Alla scoperta del Barbaresco

Racconti dalle delegazioni
30 novembre 2022

Alla scoperta del Barbaresco

Insieme a Francesco Ferrari, una serata organizzata da AIS Monza per cominciare a conoscere i tratti essenziali del Barbaresco, le sue MGA, i suoi territori e le sue tante sfaccettature

Ilaria Menci

“…costoro abitano una terra scabra, del tutto infeconda e vivono una sorta di vita gravosa e inclemente a causa delle fatiche e delle ininterrotte tribolazioni connesse al loro lavoro.
Siccome infatti il loro paese è fitto di alberi alcuni di essi per tutto quanto il giorno tagliano legna, a ciò adoperando forti e pesanti scuri di ferro. Altri, che vogliono coltivare la terra, devono occuparsi perlopiù di spaccare pietre, poiché è tanto arido e roccioso il suolo che con gli strumenti non si può sollevare una zolla senza che con essa non si levino sassi. Però, quantunque abbiano a lottare con tante sciagure nelle loro attività, a forza di ostinato lavoro la spuntano sulla natura…”.
Diodoro Siculo – Bibliotheca Historica

 

Un terra vocata alle coltivazioni, scriveva già Diodoro Siculo nella sua opera del I secolo a.C., la stessa vocazione che dimostra di avere il nostro Francesco Ferrari verso questa terra, il Barbaresco, e che ritroviamo nel suo racconto incessante ed appassionato, che ci accompagna in maniera contagiosa in un viaggio che non avremmo voluto finisse mai.

Barbaresco si trova a sud del Piemonte, in provincia di Cuneo, e dall’alto domina le vigne circostanti marcando in modo netto una linea di separazione tra il vicino Roero e la zona delle Langhe; separazione importante, perché i vini qui sono diversi nonostante le vigne siano confinanti. Cambia tutto. Cambiano i terreni, di origine marina, cambiano i suoli, di matrice semplice (bianchi), più simili al terreno sottostante e più drenanti, o evoluta (rossi), diversi da tutto ciò che c’è in profondità. Cambia il clima, perlopiù temperato e con una piovosità non abbondante, nonché le vigne, posizionate ad altitudini tra i 150 e i 450 di altitudine, e influenzate dal forte influsso termico dato dalla vicinanza del fiume Tanaro.
Sono gli ingredienti di un terroir che sa di unicità. Ed è in questo terroir che nasce uno dei vini più amati e conosciuti sl mondo: il Barbaresco. Fratello minore del Barolo, ma mai secondo (neanche nell’ordine alfabetico), mai inferiore. Semplicemente, diverso.

La nascita del Barbaresco

La nascita del Barbaresco si può far risalire a due grandi personaggi: il primo fu Louis Oudart (1802-1881), commerciante francese di vini che trascorse decenni in giro per le Langhe fino a stabilirsi a Genova, sul porto, fondando qui un’azienda vinicola.  La conoscenza e la collaborazione, dal 1853, con il Conte Camillo di Castelborgo, proprietario del castello di Neive, lo portarono a vincere nel 1862 la medaglia d’oro per due vini, il “Nebbiolo secco di Neive” ed il “Pignolo di Neive”.

Il secondo personaggio fu Domizio Cavazza (1856-1913), modenese laureato in Agraria e poi in Enologia; nel 1881 fondò la Scuola Enologica di Alba e nel 1894 comprò il Castello di Barbaresco e fondò la Cantina Sociale di Barbaresco, dove si iniziò a produrre quello che viene considerato il primo vino ufficialmente chiamato Barbaresco. 

I tratti essenziali del Barbaresco

Realizzato esclusivamente con uve nebbiolo, il Barbaresco viene prodotto in quattro comuni della provincia di Cuneo: Barbaresco, Treiso, Neive, San Rocco Seno d’Elvio. All’interno del suo disciplinare, a partire dal 2007, sono previste 66 MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive), ognuna col proprio nome e con le proprie caratteristiche. Il Barbaresco deve affinare minimo 2 anni, 4 nella tipologia Riserva, dei quali almeno 9 mesi in legno. Se riportata la menzione “Vigna” le rese si abbassano del 10%.

Il nebbiolo, come ha sottolineato Francesco Ferrari, possiamo descriverlo con 6 parole: “il più grande vitigno del mondo”. Il motivo? Con una lunga storia alle spalle, esprime ma non domina il territorio, lo interpreta senza prevalere, raccontando quello che ha da dire; e lo fa talmente bene che è impossibile confondere vini di zone diverse. È una varietà indubbiamente difficile da allevare in vigna così come da lavorare in cantina. Matura tardivamente, è scarico di antociani, caratteristica che poi ritroviamo nel bicchiere, dove il colore del vino è poco intenso, tendente al granato anche in gioventù.

I principali personaggi che hanno fatto grande il Barbaresco

Don Fiorino Marengo | Parroco di Barbaresco, si rivolse ai produttori chiedendo loro di unirsi. Cominciò prudentemente a parlare di associazione, riferendosi allo storico Cavazza, e nel 1958 fondò la Produttori del Barbaresco, una Cantina Sociale da sempre vocata alla qualità. Si coltivava solo nebbiolo, in 3 tipologie, e si vinificavano 9 MGA, tutte con menzione Riserva.

Giovanni e Angelo Gaja | Diventati simbolo del Barbaresco, devono tutto ad una donna, Clotilde, mamma di Giovanni Gaja, che spinse il figlio a puntare tutto sulla qualità assoluta, il quale fin da subito apportò innovazioni significative: dalla riduzione delle rese in vigna alla trasformazione dei mezzadri in salariati. Oggi, Gaja ha vigne in quasi tutte le MGA, senza mai rivendicarle, per dare rilievo esclusivamente al nome dell’azienda, conosciuta in tutto il mondo.

Bruno Giacosa | Figlio di un mediatore di uve e, a detta di tutti, degustatore di uve eccelso, grande conoscitore dei vini di Langa. Inizialmente non aveva vigne, ma comprava uve perfette, costruendo così grandissimi vini. Oggi l’azienda vinifica uve proprie.

La degustazione

Barbaresco Riserva DOCG Santo Stefano 2015 – Castello di Neive
Vigneto Albesani, vigna Santo Stefano (Neive)

Macerazione di 15-20 gg, affinamento di 6 mesi in acciaio seguiti da ulteriori 15 mesi in botte grande e 30 in bottiglia.
Dall’aspetto granato con qualche anno alle spalle, il vino al naso esprime immediatamente tipiche note balsamiche e mentolate, seguite da profumi di piccoli frutti rossi, agrume scuro, ed ancora da una rosa canina e da un leggero chinotto.
Note che troviamo in bocca con una bella corrispondenza, accompagnate da un tannino presente ma non troppo incisivo, una piacevole liquirizia mentolata. 
Leggiadro, lungo, persistente.

Barbaresco DOCG 2017 – Gaja
Vigneto Pajorè (Treiso)

Dopo una fermentazione in acciaio e una macerazione non troppo lunga, il vino matura in barrique e botte grande.
L’aspetto visivo mostra un colore più rubino, non solo perché più giovane ma in quanto caratteristica dei vini di Gaja. Le prime note olfattive sono quelle di un mazzo di fiori, con rose e viole, note quasi dolci che ricordano delle caramelle alla violetta. Profumi che continuano ad aprirsi con sentori fruttati di ciliegia, gelatina di ribes, ma anche di speziatura dolce, note di incenso e di cipria, lasciandoci estasiati dalla assoluta nitidezza di ogni profumo.
Il sorso offre un tannino suadente, perfettamente integrato, con note quasi “dolci”. Spicca la lunghissima persistenza del fiore, con la viola che rimane piacevolmente al palato.
Un vino di grande facilità di beva.

Barbaresco Riserva DOCG Casmar 2016 – Giuseppe Nada
Vigneto Casot  e Vigneto Marcarini (Treiso)

Fermentazione spontanea, senza solfiti aggiunti inizialmente. 60-75 gg di macerazione a cappello sommerso, che prosegue con una maturazione di 12 mesi in botticelle da 1000 l. non tostate, 20 mesi in botti grandi di rovere, per concludere l’affinamento con 12 mesi in bottiglia.
Il profilo olfattivo è scuro, austero, parla di grafite, foglie secche, sottobosco, pot-pourri di fiori secchi, gerani; anche la frutta è più scura. Torna al naso la balsamicità, con ricordi di erbe officinali, artemisia.
L’assaggio ha forte personalità, specchio del territorio di Treiso. Torna a farsi sentire l’agrume, insieme a radici di liquirizia e una nota quasi pepata. Il tannino, nonostante sia ben integrato, ha un’impronta più incisiva, caratterizzando il vino in modo più burbero e duro.
Buona la freschezza e la persistenza.

Barbaresco Riserva DOCG Pora 2014 – Produttori del Barbaresco
Vigneto Pora (Barbaresco)

La lavorazione di questo vino ci racconta la classicità: fermentazione in vasche di acciaio, 28 gg. di macerazione a cappello emerso, con un affinamento di 36 mesi in botte grande e 12 mesi in bottiglia.
Osservando il bicchiere notiamo subito un colore più intenso, dove del tipico granato ha solo sfumature, mentre spicca il rubino, tipicità della vigna di Pora.
Al naso si conferma la classicità, riconoscendo prima di tutto il frutto e i fiori, nello specifico i piccoli frutti rossi di ribes, viola e il garofano. Non manca una leggera nota agrumata, una leggera speziatura ed un accenno di balsamicità quasi canforata.
In bocca lo troviamo potente, con note di china, e apprezziamo un tannino educato, ben maturo nonostante l’annata piovosa. È un sorso abbastanza pieno, che manca forse di spinta sul finale.

Barbaresco DOCG Asili 2015 – Bruno Giacosa
Vigneto Asili (Barbaresco)

Anche in questo caso l’approccio è classico: fermentazione in acciaio 20-25 gg. a cappello emerso, affinamento di 18 mesi in botte grande e 12 in bottiglia.
Osserviamo un rosso granato molto bello; i profumi si fanno di frutta prima di tutto, parlano di piccoli frutti rossi, fragolina, lampone, senza esprimere un’eccessiva dolcezza. Entra nel ventaglio olfattivo il fiore, con sentori di iris e viola, che vanno ad aprirsi ancora verso una leggera torrefazione, speziatura di carruba, liquirizia con una nota dolce e balsamica. Certamente un naso burbero ma altrettanto nitido.
All’assaggio ritroviamo un tannino perfetto; il sorso non si allarga ma entra dritto, fine, affusolato ed incredibilmente lunghissimo. Una bocca è senza dubbio eccellente, forse migliore rispetto al naso. 
Un vino ancora in evoluzione, che ci regalerà tra qualche anno una sinfonia meravigliosa.

Barbaresco Riserva DOCG Rabaja 2013 (bottiglia Magnum) – Giuseppe Cortese
Vigneto Rabaja (Barbaresco)

Le vigne Rabaja, da cui si produce questa Riserva, sono molto vecchie. La lavorazione parte da una fermentazione spontanea in cemento non vetrificato, con una successiva macerazione a cappello emerso per 35 gg. Seguono 40 mesi di maturazione in botti di rovere e altri 36 mesi in bottiglia.
Avvicinando il calice al naso incontriamo uno spettro olfattivo più scuro, che ci racconta in primis di erbe aromatiche e spezie, carruba, tamarindo, rosmarino e anice. Non manca una bella florealità di geranio e garofano, certamente di fiori più selvatici, accompagnata anche da una gelatina di fragole. Completano la complessità olfattiva note di legni pregiati, come il sandalo, ed una balsamicità a tratti speziata.
L’assaggio è potente e ci regala un’ottima corrispondenza con il naso. Grande struttura e persistenza.