmente nel 1650, in alcuni trattati di scienze forestali, per poi caratterizzare i primi grandi manuali di silvicoltura del Settecento, in particolare in Germania (Warde, 2018). Da allora, la parola ha viaggiato in diverse lingue per oltre due secoli, portando con sé molteplici concezioni e definizioni di carattere ambientale e squisitamente settoriale (pratiche agricole, attività colturali, teorie del suolo e del clima ecc.), sino a diventare una parola “moderna” e quindi sempre più familiare nella società, una parola la cui principale novità sta nel rimandare a questioni non soltanto settoriali ma di dominio pubblico». Non solo, perché questa parola, così moderna e familiare, porta in sé «la definizione di un nuovo campo di competizione nel quale, anche in termini di mercato, si presume che l’attivazione di processi concreti in direzione della sostenibilità sarà premiata». Eppure, «a fronte di una massiccia elaborazione di principi generali e linee guida, le definizioni concrete delle pratiche da seguire in campo, nel vigneto, risultano decisamente esigue».

Ecco allora che le autrici, Fasoli e Fregoni, optando per il termine “sostenibile”, scelgono inevitabilmente di entrare in un’arena già satura, ma lo fanno con la consapevolezza di poter colmare la parte concreta delle pratiche e ridare sostanza a qualcosa che sta diventando pura forma. Il libro vuole quindi essere un aiuto pratico per i viticoltori, un contenuto esperienziale concreto che attraversa tutte le fasi dall’impianto, alla potatura, dalla gestione a verde e del suolo alla concimazione e nutrizione del terreno, dall’irrigazione alla difesa, fino alla raccolta e alle nuove tecniche di viticoltura di precisione e digitale. Un volo dall’alto, quasi una visione olistica, che offre una vasta panoramica sull’argomento, senza avere la pretesa di essere esaustivo e che si apre ai contributi di molti esperti in diverse discipline, in modo da poter offrire gli strumenti per la costruzione di una nuova viticoltura taylor made nelle mani dei produttori.

«Ma come si fa in concreto a fare sostenibilità in vigna?», chiede Sara Missaglia nel corso dell’intervista. La risposta è semplice quanto illuminante: «un vigneto sostenibile è la migliore interpretazione del proprio sito, a partire dalla storia del luogo e delle pratiche peculiari», racconta Valeria Fasoli, «ed è ricerca di bellezza paesaggistica». Un concetto, questo, che porta in sé il legame profondo con il territorio, così come la ricerca di biodiversità, il rispetto della cultura storica del luogo e della capacità umana di essere un tassello di integrazione e non di disgregazione nella natura. In altre parole, potremmo dire che fare sostenibilità è tornare a quel concetto così ampio, ma anche così preciso, di terroir. Senza dimenticare mai che la sostenibilità è, e deve essere, anche sociale. In questo la ricerca spasmodica e molto pubblicitaria dell’uso della vuota parola si sta scontrando contro una comunità di consumatori esigente e attenta. Lo stesso legislatore, a livello europeo, ritiene ormai urgente fare ordine nel mare dell’uso delle parole per puro scopo di marketing, andando a lottare insieme ai consumatori contro l’onda del greenwashing. Inserire, quindi, all’interno del concetto di sostenibilità, l’attenzione al lavoro, al vero impatto sociale e ai valori concreti del fare, vuol dire allargare gli orizzonti e offrire un’ulteriore arma di difesa e di realtà, contro l’ecologismo di facciata.

In attesa delle specifiche da parte del Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, per il disciplinare di certificazione nazionale della sostenibilità nella filiera vitivinicola, ci concentriamo sull’assaggio dei cinque vini scelti da Sara, Valeria e Costanza. La selezione e la sequenza sono stati funzionali al percorso narrativo della serata, con l’obiettivo di individuare per ognuno il particolare nesso con la sostenibilità.

La degustazione

Bianco Sicilia DOC Mozia 2022 - Tasca d’Almerita
grillo 100%
Sostenibilità: interpretazione del luogo e sua storicità.
Un vino che è anche lo specchio del suo territorio. Non potevamo iniziare con un vino più iconico, visto l’argomento. Mozia è, infatti, una piccola isola nello Stagnone di Marsala: un ecosistema unico e marino legato dal 1800 alla vigna oltre alla presenza dei siti archeologici Fenici. Tasca d’Almerita ha scelto di custodire il grillo, vitigno indigeno, attraverso la sua forma di allevamento storica – l’alberello – cercando di recuperare anche, nelle scelte agronome e di campo, quelle operazioni di sostenibilità affrontate nel libro. La forte presenza di calcare nei terreni sabbiosi e sciolti fa sì che il pH del suolo arrivi fino a 8,2, al limite della sopravvivenza della vite. Eppure, il vino, che vede solo vasche d’acciaio nella vinificazione e nell’affinamento, risulta pieno di fascino, pur nella sua giovinezza, esplicitata già nel color paglierino filigranato che vira al verdolino. Profumi intensi e seducenti colpiscono l’olfatto con note di gelsomino e fiori d’arancio, seguite da scorze di agrumi ed erbe mediterranee. Il fiore del cappero, poi, fa da sfondo a brezze marine, sale e grafite. In bocca è sferzante, intenso, sapido e abbastanza persistente. Un vino ricco di fierezza e di mare.
 
Toscana IGT Bianco Gualdrada 2018 - Tenuta Scrafana
trebbiano toscano 100%
Sostenibilità: biodiversità e vigneto estetico.
Melissa Maggioni, co-titolare insieme al fratello Jacopo di Tenuta Scrafana, è presente in sala. La Tenuta conta 50 ettari dislocati su una collina a Montevarchi, in Toscana, tra ulivi, frutteti con varietà antiche, parti boschive, corsi d’acqua e specie spontanee che fanno da sfondo ai 20 ettari dedicati al vigneto. Qui la presenza dell’uomo si è inserita con delicatezza in un contesto non solo di bellezza paesaggistica, ma di biodiversità e di equilibri naturali. Il calice si presenta con un colore giallo paglierino che vira verso l’oro, di bella luminosità. Al naso regala sentori di ginestra e fiore di acacia, mela renetta, cera d’api, ma anche fieno secco e caramella d’orzo, con punte di lavanda. Una composizione che ci parla della macerazione che queste uve di trebbiano fanno sulle bucce, per circa 48 ore, e della maturazione in anfora e barrique d’acacia per 24 mesi. In bocca la composizione si fa succosa e avvolgente: apre sulla frutta tropicale, banana e ananas, per chiudere con un ritorno salino. La freschezza d’impatto si fa lunghezza generosa con le erbe medicinali e contrappunti tannici che ricordano il livello di polifenoli delle uve.
 
Bianco Frizzante Zero Infinito 2022 - Pojer e Sandri
solaris 100%
Sostenibilità: vitigni resistenti.
Parlare di sostenibilità vuol dire anche aprirsi a quei vitigni nati da incrocio (e quindi non da manipolazione genetica) fra quelle varietà in grado di resistere maggiormente agli attacchi dei funghi patogeni e, in particolare, alle due grandi malattie endemiche della vite, oidio e peronospora, che ancora oggi affliggono la viticoltura. Nascono così i vitigni resistenti, PIWI, che dalla fine del 2021 sono ammessi alla coltivazione dalla Comunità Europea e dal Registro Nazionale delle Varietà di Vite, anche se non ancora in tutte le regioni d’Italia e non inseriti in tutti i disciplinari. In attesa che si facciano passi avanti dal punto di vista legislativo e consortile, i viticoltori sono liberi di sperimentare purché i vini prodotti escano dalle denominazioni, così come hanno fatto Pojer e Sandri che, tra i primi, hanno inserito i vitigni PIWI nelle loro produzioni. Siamo in Alta Val di Cembra, tra gli 800 e i 900 m s.l.m., in una zona che riceve i benefici dell’Ora del Garda, oltre ai venti da nord delle Valli di Fiemme e Fassa. Questo vino, il cui nome ricorda che zero sono gli additivi, zero è la chimica di sintesi e zero sono i diserbanti, appare torbido per la presenza di lieviti in sospensione (è un metodo ancestrale) e di un colore che ricorda i succhi di frutta. Rimando, quest’ultimo, che ritroviamo immediatamente al naso: il succo di pera è il protagonista indiscusso, lasciando pian piano il passo a sentori di sambuco, agrumi, piante officinali fresche, per chiudere con la pesca bianca e croccante. Dissetante, succoso, fresco e sapido, si allunga su note esotiche, sull’agrume, sull’elicriso, sulla mela e sulla pesca. Un vino mai banale, di estrema pulizia e di grande piacevolezza, che chiude con una leggera nota amaricante.
 
Castelli di Jesi Verdicchio Riserva DOCG Classico San Paolo 2020 – Pievalta
verdicchio 100%
Sostenibilità: il biodinamico.
Arriviamo nelle Marche per conoscere la prima azienda della regione certificata biodinamica e il suo Verdicchio, che matura 18 mesi in acciaio, cemento e botte grande da 25 hl. L’approccio biodinamico è un’altra possibilità di rispetto dei processi naturali che i viticoltori possono scegliere tra le tante, in risposta alla richiesta di sostenibilità. Colore giallo paglierino con pagliuzze dorate per questo calice che al naso non nasconde la sua impronta minerale e salina. Note di frutta croccante, mela e pera in primis, ma anche il ribes bianco e il mango fanno da contrappunto ai profumi floreali e vegetali, dalla ginestra alla camomilla, passando per prati verdi e di artemisia. Palato fresco, vibrante, pulito ed esteso: l’assaggio procede per passi precisi e distinti, allargandosi in tridimensionalità, con un gusto pieno, armonico e pulito, dal sapore di erbe aromatiche.
 
Chianti Classico DOCG Brolio 2021 – Ricasoli
sangiovese 95%, colorino 5%
Sostenibilità: la certificazione.
Ricasoli pratica un’agricoltura di estremo rispetto dell’ambiente che prevede l’esclusione totale del diserbo chimico e dei pesticidi. Non solo: dei 1200 ettari di proprietà, il 70% è coperto da boschi e macchia mediterranea a salvaguardia della biodiversità della zona. Siamo a Gaiole in Chianti e qui Ricasoli è, oggi, il primo datore di lavoro del Comune, con risorse quasi esclusivamente locali impiegate in azienda (sostenibilità sociale). L’azienda ha scelto lo standard di Certificazione Equalitas che pone l’accento anche sul piano etico-sociale-economico oltre che sulla sostenibilità ambientale. Assaggiamo il loro Chianti Classico: un vino giovane dai profumi di ciliegia croccante, piccoli frutti rossi, qualche nota di pepe nero, viola e sbuffi di rosmarino. Un gioco di sottrazione che regala anche in bocca un’esuberanza di freschezza, di gioventù. Succoso, gustoso, generoso, sferzante con un lascito di tannino molto ben gestito.
 

Chiudiamo ricordando che le nostre due autrici sono anche tra le fondatrici dell’associazione Donne della Vite, che riunisce coltivatrici, ricercatrici, agronome, produttrici, enologhe, sommelier, ristoratrici, enotecarie, giornaliste, con lo scopo di promuovere e valorizzare il ruolo femminile nel mondo vitivinicolo e fungere da punto di riferimento e aggregazione per le operatrici del settore. Tra i tanti progetti messi in campo non poteva mancare un’azione di solidarietà concreta che vede la collaborazione con l’Associazione Amani e la raccolta fondi per la Casa di Anita, un centro di accoglienza alla periferia di Nairobi per ex-bambine di strada. Questa avviene attraverso l’acquisto di vini scelti dalle Donne della Vite in base ai principi di sostenibilità ambientale e sociale.