Alla scoperta del Moscato di Scanzo

In una delle più piccole Docg italiane nasce un passito rosso che rappresenta un autentico vanto dell’enologia bergamasca, apprezzato ben oltre i confini della piccola zona collinare in cui dimorano le sue vigne

Stefano Vanzù

Parafrasando lo sport più amato nel nostro Paese, potremmo definire la serata dedicata al Moscato di Scanzo una “partita enoica” in cui AIS Bergamo ha giocato in casa e dove, nell’immaginario campo dell’Hotel Settecento di Presezzo, si sono affrontate due squadre motivate e competitive: da una parte, i Soci presenti, attenti e interessati, e nell’altra metà campo lo squadrone del Moscato di Scanzo, che ha schierato nelle sue file quattro produttori, sei vini e un “capitano” di classe, Federico Bovarini, Sommelier e Relatore AIS e dal 2021 Ambasciatore del Moscato di Scanzo.

Arbitro del match non poteva non essere la Delegata Roberta Agnelli, che, introducendo la serata, ha esordito riportando il saluto di Federica Pagnoncelli Folcieri, Presidente del Consorzio di Tutela del Moscato di Scanzo e presentato poi i quattro produttori intervenuti: Daniela Martinelli (Azienda Agricola Cascina San Giovanni), Manuele Biava (Azienda Agricola Biava), Giacomo De Toma (Azienda Agricola De Toma) e Paolo Russo (Azienda Agricola La Corona).

L’uva e il suo territorio

Il Moscato di Scanzo è un vitigno presente esclusivamente in Lombardia e la sua zona tipica di produzione è intorno al comune di Scanzorosciate, in provincia di Bergamo, cittadina che conta poco meno di 10.000 abitanti, situata sulle prime propaggini collinari delle Alpi Orobie e distante circa 6 chilometri a nord est dal capoluogo orobico.

È l’unico vitigno autoctono della provincia di Bergamo e la sua peculiarità è il fatto di essere uno dei pochi esempi di varietà moscato a bacca nera; appartiene alla vasta famiglia dei moscati, vitigni aromatici il cui nome deriva da “muscum“ (muschio) in ragione del caratteristico aroma caratteristico che si ritrova nell’uva.   

Proveniente con buona approssimazione dall’area ellenica e successivamente mutato geneticamente da uva a bacca bianca in uva a bacca nera, il moscato di Scanzo ha origini molto antiche ed è stato probabilmente portato sui colli di Scanzorosciate dalle legioni romane, ricompensate delle vittorie riportate sui Galli con terreni coltivabili nella zona del Bergamasco.

Venendo ai nostri giorni, la crisi post-fillosserica all’inizio del XX secolo ridusse enormemente la coltivazione del moscato di Scanzo al punto che negli anni ’70 si rischiò l’estinzione della varietà. A partire dagli anni ’80 la coltivazione del moscato di Scanzo, che prima di allora era presente solo a livello amatoriale, registrò un notevole incremento, anche grazie al lavoro di selezione clonale che lo portò all’iscrizione nel Registro delle varietà di vite da vino nel 1981.

Il grappolo è medio, generalmente spargolo, con acini ovali, di media grandezza, colore nero-blu, riconoscibili anche dall’abbondante pruina; la buccia, sottile e delicata, impone una vendemmia manuale e gentile, per evitare che i lieviti indigeni presenti sulle bucce lacerate inneschino una fermentazione alcolica spontanea non voluta.

I sistemi di allevamento più utilizzati sono la tradizionale pergola e il più recente Gouyot, in campo da circa 15 anni; sono consentiti dal Disciplinare di produzione i sesti di impianto e le forme di allevamento già usati nella zona (spalliera semplice, pergola unilaterale, a tetto inclinato e casarsa), è vietata ogni pratica di forzatura e di irrigazione

La produzione massima di uva consentita è di 7 tonnellate per ettaro ma nella realtà i valori sono sensibilmente inferiori, per aumentare la qualità del prodotto. 

La vendemmia del moscato di Scanzo è tardiva ed avviene solitamente fra la fine di settembre e l’inizio di ottobre; date le caratteristiche dell’uva, la raccolta è manuale e con selezione in pianta.    

Il Moscato di Scanzo nasce in una terra particolare e fortunata: solo 31 ettari di territorio collinare caratterizzato da elevate pendenze, clima fresco con sensibili escursioni termiche e un’ideale esposizione a sud. Le sue uve sono rese uniche dal microclima locale e dalla formazione rocciosa, chiamata Sass de la Luna, su cui crescono le viti.

Il “Sass de la Luna“ è una formazione calcareo-marnosa ben stratificata, di colore grigio-azzurro, con spessore che raggiunge i 330 m, affiorante nel bacino lombardo e risalente al Cretacico Inferiore (circa 110 milioni di anni fa). Questa roccia, dura e resistente, in condizioni di limitata disponibilità idrica si sgretola lentamente fino a diventare polvere; presente nel terreno a circa 30 cm di profondità, dona alla pianta sali minerali e sostanze nutritive ed apporta equilibrio termico (in particolare nelle mezze stagioni) drenando l’acqua e restituendo il calore alla vigna durante la notte. Inoltre limita la resa del vigneto e permette una maggiore concentrazione delle sostanze terpeniche nell’uva.

Il vino e la sua storia

Le prime notizie storiche certe del Moscato di Scanzo risalgono al 1347, quando Alberico da Rosciate, giurista, letterato e ambasciatore presso la corte papale di Benedetto XII ad Avignone, dona una quantità indefinita di moscatello rosso, prodotto nel Bergamasco, a certo Jonolo da Priatini.

Bisognerà attendere però altri 400 anni per sentire parlare nuovamente del Moscato di Scanzo: siamo nel 1780 e Giacomo Quarenghi, architetto e pittore bergamasco nonché uno dei principali realizzatori dell'architettura neoclassica in Russia, fa omaggio di alcune bottiglie alla zarina Caterina II, che lo apprezza molto e non lo fa mai mancare nella reggia di San Pietroburgo. 

Sempre alla fine del 18° secolo, il nostro Moscato conquista anche la corte inglese e diventa talmente importante da essere quotato addirittura nella borsa di Londra; in quest’epoca è forse il vino più caro al mondo, molto amato dagli stessi londinesi i quali, desiderosi di creare un nuovo sherry di uva, lo trasformano in vino passito.

Dopo un passato così glorioso, arriva l’oblio: il “secolo breve”, con due guerre mondiali che devastano l’Europa, concede poco spazio alla raffinatezza e il vitigno del moscato di Scanzo, così poco produttivo, viene massicciamente abbandonato ed espiantato a favore di vitigni più produttivi. La produzione del Moscato di Scanzo è risicatissima, poche bottiglie da 350 ml, appannaggio della Curia locale e di uno sparuto gruppo di appassionati la cui fonte di reddito non era certamente questo vino ormai quasi dimenticato.

Il Moscato di Scanzo, però, riesce a superare anche questo periodo buio e a partire dalla fine degli anni ’70 inizia la sua “terza giovinezza”: una maggiore attenzione da parte di consumatori più informati, un focus particolare su questo vino indotto dall’attività dell’AIS e anche, e forse soprattutto, l’apprezzamento che del Moscato scanzese aveva il precursore indiscusso del “rinascimento” dell’enogastronomia italiana, il geniale Luigi Veronelli, cui si deve buona parte del rinnovamento che ha portato prima al miglioramento e poi all’eccellenza il vino italiano.

Tecnicamente, il Moscato di Scanzo è un passito rosso, ottenuto dalle uve prodotte dai vigneti aventi nell’ambito aziendale la composizione ampelografica 100% Moscato di Scanzo. L’appassimento minimo, naturale o indotto, è di 21 giorni, successivamente il vino sosta in cantina per almeno 24 mesi in vasche d’acciaio (come da tradizione ma anche perché il Moscato di Scanzo non gradisce molto il legno) per affinare le sue qualità e viene poi conservato in bottiglia, sempre in condizioni ambientali favorevoli, anche per diversi anni.

Il Disciplinare di Produzione consente l’immissione al consumo soltanto a partire dal 1° novembre del secondo anno dopo la vendemmia ma è frequente che il vino sia commercializzato anche dopo 4/5 anni dalla vendemmia (oggi degustiamo i Moscati del 2017). Sempre il Disciplinare riporta altri dati interessanti: 

  • Le operazioni di appassimento, vinificazione, ivi compresi l’invecchiamento obbligatorio e l’imbottigliamento devono essere effettuate nel Comune di Scanzorosciate.
  • Il titolo alcolometrico volumico totale minimo è 17,00% vol., di cui almeno il 14,00% svolto con contenuto di zuccheri residui compreso fra i 50 e i 100 gr/lt
  • L’acidità totale minima è 4,50 gr/lt
  • L’estratto non riduttore minimo è di 24,00 gr/lt

La produzione annua del Moscato di Scanzo è di circa 60.000 bottiglie, il formato più diffuso è quello da 0,50 lt.

La DOCG e il Consorzio di Tutela del Moscato di Scanzo

Il processo di qualificazione del Moscato di Scanzo inizia nel dicembre del 1982 con la costituzione dell’Associazione Produttori Moscato di Scanzo, che nel dicembre 1993 si trasforma nel Consorzio di Tutela del Moscato di Scanzo.

Il primo traguardo che il neo costituito Consorzio intende raggiungere è l’ottenimento di una Denominazione non legata alla DOC Valcalepio, di cui il Moscato rappresentava solo una sottozona: l’obbiettivo viene centrato con il D.M. del 17 aprile 2002, che istituisce la nuova Denominazione: “Moscato di Scanzo DOC” o “Scanzo DOC”, anche se è subito evidente che la particolarità e l’unicità del Moscato di Scanzo richiedono una superiore denominazione.

Il 12 febbraio 2009, il Ministero alle Politiche Agricole, sentito il parere del Comitato Nazionale Vini, accoglie la richiesta del Consorzio di Tutela, attribuendo al Moscato di Scanzo la Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG), divenendo in tal modo la prima e unica DOCG di Bergamo, la quinta della Regione Lombardia e, curiosità, la seconda più piccola DOCG d’Italia (la più piccola è Tullum, in provincia di Chieti). 

Il Moscato di Scanzo è stato riconosciuto come DOCG con D.M del 28 aprile 2009, pertanto con la produzione anno 2007 si è potuto utilizzare il riconoscimento DOCG garante della tutela e della qualità del prodotto.

Oggi il Consorzio Tutela Moscato di Scanzo, che raggruppa 19 Produttori, è impegnato attivamente per la valorizzazione, divulgazione e promozione del Moscato di Scanzo, sia sul mercato nazionale che sui mercati esteri. Fra le tante iniziative supportate dal Consorzio, evidenziamo la collaborazione col CIRIVE (Centro intermediale di ricerca per l’Innovazione in Viticoltura ed Enologia dell’Università di Milano) per tracciare il DNA del vitigno (i cloni che lo distinguono sono ben 23), l’impegno quotidiano nella tutela delle produzioni enologiche, per garantire in maniera sempre più adeguata la sostenibilità anche dal punto di vista ambientale, e il rafforzamento dell’identità del vino.

In collaborazione con l’Associazione Strada del Moscato di Scanzo, il Consorzio organizza ogni anno nel mese di settembre la Festa del Moscato di Scanzo e dei sapori scanzesi, una “kermesse” dove il Moscato di Scanzo è il trait d'union fra degustazioni in cantina, menù a tema nei ristoranti di Scanzorosciate, eventi, laboratori ed escursioni nella zona...un appuntamento che non dovete perdere!  

La degustazione

La degustazione di sei Moscati di Scanzo, condotta da Federico Bovarini, è stata incentrata sulle tre zone di Scanzorosciate dove viene prodotto il passito: due vini per l’area di Tribulina, due per l’area di Scanzo e due per l’area di Rosciate.      

Tribulina è la zona di produzione più ampia, ottimamente esposta a sud-est. Le caratteristiche gustative dei Moscati di quest’area sono spezie e frutta, in equilibrio fra di loro, e un tannino vellutato ma deciso; il vino è generalmente equilibrato. Abbiamo degustato:

- Moscato di Scanzo DOCG “Cascina San Giovanni” - 2017 - 15% vol.

Un passito, prodotto a partire dal 2015, in linea con le caratteristiche tipiche del Moscato di Scanzo: il colore è rosso rubino pieno, vivo, intenso e consistente, al naso è intenso, complesso, fine, evidenzia una frutta nera molto matura tendente alla confettura, una spezia dolce e una nota balsamica che apporta freschezza olfattiva. In bocca è fresco, equilibrato, dotato di ottima persistenza, l’alcol è ben presente ma non invadente.

- Moscato di Scanzo DOCG “La Corona” - 2017 - 16% vol.

Il Produttore Paolo Russo lavora 0,3 ha di vigna nella zona di Tribulina. Il suo vino, per il quale sceglie di mantenere un residuo zuccherino sempre molto basso, è di un colore rosso rubino con riflessi granato; l’esame olfattivo rivela un Moscato completamente diverso dal “Cascina San Giovanni”, consistente, con profumi fini ed eleganti di susina, di rosa, una punta di anice che apporta freschezza, una speziatura importante (chiodo di garofano), al sorso è allappante e lascia il palato perfettamente pulito. 

Scanzo è la zona di produzione più elevata (siamo sul Monte Bastia), caratterizzata da maggiori pendenze, con un’importante presenza di Sass de Luna. Le caratteristiche gustative dei Moscati di quest’area una spezia decisa con un indicatore tipico di incenso, sapidità ed austerità che portano a vini molto verticali. Abbiamo degustato:

- Moscato di Scanzo DOCG “Pagnoncelli Folcieri” - 2017 - 15,3% vol.

Il colore rosso rubino intenso e quasi impenetrabile preannuncia un’olfazione con sensazioni “dark” di frutta nera matura, cacao, cioccolato amaro e the nero, non mancano le tipiche note di incenso e pepe nero, il tutto per comporre un naso intenso ma delicato al tempo stesso. In bocca si allarga offrendo dolcezza e morbidezza, tannini eleganti, alta persistenza e un’acidità che si rivela in maniera particolare nel finale. Un vino elegante che abbineremmo tradizionalmente alla pasticceria ma anche a formaggi erborinati.

- Moscato di Scanzo DOCG “Biava” - 2017 - 15% vol.

Il colore è un rosso rubino acceso e vivace, l’esame olfattivo rivela un Moscato molto diverso dal Pagnoncelli Folcieri, con la spezia che emerge subito di prepotenza senza però coprire gli altri aromi, fra i quali il più evidente è l’incenso. Il vino è austero ed elegante, deciso e coerente, dotato di buona acidità che deterge ottimamente il palato.

Rosciate è la zona centrale dell’area di produzione del Moscato di Scanzo, quella che presenta le pendenze più dolci. I vini presentano espressioni importanti di frutta e spezia, delicate sensazioni vegetali, maggiore morbidezza, struttura piena e immediatezza di beva. Abbiamo degustato:

- Moscato di Scanzo DOCG “De Toma” - 2017 - 15% vol.

Il colore rosso rubino è fine ed elegante, al naso si avverte subito una sensazione di freschezza e note di succo di frutta e the verde. Al palato si mostra subito come un Moscato di Scanzo classico, fresco, sapido e con un tannino meno vellutato di altri Moscati ma comunque gentile. In bocca è fine, elegante, rotondo e persistente, fa salivare ed invita più volte alla beva.

- Moscato di Scanzo DOCG “Fejoia” - 2013 - 14,14% vol.

Queste espressione evoluta del Moscato di Scanzo ha mantenuto un colore vivace e tanta freschezza olfattiva e, come potremmo aspettarci data l’età, i profumi sono virati su note terziarie evidenti di tabacco, china e liquirizia. Al palato è morbido e rotondo, il tannino è meno “preciso” ma lungo, la persistenza è buona e lineare.

Le degustazioni hanno confermato tre caratteristiche comuni a tutti i vini della vendemmia del 2017:

  1. L’annata 2017 si può definire complessa ed elegante.
  2. L’ottima beva, dato che si tratta di passiti non stucchevoli che invogliano al 2°, poi al 3° assaggio e così via.
  3. La possibilità di abbinare il Moscato di Scanzo non solamente a preparazioni dolci ma anche a piatti gastronomici strutturati o anche ben strutturati se consideriamo ad esempio le annate più vecchie; i partecipanti alla serata hanno potuto apprezzare il Moscato abbinato ad un delicato risotto alla barbabietola preparato dagli Chef dell’Hotel Settecento.