Bernini, Castagno e il Barocco

Racconti dalle delegazioni
10 febbraio 2025

Bernini, Castagno e il Barocco

Al The Westin Palace di Milano, Armando Castagno ha condotto una lezione barocca sul Barocco a Roma: ha messo in scena la vita fatta di scultura, pittura, architettura e urbanistica, con il totale coinvolgimento emotivo dei partecipanti. Il Seicento non è mai stato così contemporaneo.

Sara Missaglia

La vita nel suo tumulto: Roma, città eterna ed eternamente affascinante ha trovato in Gian Lorenzo Bernini l’artista capace di esprimere la sua vitalità poliedrica, amplificata e monumentale. Gian Lorenzo Bernini è l’artista più importante del XVII secolo: universale, dalla genialità precoce e dalla visione aperta a tutti i campi delle arti. Instancabile, infaticabile, velocissimo nella realizzazione, intuitivo e profondo, è stato anche al centro di quello che oggi chiameremmo un network importante: ha avuto rapporti stabili, proficui e duraturi con nobili, papi, prelati, gentiluomini, artisti, aristocratici e sovrani le cui vicende umane si sono intrecciate con la sua filosofia e il suo stile.

Armando Castagno racconta la storia di questo artista straordinario trasferendo tutta l’energia che probabilmente ha dominato i suoi capolavori: Armando parla di Gian Lorenzo Bernini e contamina di abilità e agilità le parole, che nascono dalle immagini che via via scorrono durante la serata e che raccontano il percorso dell’artista. L’evento supera le quattro ore, dato tecnico solo per indicare quanto i presenti siano stati letteralmente rapiti e folgorati dalla narrazione. Armando tratta le parole come il Bernini accarezza il marmo: lo scultore conferisce corpo e calore a una materia inerte sino a renderla viva. Le parole di Armando sono vive e sono parte dell’architettura di un teatro che, durante la serata, diventa sempre più simile al virtuosismo realistico del Bernini.

Gian Lorenzo Bernini: la vita

Nacque il 7 dicembre 1598 a Napoli: figlio dello scultore toscano Pietro Bernini, sin da bambino seguì il padre appassionandosi alla scultura: l’aria che respirava a casa era fatta di arte e di incontri tra giovani artisti. Napoli, all’epoca, è una città ricchissima e vitale dal punto di vista artistico, un vero cantiere aperto con mille chiese in costruzione e grandi imprese committenti: qui Pietro Bernini cerca e trova fortuna, realizzando numerose opere e specializzandosi nelle fontane. È un grande costruttore di scene sacre in bassorilievo e altorilievo, un progettista di apparati effimeri e scenografici e di monumenti funebri.

Il lavoro non manca e Gian Lorenzo segue il padre e lo aiuta in molte commissioni: la sua precoce capacità artistica incanta colui che sarà per sempre il suo mecenate e che incarna la fortuna dell’artista, il cardinale Maffeo Barberini, che diventò Papa Urbano VIII nel 1623. Una svolta che consegnò il Bernini alle grandi commissioni scultoree, pittoriche, architettoniche e urbanistiche pontificie, consacrandolo come l’artista di Roma per oltre quarant’anni. Ma nel percorso del giovane Gian Lorenzo anche il cardinale Scipione Caffarelli-Borghese ebbe un ruolo importantissimo, soprattutto quando si ritrovò a essere il “cardinal nepote” a seguito della nomina di suo zio Camillo Borghese a Papa Paolo V nel 1605. Anche quest’ultimo fu folgorato dalle capacità prodigiose del giovanissimo Bernini: un esempio su tutti è la Capra Amaltea, scultura del 1609, che venne realizzata quando Gian Lorenzo aveva solo 10 anni.

L’artista prese perfettamente a modello Galileo quando diceva che se devi imitare le cose, «tanto più è distante il mezzo con cui le imiti - in questo caso il marmo - dalle cose che vuoi imitare, tanto più l’opera è degna di loro». È chiaro che è il padre a essere il suo maestro, ma è altrettanto evidente, sin dalle prime opere del Bernini, che il maestro è stato superato. Si narra che quando chiesero al padre Pietro se non fosse preoccupato del fatto che il figlio potesse superarlo, la risposta fu: «in questa situazione chi perde vince. Se riesco a farmi superare da lui vuol dire che ho vinto». Pietro Bernini aveva ben compreso il prodigio e la genialità del figlio.

Il Barocco

È una parola francese mediata dalla lingua portoghese barroco, che ricorda la perla barocca, dalla forma irregolare e stravagante, bitorzoluta e imprevedibile, coltivata o naturale, destinata a gioielli di forma curiosa. «Il Barocco rappresenta un elemento di assoluta novità: è un movimento germinativo, verginale e innovativo: probabilmente non c’è mai stata una corrente artistica così innovativa quanto il Barocco: il Barocco è arte contemporanea», commenta Castagno: «indica movimento individuato solo ex post: nel durante nessuno ha mai utilizzato la parola “barocco”. Il termine ha iniziato a diffondersi molto timidamente alla fine del Seicento, sino a esplodere all’inizio dell’Ottocento, assumendo immediatamente un significato quasi negativo. Quando si parla di Barocco si intende qualcosa di eccessivo, di decorato oltre misura e pesante. In realtà, grazie al lavoro di alcuni storici e critici dell’arte, si è provveduto a una rielaborazione corretta della storiografia del Barocco».

Nella lezione di Armando è chiaro che da subito che il Barocco ha lo straordinario potere di arricchire l’opera di molteplici aspetti, fondendo tra loro le varie arti come la pittura, la scultura, l’architettura, ma anche le altre arti applicate. Per la prima volta chiama in campo il pubblico, che diventa protagonista, attivo o celato, quale spettatore che in diretta assiste ad avvenimenti straordinari ed è al centro della scena, a volte inconsapevolmente. A portarlo in quel preciso punto dove la vita immaginata dal Bernini è protagonista è l’artista stesso che, attraverso un gioco sapiente di luci, crea ruoli e posture. Il Barocco introduce la natura nelle città e nelle opere: Roma ne è piena testimonianza, come vedremo raccontando più avanti le opere analizzate da Armando.

I prodigi del Bernini attraverso le sue opere

Bernini realizza nel 1614 il busto di Antonio Coppola, medico benefattore, ora custodito nella Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. È un’opera prodigiosa: lo sguardo è indimenticabile, la scultura ci porta all’interno dell’anima. Bernini, proprio con questo busto, avvia la sua carriera di ritrattista di monumenti funebri. La scultura di Bernini non fa sconti: la verità nuda è nel volto e il marmo rappresenta una sorta di equivalenza delle opere di Caravaggio. Bernini lo scolpisce con la stessa genialità con cui Caravaggio usa le sciabolate di luce per fare in modo che la vita possa andare in scena e accendere i riflettori là dove vuole che lo sguardo e le emozioni vadano.

Bernini accetta di diventare “anti-grazioso” e rifugge la perfezione classica del Rinascimento. Nel San Lorenzo sulla graticola conservato agli Uffizi la prova del fuoco attraverso le fiamme è un elemento sfidante per lo scultore: Gian Lorenzo è giovanissimo, eppure riesce a renderle vive, calde e ardenti, mentre travolgono il corpo del martire con vitalità e dinamismo.

L’opera Anima Beata e Anima Dannata si propone di mostrare l’aspetto che ha l’Anima Beata mentre vede Dio, a differenza dell’Anima condannata che non lo vede e non ha più speranza. L’anima Beata ha il viso che comunica beatitudine e armonia, mentre quella Dannata ha un volto deformato e terrorizzante: vede ciò che lo spettatore non vede. Il Bernini anticipa di trecento anni quello che il Novecento riuscirà a esprimere: non è solo capacità tecnica, ma risponde a un messaggio preciso di verismo.

Palazzo Borghese, all’interno di Villa Borghese, ospita la collezione di Scipione Borghese in cui sono custodite cinque opere scultoree di Gian Lorenzo Bernini. Tra queste domina il gruppo monumentale di Enea, Anchise e Ascanio. Straordinario è il lavoro di Bernini sulla pelle marmorea ed è talmente realistica la fatica con cui Enea porta sulle spalle Anchise che la sensazione è commovente. Enea è un eroe quasi di porcellana, senza macchia e senza paura, munito di gioventù, mentre il padre è anziano e affaticato, e le grinze della sua pelle sono paragonabili ai i cerchi concentrici nei tronchi degli alberi: comunicano l’età avanzata. Ascanio bambino ha il fuoco sacro tra le mani, e le tre generazioni sono in movimento: il senso di gravità e di pesantezza è reso e restituito in modo strabiliante con la lavorazione di un unico blocco di marmo. Anche questa è un’opera giovanile, palpitante e viva. Bernini realizza Nettuno e Tritone nel 1620: si tratta di un Nettuno spettinato, violento, infuriato nel gesto di domare i venti e il mare. Tritone è impetuoso come il vento, e come il mare è in agitazione, preso dalla rabbia e dalla foga del fare, mentre punta il tridente contro le acque per placarle. La scultura è vibrante, ed è oggi custodita al Victoria e Albert Museum di Londra. Il terzo grande gruppo monumentale della galleria Borghese è l’apparizione di Ade, invaghito da Proserpina: il Dio degli Inferi, nel Ratto di Proserpina, rapisce la fanciulla. È un’opera di nudo che testimonia il virtuosismo realistico ed erotico del Bernini: lo scultore ricostruisce la scena nel momento più drammatico, nella forza delle mani che stringono i corpi, nella carnalità dei gesti e nel calore negli eccessi umani, conferendo un grande effetto teatrale fatto di momenti in movimento costante. Proserpina lotta mentre i muscoli di Ade sono totalmente in tensione nel gesto di rapirla e farla sua. Magistrale, sorprendente ed emozionante la realizzazione del David da parte di Bernini: nulla a che vedere con le opere di Donatello o di Michelangelo, perché il David di Bernini è un giovane che si concentra e non ha il volto sereno dell’eroe, pronto a colpire Golia coinvolgendo lo spettatore. Il suo è uno sguardo di sfida, perché Golia è lo spettatore, che a pieno titolo si trova all’interno della scena rappresentata dal Bernini. La statua è in costante movimento: David non sta fermo, così come Dafne, afferrata da Apollo, che si trasforma in un albero. Si tratta di una statua ad altissima temperatura erotica. La scena è terribile e spettacolare al tempo stesso e le statue sono dotate di dinamismo e di forza, sino ad allora sconosciuti alla scultura. Apollo ha una vitalità prorompente ed è scolpito nell’impeto della corsa, con i capelli mossi e il mantello che scivola via, gonfiato dal vento alle sue spalle. La ninfa Dafne lotta per la sua verginità per sfuggire alla violenza di Apollo. La metamorfosi ha inizio e la donna, a partire dal piede sinistro che diventa radice, si trasforma in un albero, con il corpo che diventa corteccia e le sue mani, rivolte verso l’alto, che diventano rami di alloro. Il volto di Dafne comunica terrore per l’agguato di Apollo, ma anche serenità perché con la metamorfosi è riuscita a sfuggire al suo desiderio. La scultura è fatta di giochi di luce e di ombra, di chiaro e di scuro, di pieni e di vuoti e il marmo è trattato come se fosse un dipinto, dove la corteccia e il terreno, i muscoli e i tendini tesi di Apollo nello sforzo e la morbidezza del corpo di Dafne si fondono in un equilibrio perfetto, privo di retorica e di prevedibilità. L’espressività drammatica e il taglio realistico dell’opera testimoniano l’estetica del Barocco romano, dotata di un senso di movimento e di vitalità che continua a regalare sensazioni di stupore e di meraviglia nei secoli.

Bernini architetto

Con l’ascesa di Maffeo Barberini a Papa, nel 1623, a Bernini vengono affidate alcune importanti opere architettoniche e urbanistiche. La prima è la ricostruzione del corpo di Santa Bibiana, una chiesa alla periferia di Roma, dove all’interno dell’abside il Bernini realizza il miracolo della vita eterna della Martire con un ingegnoso artificio di illuminazione, attraverso una finestra orientata per comunicare un senso mistico e visionario. Con la realizzazione del Baldacchino di San Pietro, alto 28 metri, e i lavori architettonici della Basilica di San Pietro, Bernini infonde un effetto scenografico e teatrale ai suoi edifici, dove il chiaroscuro, il gioco tra porzioni vuote e piene del corpo della struttura e l’uso di superfici curve e piane, conferiscono all’impianto leggerezza, dinamismo, velocità di percezione e movimento, senza che in tutto questo venga a mancare l’armonia strutturale e visiva. Perizia tecnica, genialità, capacità di dominare prepotentemente lo spazio fisico e mentale di tutte le forme con cui si rapporta: è questo il Bernini. Il celebre Baldacchino, realizzato tra il 1624 e il 1633, è composto da quattro colonne tortili in bronzo dorato, poste al di sopra di basamenti in marmo e collegate da una trabeazione di matrice brunelleschiana. Si tratta di un ciborio monumentale sopra l’altare maggiore della Basilica: un’opera barocca realizzata attraverso l’animazione di una scena teatrale grazie all’avvio di un dialogo tra gli spazi maestosi che sovrastano la tomba di San Pietro.

La piazza e il Colonnato di San Pietro consegnano Bernini all’eternità e alla riconoscenza della memoria imperitura: rappresentano il suo capolavoro architettonico e urbanistico trasformando lo spazio antistante la Basilica in una forma ellittica, delimitata da un colonnato. Spettacolarità, solennità ed eleganza, ma anche funzionalità e ingegno architettonico, perché il Bernini dovette fare i conti anche con problemi di asimmetria della piazza ma che, con grande cura e ricorso a precisi calcoli geometrici, riuscì a dissimulare. Lo stile è grandioso, ricco e monumentale, in grado di conferire vivacità emotiva, movimento e perfetta integrazione tra la Basilica e i fedeli. L’impostazione è un inno alla grandiosità, «che deve creare esperienze immersive», come si dice di questi tempi.

Bernini e le fontane

Piazza Navona e la Fontana dei quattro fiumi: si tratta di un altro capolavoro di Gian Lorenzo Bernini. Una vasca a forma ellittica su cui è posto un gruppo marmoreo composto da uno scoglio e da quattro allegorie dei fiumi della Terra: il Nilo, il Gange, il Rio de La Plata e il Danubio. Su di loro svetta un obelisco. Il gruppo marmoreo si compone anche di figure che evocano elementi vegetali e creature animali: Bernini porta la natura in città e realizza un paesaggio esotico in movimento, a perfetta rappresentazione della vita pulsante e degli spazi della realtà naturale. Bernini ricostruisce un ambiente selvaggio e il suo virtuosismo è testimoniato dal foro centrale del gruppo marmoreo, in quanto l’obelisco di porfido poggia sostanzialmente sul vuoto. 

L’epilogo

Gian Lorenzo Bernini muore a 81 anni e le sue spoglie sepolte all’interno della Chiesa di Santa Maria Maggiore. La tomba, realizzata solo con un gradino: colui che rese Roma la città delle meraviglie si accontentò di una tomba lineare, essenziale, bilanciando la straordinarietà e la grandiosità di tutto ciò che realizzò e che dedicò inconfutabilmente al pubblico. Le sue opere d’arte non sono mai fini a sé stesse, ma ognuna è portatrice di un linguaggio universale e inclusivo. Gian Lorenzo Bernini fu un vero campione di verismo e di teatralità, riportando nella scultura i chiaroscuri molto forti propri di Caravaggio: l’abbandono di forme pure come il quadrato e il cerchio e l’introduzione di forme più dinamiche come l’ellisse, di chiaro influsso galileiano, sono testimonianza del messaggio di straordinaria innovazione del Bernini, che insegna a osservare tutto ciò che accade da prospettive diverse.

Si chiude il sipario, Armando Castagno ha dato tutto ciò che voleva e poteva. A fine serata, in piena “con-fusione” tra racconto, teatro e immagini, Castagno finisce per assomigliare al Bernini. E quando il confine tra narratore e narrato è così sottile, quando la fusione è frutto di piena interazione, la magia è tangibile. Come le opere del Bernini vanno oltre i confini del possibile, al The Westin Palace la grandezza è andata in scena.

La degustazione

I quattro vini selezionati da Armando Castagno non hanno un collegamento diretto con l’arte, ma sono legati al Barocco nella loro spettacolarità. Sono, in un certo senso, spettatori indiretti della grande scenografia realizzata dal Bernini.

Franciacorta Dosage Zéro Vintage Collection 2014 - Ca’ del Bosco

Si tratta di un vino scelto da uno dei più grandi collezionisti d’arte tra i produttori di vini italiani, Maurizio Zanella. Si tratta del Vintage 2014 Collection, con sboccatura a dicembre 2018: il Metodo Classico presenta un’ampiezza e una ricchezza barocche, espresse attraverso la spettacolarità di una bottiglia di rara bellezza. La maggior quota è chardonnay, seguito dal pinot nero: è un vino luminoso, screziato dalle nuance della bacca nera. Un vino da chiaroscuro, ammorbidito dalla presenza del grande vitigno di Franciacorta, il pinot bianco.

Alto Adige Gewürztraminer Nussbaumer 2022 - Cantina Tramin

Due parcelle, una a 350 metri e l’altra più estesa a 550 m: un’altitudine da Etna. Il traminer è riconoscibilissimo, con la peculiarità che questo è di montagna e si avvale dell’elevata escursione termica dei luoghi. Termeno è circondata da montagne e la resa delle viti, che hanno un’età dai 12 anni per un impianto recente fino ai 44 anni per quelle più vecchie, è molto bassa su questi terreni rocciosi e molto magri. L’acidità di questo vino non è alta, pari a 4,9 g/L, caratteristica comune per queste uve. La raccolta è manuale, la fermentazione in acciaio per 10 mesi seguita da 4 mesi di sosta in bottiglia. Il residuo zuccherino è di 7,5 g/L giustificato dal fatto che le uve traminer sono tra le bacche bianche più amare. È un vino splendido, monumentale, ricco, opulento, magnetico e seduttivo, perfetto in abbinamento con gli udon della cucina giapponese. 

Amarone della Valpolicella Classico 2015 - Vigneti di Ettore

«L’Amarone può essere un vino di grande larghezza e talvolta teatralità. In realtà questo Amarone è molto sobrio rispetto alla media», commenta Armando. Un soffio balsamico molto evidente che ricorda la macchia mediterranea e una speziatura un po’ piccante che arriva dalla vigna pressoché confinante con quella di Quintarelli nella Valpolicella Classica. Le uve sono appassite in fruttaio per 100 giorni e la vinificazione prevede criomacerazione e 7 giorni di fermentazione in acciaio con 3 settimane sulle bucce. Il passaggio in legno avviene in tonneaux e botte grande per due anni e mezzo. «Sembra essere il vino a metà strada tra la pietanza e il dolce con i formaggi o, addirittura, da meditazione, lontano dal consumo di cibo», precisa Armando. «In realtà è un vino che si abbina a molti piatti».

Porto Vintage Silval 2001 - Quinta do Noval

È il vino che chiude in ardenza questo incontro: tra le uve c’è la tinta barroca o anche tinta barocca, che ricorda il tema della serata. La fermentazione è effettuata in vasche di pietra, non nel legno o nel cemento, e la maturazione è di 20 mesi in botti di diverse capacità, comunque maggiori a 640 L e ha 96 g/L di zucchero residuo. Armando lo definisce un vino folle, nettamente da meditazione. Noi preferiamo chiamarlo magico. Si spengono le luci e si accendono le stelle.