Anselme Selosse: il grande piccolo vigneron della Champagne che ascolta la natura

Nel vasto panorama della Champagne c'è un nome che brilla con particolare intensità: Anselme Selosse. Ma chi è veramente? Con la guida esperta di Alberto Lupetti, abbiamo esplorato il suo straordinario lavoro nei vigneti di Avize dove ha rivoluzionato la produzione dello champagne.

Alessandra Marras

AIS Lombardia, con una serata fortemente voluta da Roberta Agnelli, delegata di AIS Bergamo, ha nuovamente avuto il privilegio di ospitare Alberto Lupetti e di raccogliere il suo prezioso racconto sulla Champagne e su Jaques Selosse, considerato ormai un emblema di questa regione. La narrazione è stata come sempre impeccabile, ricca di dettagli e costantemente aggiornata, offrendo testimonianze inestimabili che solo chi vive e respira quotidianamente l'atmosfera di questa straordinaria regione, situata a 150 km a nord-est di Parigi, può veramente cogliere e restituire.

Lo stato dell’arte della produzione in Champagne

I dati di mercato del 2023, con un tasso di export attestato al 57%, confermano il prestigio e la reputazione che da anni contraddistinguono il meraviglioso fenomeno champagne. Nonostante, infatti, segnalino un calo dei volumi del 8,2%, gli stessi dati evidenziano un fatturato che ancora una volta supera i 6 miliardi di euro, il che conferma un inossidabile successo del settore, soprattutto grazie alla crescente tendenza verso la cosiddetta premiumisation. La premiumizzazione è una tendenza strategica che mira a conferire un valore aggiunto al marchio, elevandolo al livello super-premium, senza necessariamente modificare la qualità o introdurre innovazioni sostanziali. In questo contesto, le aziende si concentrano sulla commercializzazione di versioni premium dei loro prodotti e servizi, rivolgendosi a una clientela con un reddito più elevato, pronta e in grado di investire maggiormente per accedere a un'esperienza unica, esclusiva e lussuosa. Tale approccio, a fronte di investimenti limitati, porta a un aumento dei margini di profitto e, di conseguenza, della redditività complessiva. Questo trend è particolarmente evidente nel settore champagne, dove a prima vista potrebbe sembrare sorprendente, considerando che il 90% delle vigne è gestito da vignaioli indipendenti. Nondimeno, tale strategia acquista immediata e logica coerenza se si considera che le grandi maison continuano a detenere il controllo su circa il 70% dei volumi di produzione complessivi. La distribuzione dei volumi trova una spiegazione chiara nei dati forniti dal SGV (Syndicat Général des Vignerons): su un totale di 16.091 viticoltori, 14.200 sono affiliati, con il 90% di loro che possiede direttamente i vigneti. Tuttavia, solamente 3.752 di questi viticoltori operano come produttori effettivi; il 60% del raccolto, sia uva che mosto, viene infatti venduto direttamente o tramite cooperative alle grandi maison del settore.

Sebbene l'imponente volume delle grandi maison sia indiscutibile, non è d’altro canto possibile ignorare l’onda di interpreti che, tra quei 3752 vigneron, sempre più corposa e sonora, parallelamente sta montando. Questi produttori, pur operando su scala minore, stanno progressivamente guadagnando visibilità e influenza grazie al valore autentico e riconosciuto dei loro vini. In molti casi, riescono persino a superare in notorietà le grandi aziende, senza alcun timore reverenziale, quanto piuttosto con un sentimento di orgogliosa rivendicazione identitaria.

Anselme Selosse, il “piccolo gigante” 

Davide contro Golia, o forse due aspetti complementari di una stessa realtà che traggono vantaggio reciproco? Rimane innegabile, enfatizza Lupetti, che Anselme Selosse, confidenzialmente definito come il nostro "ospite virtuale", nonostante possa essere considerato "piccolo" in termini di produzione, grazie alla straordinaria qualità e espressività dei suoi vini, sia ormai da tempo unanimemente riconosciuto, in termini di fama, influenza e notorietà, come un "gigante".

Accade però che in questa magica serata, nonostante la vastità della sala, il cospicuo numero di partecipanti venuti da ogni dove e l’entità delle aspettative, al cospetto di un gigante si sia venuta a creare un’atmosfera assolutamente intima. A un testimone improvvisato sarebbe apparsa una sorta di silenziosa immersione collettiva, tipica di quegli istanti in cui si avverte consapevolmente la sensazione di partecipare al divenire di un evento straordinario. Quasi l’attesa dell’incontro con i vini di Selosse avesse trasformato la platea di appassionati conoscitori in funamboli che piano avanzano in quel sospeso gioco di equilibrio che dal rischio fatale trae slancio ed emozione. 

Se l'impazienza del degustare può essere considerata l'innesco ideale di questa generale apnea di attenzione, il respiro confidenziale che si è diffuso tra i partecipanti è interamente attribuibile alla schietta e autentica testimonianza di Lupetti. Tassello dopo tassello, ha generosamente condiviso il suo rapporto con il vigneron e uomo Anselme Selosse.

Intenzionalmente, evitiamo qui di utilizzare la parola "mito", poiché la straordinarietà di questo incontro risiede proprio nell’aver rivelato che colui che comunemente viene etichettato come tale è in realtà quanto di più distante dall'immagine tipica di un mito.

Lupetti, infatti, rendendo i presenti partecipi della sua gratitudine nei confronti di Selosse per avergli concesso nel tempo l'opportunità di conoscerlo concretamente, finisce per svelarne il profilo più veritiero e autentico. Con la familiarità di chi ha la libertà di poter bussare alla sua porta per uno scambio di parole senza cerimonie, ha restituito, attraverso aneddoti e citazioni, una figura totalmente umana che proprio dal legame stretto e saldo con la terra trae fondamento, un’attitudine che mal si concilia e spontaneamente stride con la dimensione eterea e distaccata cui normalmente appartengono i personaggi mitologici.

Mon message avant tout c’est de dire que la terre ne ment pas!”

Il mio messaggio prima di tutto è dire che la terra non mente” sostiene Selosse. La terra da cui i suoi vini traggono origine è Avize, sede del prestigioso Licée Viticole de la Champagne; Avize la belle, con i suoi 269,2 ettari vitati per 454 proprietari, 100% Grand Cru (dal 1911), regno indiscusso dello chardonnay che qui si impone con un 99,9%. 

Che la vocazione del luogo sia profondamente radicata nella storia è una certezza, sarebbe pertanto naturale interrogarsi sul "come" si riesca a trasformare un semplice frutto in vini unici che diventano oggetti di culto per rarità e prezzo. Tuttavia, si scopre che, per Anselme, la domanda cruciale non è tanto il "come", bensì il "perché" questi vini acquisiscano tale prestigio e da dove traggano la propria identità. Dal suo punto di vista l’essenziale è concentrarsi sul promuovere il saper riflettere anziché la trasmissione o la narrazione del saper fare, poiché, come afferma lui stesso, “farsi delle domande dà un senso alle nostre azioni”. 

Un concetto che si rivela cruciale non solo per comprendere appieno gli champagne di Selosse, ma anche per considerare con la giusta prospettiva il passaggio di testimone, ufficialmente avvenuto nel 2020, tra papà Anselme e il figlio Guillaume. Se ciò che viene trasmesso è la pratica di interrogarsi e di fermarsi ad ascoltare rispettosamente e attentamente la natura del luogo, quella terra che non mente mai, allora gli champagne di Guillaume saranno necessariamente differenti. Ogni generazione porta con sé un nuovo punto di vista e un modo diverso di percepire il mondo circostante. Diverso l’occhio che guarda, diverso è l’orecchio di chi si pone in ascolto, rimangono però immutati il rispetto, l'approccio e la disposizione d'animo, garantendo così una resa altrettanto autentica e fedele, anche se manifestata attraverso diversi stili e interpretazioni. Ecco che allora i vini di Guillame, pur non perdendo riconoscibilità, ai solerti consumatori, sembrano portare in sé un tocco più aggraziato rispetto alle espressioni paterne; fermo restando, puntualizza Lupetti, che Anselme, seppur definitosi ormai un pensionato, non può prescindere dal continuare a vivere e raccontare le proprie vigne accanto al figlio.

1980, prima e dopo Anselme

Nel 1974, dopo essersi formato presso il Lycée Viticole de Beaune, Anselme ritorna in Champagne, dove suo padre Jaques aveva acquistato la prima vigna nel 1946. Accade però che talvolta allontanarsi, anche fisicamente, aiuti a vedere le cose in maniera diversa, a cambiare prospettiva, come se la presa di distanza contribuisse a rivelare aspetti che da troppo dentro o da troppo vicino non si riescono a vedere e percepire. Anselme torna in Champagne con uno sguardo libero dalle limitazioni della routine e della consuetudine, inizia a osservare, vedere e agire in modo nuovo. Pur non intraprendendo di fatto azioni straordinarie, la sua visione innovativa lo porta ad assumere un ruolo di rivoluzionario, dimostrando che, vero e proprio pioniere, anche un vigneron avrebbe potuto competere con le grandi maison producendo vini di eccellenza dalla risonanza mondiale.

Anselme realizza che prima di arrivare alle bollicine è fondamentale produrre un vino base che sia autentico. Non una semplice preparazione neutra, priva di identità come erano il più delle volte all’epoca le “basi champagne”, ma un vino vero, espressione sincera e onesta del terroir e della stagione di vendemmia. Un prodotto di qualità da cui partire che narri con trasparenza il “dove” e il “quando” in cui è nato. Un vino che incarni e riveli tutta la ricchezza che le viti parsimoniose estraggono con fatica dalla terra e dal cielo; specialmente in un territorio come la Champagne, dove le radici delle vigne si estendono e si nutrono da oltre 40 anni nel 31% dei casi e da 30 a 40 anni per un altro 30%. 

Figlio della formazione nella Borgogna bianca, Anselme Selosse non solo reintroduce la fermentazione in legno, ma la celebra con un'apposita etichetta applicata sul collo della bottiglia. Nel 1976, durante un'annata siccitosa, riconosce che, data la straordinaria maturità delle uve, una minor pressione nella presa di spuma avrebbe giovato alla qualità dello champagne. Senza esitazione, al momento del tiraggio, riduce la quantità di zucchero da 24 a 18 grammi per litro, sfidando così le convenzioni, rompe le regole e crea un demi-mousse.

Cambiando il mio approccio, ho scoperto la libertà”

Solo chi vive un contatto quotidiano e ravvicinato con la vigna conquista la libertà di poter rompere gli schemi; attraverso l'esperienza assidua e diretta, è infatti in grado di realmente comprendere le esigenze che progressivamente insorgono nel vigneto, adattarsi in tempo reale e agire per migliorare costantemente. Selosse in sostanza auspica un rapporto più equilibrato e autentico con la natura, una interazione vera che, se necessario, possa svincolarsi dal pericoloso ciclo di automatismi, rigidi e predefiniti, che incatenano le routine consolidate.

Questa distinzione è cruciale per comprendere quella che per Anselme è la sostanziale differenza tra il vigneron e la maison. Il vigneron ha il privilegio di poter conservare un rapporto effettivo e ininterrotto con la vigna, alimentando una conoscenza che ha sempre il polso del qui e ora, cosa che la grande maison necessariamente non può perseguire. “Non si tratta di non fare niente, ma di non intervenire, confido nella natura: lei sa meglio di chiunque altro di cosa ha bisogno” e il vigneron virtuoso sa cogliere le richieste.

Per lo stesso motivo, dopo un percorso fatto di alti e bassi, Anselme ha scelto di allontanarsi dalla pratica della biodinamica. Secondo lui, infatti, questa modalità “pone al centro del sistema l’uomo, non la natura… Inoltre, la biodinamica è fatta di dogmi assoluti e questo è un pericolo. Preferisco ascoltare la natura, metterla in scena e lasciarla fare”.

Il suo obiettivo principale è quello di osservare attentamente il circostante e le circostanze, seguirli e creare mosti che siano "originali" nella doppia accezione del termine “sia la marcata tipicità, sia l’arricchimento di qualcosa in più, qualcosa di diverso che li distingua dagli altri”. La sua filosofia è quella di permettere alla singolarità di ogni luogo di esprimersi liberamente, perseguendo una originalità che nasce da un’agricoltura autentica e modesta, libera da dogmi, che non esiga ma accolga e valorizzi i doni che la natura offre.

Per comprendere appieno i suoli di ciascun vigneto, Anselme si è affidato, primo in Champagne, alla pluriennale esperienza dei microbiologi del suolo Lydia e Claude Bourguignon, perché “il vero spirito del vino si trova nella linfa. Ogni metro di suolo gli conferisce identità. Ciò che è la profondità è il sale del vino, tutto si gioca in vigna… Il lavoro del vigneron consiste nel far si che il carattere indigeno del territorio possa esprimersi… Non voglio fare vini perfetti, fortemente corretti, ma naturalmente squilibrati, dall’ambiente e dall’annata. Succo del luogo, succo che la vigna ha estratto dal suolo, ha fissato con l’aria e poi concentrato negli acini”.

La degustazione 

Initial – la generosità

  • 100% chardonnay
  • Origine delle uve: Avize , Cramant e Oger. Parte più bassa del coteau, con 80-100 cm di terreno prima della craie. Presenza di argilla (gusto rotondo). Esposizione nord, est, sud.
  • Base vendemmia: 2016
  • Vins de réserve: 50% delle due annate precedenti (30% + 20%)
  • Maturazione sui lieviti: 6 anni con due scuotimenti (dégorgement marzo 2023)
  • Dosaggio: 2,7 g/L

Prodotto in circa 33.000 bottiglia rappresenta oltre il 50% della produzione. Sempre contraddistinto da un altissimo livello qualitativo, è il vino che ha il compito di fidelizzare il consumatore, il sans annéè che, esattamente come per le grandi maison, rappresenta il porto sicuro dove ogni anno ritornare per ritrovare il gusto rassicurante e confortevole di casa e della casa.

Lo Champagne definito della generosità. Generoso il colore con le sfumature calde e luminosissime dell’oro che nel perlage, finissimo, amplifica i riflessi. Ricchezza, maturità di uno stile elegantemente ossidativo al naso, con profumi di camomilla, frutta tropicale matura, crema pasticcera. La bocca è fresca, animata da quelle che Lupetti racconta come piacevolissime “sporcature palatali”. Un sorso di densità e tensione, dove la connotazione minerale non si rivela con netta schiettezza. Il finale di bocca è pulitissimo, lungo, seducente, con accenni di tè, note di agrume e susina mirabella.     

V.O. – il rigore

  • 100% chardonnay
  • Origine delle uve: Avize, Cramant e Oger. Coteau con pendenza di almeno il 15%, con 30-50 cm di terreno prima della craie. Niente argilla. Esposizione nord, est, sud.
  • Base vendemmia: 2016
  • Vins de réserve: 50% delle due annate precedenti (30% + 20%)
  • Maturazione sui lieviti: oltre 5 anni con tre scuotimenti (dégorgement dicembre 2022)
  • Dosaggio: 0 g/L

Produzione limitata alle 3000/3300 bottiglie. Se per l’Initial è possibile parlare di un vino di pancia, V.O. ha più la fisionomia del vino di testa.

 “Version Originale” lo Champagne definito del rigore, la sintesi perfetta della filosofia selossiana attorno al concetto di originalità, trasmettere quell’autenticità lontana da ogni standard, catturare in questo caso la mineralità allo stato puro e ritrasmetterla con un carattere unico e riconoscibile. Coerentemente, al momento della sboccatura, nessun dosaggio; parola d’ordine restituire il gusto del luogo senza alterazione alcuna. 

Per il confronto con l’Initial, Lupetti si affida alle parole di Anselme. Stesso villaggio, stesse uve, stesse annate, la sola differenza è l’origine. Initial viene dalla parte bassa del coteau, bacia l’argilla, è più rotondo; V.O. proviene dalla parte alta del coteau, tocca con la bocca la craie, mineralità asciugante.

Meno fitta la materia del colore, venature dorate che virano su toni più freddi del bronzo. Fine, ricco e persistente il perlage. Il bouquet olfattivo è austero e rigoroso, quasi la sensazione di una fucilata, di verticalità, di precisione. Decise note riconducibili al gesso, seguite da soffi di cedro candito, frutta secca e spezie orientali. “La bocca è craie” sottolinea Lupetti, una sensazione asciugante di mineralità calcarea. Un profilo affusolato, ma non vuoto anzi profondo; strutturato, morbido, avvolgente ma verticale al tempo stesso.’ Lunghissimo il finale disegnato da una elegantissima, inconfondibile firma gustosamente salina. 

Champagne Rosé

  • 94% chardonnay – 6% pinot noir in rosso
  • Origine delle uve: Ambonnay (pinot noir) – vino rosso barattato. Stesso assemblaggio dell’Initial (chardonnay)
  • Base vendemmia: 2016
  • Annate: assemblaggio di tre vendemmie consecutive
  • Maturazione sui lieviti: oltre 5 anni con due scuotimenti (dégorgement novembre 2022)
  • Dosaggio: 1,3 g/L

Prodotto in 5400/6000 esemplari è definito dallo stesso Selosse come l’immancabile proposta in rosa. Ma perché posizionarlo qui in degustazione? Perché lo champagne rosé altro non è che il V.O. con l’aggiunta di un 6% di vino rosso; un rosso speciale proveniente da Ambonnay, ottenuto da un baratto con l’amico Francis Egly, di Egly-Ouriet: due barrique di pinot noir in cambio di due barrique di chardonnay. “Vous goûterez le Rosé, pour ressentir la texture supplémentaire apporté par le vin rouge d’Ambonnay”, uno champagne in rosa che in degustazione si distinguerà per la struttura supplementare conferita dal pinot noir di Ambonnay. A differenza del V.O., il rosé è leggermente dosato, probabilmente per eventualmente compensare il lieve apporto tannico del vino rosso.

Rosa del rame appena accennato, sottile il perlage. Lupetti sembra quasi scusarsi nell’accostarlo a un tè alla pesca con tocchi di frutti di bosco che conferiscono un profilo acidulo-stuzzicante, invitando a gustarlo. Emerge poi a tratti la parte agrumata rossa. Il sorso è piacevolmente gustoso, con un attacco snello seguito da un frutto polposo e leggere note amaricanti tanto care a Selosse. Essenziale è notare la differente struttura di questo champagne, rafforzata dal vino rosso di Ambonnay; l’espressione minerale è pienamente rispettata, ma qui assume uno stile floreale, creando un sottile equilibrio tra il bouquet del pinot nero e la finezza dello chardonnay. Il risultato è un vino generoso che non perde il rigore del V.O., e chiude con un finale di cristalline freschezza e pulizia.

Substance – la sintesi perfetta

  • 100% chardonnay
  • Origine delle uve: 100% Avize. 2 lieux-dits.  Chantereines (parte bassa del coteau, esposto a est). Mont de Cramant (i pendenza, esposto a sud)
  • Annate: metodo “Solera” a partire dl 1986 (qui fino al 2014, 4,8%)
  • Maturazione sui lieviti: oltre 6 anni con tre scuotimenti (tiraggio 2016, dégorgement dicembre 2022)
  • Dosaggio: 2 g/L
  • Note: annate dal 1996 al 2002 poi 2018 vinificate senza SO2. In passato dosato 4,5 g/L

Prodotto in sole 3000 bottiglie, Substance è l’anti millesimato, l’essenza selossiana per antonomasia. Ottenuto grazie all’assemblaggio di una serie di annate (réserve perpétuelle, simil Solera) da singoli Cru. Due parcelle, due botti. In bottiglia va unicamente il volume della vendemmia in corso. Si prende il vino della vendemmia (il tiraggio è tardivo, avviene 2 anni dopo l’ultima vendemmia), si assembla con il vino di riserva (una botte) nella cuve d’assemblage di maggiore volume, si riempiono le bottiglie del volume della vendemmia, il vino rimasto (annate precedenti + ultima vendemmia) viene rimesso nella botte dei vini di riserva. L’intento è quello di cancellare l’impronta climatica della singola vendemmia, diluendola appunto nel tempo e conservandone quindi i valori medi, per fissare solo ciò che è origine (non a caso all’inizio Substance si chiamave Origine). 

Un vino che cambia con le stagioni all’assaggio: radioso in estate, più scuro in inverno. Una vera e propria tempesta sensoriale, la sintesi perfetta. Oro antico nel calice, prezioso e vivido il perlage. Ricchezza, verticalità; uno spettro che va dalla frutta tropicale agli agrumi, fino alla mineralità calcarea che già emerge al naso. All’assaggio si rivela denso, ma elegante. Una grandissima freschezza che va ben oltre lo stile ossidativo. Estremamente attraente, rotondo e cremoso, ma al contempo teso e asciutto. Di grande finezza e intensità, persistenza infinita, mette d’accordo tutti.

Per questo vino più che mai è giusto rendere merito a Guillaume, sottolinea Lupetti, sua l’idea del tiraggio tardivo per acquisire ulteriore complessità, sua la raffinatissima impronta di piacevolezza. Un lavoro rispettoso e garbato di esemplare maestria per smussare alcuni eccessi che nel Substance di Anselme potevano talvolta rivelarsi rischiosi.

Lieu-dit

Un lieu-dit è un luogo identificato da un nome, in questo caso un vigneto specifico. Ma qual è la differenza tra lieu-dit e millesimato? Lupetti affida nuovamente la risposta al lucido e sintetico Anselme: il lieu-dit risponde alla domanda “dove sei nato?”, il millesimato alla domanda “quando sei nato?”. Sono sei i lieu-dit di Selosse, sei villaggi diversi, sei vigneti; tre blanc de blanc e tre blanc de noir. Anche in questo caso, come per il Substance, volendo dare vita a un vino che sia espressione dell’origine e non del millesimo, viene utilizzato il metodo della réserve perpétuelle.

Les Carelles (Lieux-Dits)

  • 100% chardonnay
  • Origine delle uve: Le Mesnil. Metà del coteau, forte pendenza. Craie frazionata e profonda. Esposizione sud.  
  • Base vendemmia: 2016
  • Annate: metodo “Solera” 2003-2015
  • Maturazione sui lieviti: oltre 6 anni con tre scuotimenti (dégorgement gennaio 2023)
  • Dosaggio: 0,7 g/L

Il nome Les Carelles significa “mattoni di craie”, a indicare senza lasciare adito a dubbi la copiosa presenza di gesso, letteralmente in blocchetti. Nella lettura di Selosse, la discreta pendenza e l’assenza di argilla disegnano un profilo del vino secco e strutturato con un sapore salato, mentre l’esposizione sembra apportare una felice nota amaricante brulée.

Giallo intenso e luminoso che vira verso il dorato, perlage elegante e persistente. Il vino più didattico di Selosse, un blanc de blanc di Le Mesnil, con un naso floreale che si spinge verso la camomilla, una florealità calda data dall’esposizione a sud. Emergono le note agrumate, ma anche soprattutto la verticalità, il carattere tagliente e affilato di Le Mesnil. Questa tensione la troviamo nettissima all’assaggio, torna questa gradevole ombra di “amaro” subito prima della chiusura che è schiettamente sapida.

Sous le Mont (Lieux-Dits)

  • 100% pinot noir
  • Origine delle uve: Mareuil-sur-Aÿ Esposizione est. Metà del coteau, media pendenza. Craie “magnesienne”. Esposizione est.
  • Base vendemmia: 2016
  • Annate: metodo “Solera” 2005-2015
  • Maturazione sui lieviti: oltre 6 anni con tre scuotimenti (dégorgement febbraio 2023)
  • Dosaggio: 0,7 g/L

Sous le Mont è una parcella acquistata nell’autunno del 2003. Nasce esattamente dove si incrociano le colline del Clos de Goisses e del Mont de Mareuil.

Anche qui il suolo è a prevalenza di craie ma con una componente aggiuntiva, che Anselme definisce “dolomitica”, di magnesio e di calcio; minerali che sembrano essere l’origine di una piacevole nota amaricante riconducibile all’acqua di Hépar, una delle tipologie nobili del gusto amaricante individuate da Selosse.

Qui nasce un vino non di potenza ma di eleganza. Questo è l’unico vino maturato in tonneaux da 400 litri anziché barrique, perché desiderando ricercare il profumo e il sapore della buccia del frutto, si vuole evitare un’ossigenazione troppo rapida.

Veste dorata brillante e trasparente, perlage fine. Il carattere del pinot noir qui non rivendica la polpa, l’estrazione, la potenza, quanto piuttosto la finezza, quasi un ricordo della buccia del frutto. Emergono chiaramente note agrumate e una piacevole speziatura. In bocca regala una magnifica freschezza, una tensione e una leggerezza quasi inusuali per un pinot noir. L'attacco è succoso e si evolve con una felice dinamica di contrasto, tra una sensazione asciugante e una stimolante salivazione, che invita irresistibilmente a un altro sorso.

In un contesto dominato dalle grandi maison, Selosse brilla come un faro per i vigneron. Incarna l'eccellenza e l'autenticità, dimostrando che la passione e la dedizione possono trasformare anche le sfide più ardue in trionfi straordinari. Ogni sorso dei suoi champagne è stato un'esperienza vitale e indescrivibile, un momento unico e irripetibile. Così, tra la gioia del privilegio vissuto e la malinconia che accompagna la fine di un momento così speciale, ci si lascia trasportare dalla consapevolezza di aver partecipato a qualcosa di veramente straordinario.