Alla scoperta dell’Oregon

Guido Invernizzi accompagna la delegazione di AIS Monza e Brianza in una serata dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, in Oregon, alla scoperta di vini forse meno noti, ma che possono competere con grandi eccellenze come quelle francesi.

Manuela Basaglia

La Storia

Largo ai giovani: mai affermazione fu più corretta per definire l’evoluzione vitivinicola dell’Oregon.
Giovanissimo Stato, con una storia recente e breve, l’Oregon sta facendo sentire il suo nome sempre più spesso, e i suoi prodotti si stanno creando una nomea che può essere affiancata a prodotti di storiche cantine francesi e non solo. 

Incastonato tra lo Stato di Washington, l’Oceano Pacifico, l’Idaho, la California e il Nevada, il beaver state (così chiamato perché, per anni, l’economia fu guidata dalla lavorazione e commercializzazione della pelliccia di castoro) ha iniziato a far parlare di sé grazie a un ambiente pedoclimatico di assoluta eccellenza per il pinot nero, e non solo, che dà i migliori risultati nella Willamette Valley, principale AVA (acronimo di American Viticultural Area) di questo Stato. 

La vite arrivò sulla costa ovest americana insieme agli spagnoli, nel XVI secolo, giunti fino a qui per convertire la popolazione locale, gli indiani nativi, e per il primo periodo il vino consumato era unicamente vino da tavola; fu nel 1800 circa, con l’immigrazione svizzero-tedesca, che il concetto di vino come lo si intendeva in Europa arrivò anche in questa zona dell’America, guidata in prima persona dallo svizzero Peter Britt, ritenuto il padre della viticoltura in Oregon. 

L’avvento della ferrovia nel 1880 fu l’ultimo tassello che, nonostante il periodo di grandi tensioni tra nativi indiani, cacciatori di pelliccia britannici, taglialegna e ambientalisti, diede la spinta definitiva alla commercializzazione e distribuzione del vino. 

Questa prosperità durò purtroppo solo venti anni, quando subì una forte battuta d’arresto per mano del proibizionismo, iniziato in Oregon nel 1904, ben quattro anni prima di molti altri Stati americani, e durato fino al 1961, anno in cui Richard Sommer lanciò l’era moderna della viticoltura piantando riesling, gewürtztraminer, chardonnay, cabernet sauvignon e pinot nero.

Da questo momento in poi la viticoltura inizia letteralmente a galoppare, rincorrendo i cugini europei: dopo che nel 1967 Richard Sommer imbottigliò il primo pinot nero dell’Oregon, nel 1973 vennero create le mappe che designarono la prima zonazione dei vigneti. Le potenzialità di questi terreni diventarono sempre più evidenti: si comprese che, anche rispetto a zone limitrofe come la California, qui i cloni della Borgogna rendevano meglio grazie a un clima più simile a quello della Borgogna stessa. È del 1983 la creazione della prima AVA, la già citata Willamette Valley - che oggi vanta ben 11 sotto-AVA - e solo un paio di anni dopo, in una degustazione della International Wine Center di New York, i primi tre vini identificati come migliori furono Oregon Wines; dulcis in fundo, nel 2009 un enologo dell’Oregon venne iscritto tra le 50 persone più influenti nel mondo del vino.

Nata da una costola della Borgogna, questa zona ha definitivamente acclamato la sua indipendenza, il suo stile e la sua autenticità, incarnando perfettamente la definizione citata in sala da Invernizzi: «French Soul, Oregon Soil» (anima francese, suolo dell’Oregon)

Territorio e suolo

L’Oregon combina nel suo territorio due caratteristiche che sembrano per definizione incompatibili: un territorio per metà vulcanico e per metà glaciale. 

Gli eventi geologici che, insieme ai vulcani, hanno prevalentemente definito le caratteristiche del terreno dell’Oregon sono per certo le alluvioni del Missoula, un lago preistorico - oggi identificato con il territorio del Montana - che occupò circa 10 mila chilometri quadrati e raggiunse 600 metri di profondità: era chiuso da una diga naturale di ghiaccio, alta circa 300 metri, che periodicamente si frantumava e allagava quelli che oggi sono lo stato di Washington e l’Oregon; in migliaia di anni il ghiaccio si riformava, per poi spaccarsi nuovamente e ripetere il processo. Non si trattava di semplici alluvioni: il concetto di vita veniva completamente spazzato via da questi cataclismi di acqua e ghiaccio, che erano 90 volte più potenti di un’arma nucleare. Sedimenti dal fondale lacustre, detriti e materiale basaltico (vulcanico) che hanno continuato a inondare questi terreni ed esserne poi assorbiti hanno creato il terreno che troviamo oggi in questa zona. 

A questo fenomeno unico si affiancano suoli con caratteristiche peculiari, che sono stati classificati in tre gruppi principali: Jory, Laurelwood, Willakenzie.
Il principale e più diffuso in Oregon è il terreno vulcanico Jory: rosso, grazie all’ossido di ferro, e argilloso, tiene bene l’acqua e non richiede irrigazione; questo terreno è anche ricco di sedimenti marini, arrivati qui grazie al connubio di ghiaccio, vento e oceano.
I terreni Laurelwood sono meno comuni: di matrice più fine e meno strutturata, sono prevalentemente sabbie portate dal vento. Ultimi, ma non per importanza, i terreni Willakenzie sono suoli sedimentari marini, sabbie e conchiglie, mancanti di argilla e dove le radici della vite fanno più fatica ad alimentarsi.

Nella zona di eccellenza della Willamette Valley, 12 milioni di anni fa, dallo scontro tra la placca oceanica e quella nordamericana, emersero due catene montuose, la Coast Ranges, una catena nel Pacifico di fronte alla costa dello stato, e la Cascade Ranges, una catena che taglia in due verticalmente l’Oregon; in mezzo a loro si formò una zona collinare, che è oggi appunto la Willamette Valley. Qui vento e alluvioni, come spiegato sopra, hanno alimentato una varietà incredibile nel terreno: i due terzi dei vini dell’Oregon vengono qui prodotti, dove estati e autunni sono ben gestiti, le piogge ben distribuite, il tutto a favorire un’ottima escursione termica.

La Degustazione

Pinot Noir Rosé Fleur de Roy 2023 - Phelps Creek Vineyards
100% pinot nero, pressatura diretta del grappolo, breve contatto con le bucce, 5 mesi fermentazione in acciaio dopo breve contatto con le bucce

Scorrevole nel bicchiere, brillante e di un tenue color corallo, al naso si presenta elegante: di media struttura, come deve essere viste le caratteristiche del pinot nero, ha sentori di piccolo frutto rosso, di fragola di sottobosco, e degli sbuffi definiti in sala polverosi, che fanno presagire una presenza sapida al gusto. 

Presenza confermata all’assaggio, dove la nota minerale, di pietra focaia, è subito percepibile, seguita da note di erbe aromatiche di montagna, come rabarbaro e genziana, e a chiudere una lievissima nota tannica. Di grande bevibilità, questo vino va abbinato a piatti semplici, o in solitaria, come aperitivo. 

Pinot Gris 2021 - The Eyrie Vineyards
100% pinot grigio, proveniente da vigne di 30 anni, fermentazione e affinamento in acciaio, riposa un anno sui lieviti con ripetuti batonnage.

Verdolino con riflessi paglierini, il colore nel bicchiere è sano e brillante, di bella struttura e consistenza. Al naso sono preponderanti le note floreali, di pesa e agrume, ma anche di frutta tropicale, come l’ananas; seguono sentori floreali e minerali, e a chiudere un accenno di miele. Questo vino, di stile assolutamente alsaziano, non ha fatto legno, ma all’assaggio viene definito in sala “quasi cremoso”: l’alcol è perfettamente gestito, e chiude con una nota quasi amaricante. Di bella persistenza, è un vino equilibrato e armonico, perfetto in abbinamento con antipasti di pesce e formaggi non molto stagionati.

Chardonnay Sol et Soleil 2019 - J. Christopher
100% chardonnay da terreno di tipo Willakenzie, fermentato in botti da 600 litri non di primo passaggio per 20 mesi, fermentazione malolattica completa.

Nel calice questo vino si presenta giallo paglierino, brillante e scorrevole. Al naso vivaci note fruttate, di agrume, come zest di limone, frutta tropicale, banana e ananas, e a seguire profumi leggermente speziati dati dal legno anche se non di primo passaggio o tostato. All’assaggio è fresco e persistente, un sorso avvolgente, sapido e minerale: è un bicchiere equilibrato ed elegante. 

Riesling GG 2017 - Appassionata Vineyards, Ernest Losen, J. Christopher cantina
100% Riesling, pressatura a grappolo interno, fermentazione in botti neutre da 3.000 litri, affinamento 24 mesi sui lieviti, seguito da ulteriore affinamento 36 mesi in bottiglia.

Il vino ha un colore verdolino, a indicare un vino giovane; consistente e brillante, al naso non prevale, come ci si aspetterebbe da un riesling, la nota di idrocarburi, che è presente, ma molto delicata. Decisi sentori agrumati di limone, e fruttati di mela verde.

In bocca la nota delicata al naso di idrocarburo emerge in maniera preponderante, facendo prevalere acidità e sapidità. Equilibrato ed armonico, è un riesling con caratteristiche molto diverse rispetto a un suo fratello tedesco. 

Pinot Noir Volcanique 2019 - J. Christopher
100% pinot nero da terreno di tipo Jory, 18 mesi in barrique di cui il 25% nuove, mentre il restante di secondo passaggio, fermentazione malolattica completata.

La tipica trasparenza del pinot nero è confermata nel calice dalla poca materia colorante: di un vivace color carmino, ha una bella struttura. «Un capolavoro al naso» dichiara Invernizzi: il naso è complesso, ricco di sentori che si susseguono e si alternano. Piccolo frutto rosso, seguito da un frutto mediamene maturo e croccante come la ciliegia; erbe aromatiche essiccate, rabarbaro; note speziate di pepe, timo, maggiorana e origano, erbe aromatiche essiccate. 

Al gusto una nota minerale, vulcanica, quasi di china e liquirizia, sono seguire da sentori minerali, quasi iodati. 
Un vino estremamente complesso, persistente e armonico, grazie alla perfetta corrispondenza gusto-olfattiva.

Outcrop Pinot Noir 2019 - The Eyrie Vineyards
100% pinot nero, fermentazione in tini aperti da 11 ettolitri, fermentazione malolattica completa, affinamento 23 mesi in barrique, di cui 12% nuovo.

Di colore carminio, cristallino e consistente, al naso presenta un frutto rosso maturo, meno croccante del calice precedente; seguono profumi vegetali di cavolo, una mineralità sulfurea, e sentori empireumatici; chiudono «note animali» che ricordano i vini di Borgogna dopo un lungo affinamento.

In bocca il vino è ancora giovane, sapido al limite con il saporito; strutturato, equilibrato e armonico, ha una lunga persistenza in bocca, che sul finale vira in una leggera nota amaricante e accenni di erbe officinali.

Pinot Noir Reserve 2019 – Ponzi Vineyards
100% pinot nero, suolo di basalto, fermentazione in barrique francesi di cui solo il 40% nuovo, per 20 mesi.

Mantenendo la tipica trasparenza del pinot nero, questo calice è di un carminio più carico di materia colorante rispetto ai precedenti assaggiati. Al naso note fruttate di frutti neri, come mora, mirtillo, e ribes nero; seguono profumi vegetali, chinotto e chiodo di garofano. 

All’assaggio una grande corrispondenza gusto-olfattiva nei sentori fruttati, amplificati da note di tabacco e the nero. Il calice è persistente ed equilibrato, ma allo stesso tempo rivela la possibilità di affinare ulteriormente e portare a un livello ancora superiore la sua armonia.