Bolgheri, una nobile storia contadina
Il compleanno della nostra Associazione è l’ormai consueta occasione di ascoltare, dalla voce di Armando Castagno, il racconto di un grande territorio italiano. Quest’anno è la volta di Bolgheri, che narra di un felice connubio tra terra e storia, con il decisivo apporto di un nobile vignaiolo.
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(Dante, La Divina Commedia, Canto XXXIII, vers. 1-15)
Nel silenzio sospeso della sala in penombra, Armando Castagno apre così, declamando a memoria i versi del XXXIII Canto dell’Inferno Dantesco, il 58esimo compleanno dell’Associazione Italiana Sommelier. E a suggello dell’incanto poetico esclama, al termine, di averlo fatto per non iniziare una serata su Bolgheri con i versi I cipressi che a Bólgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar, «che il Conte Ugolino c’entra con il territorio ben più del Carducci».
E se la poesia di fine ‘800 tornerà invero più di una volta durante la serata per fornire una chiave aulica a vicende storiche ben più prosaiche, il richiamo che l’Alighieri fece del Conte Ugolino dà al nostro oratore la chiave di violino per imbastire il racconto avvincente di una terra che «è autentico vanto italiano».
La storia di Bolgheri, narrataci in poco meno di un’ora, non può infatti obliare quella dei Della Gherardesca, a partire da quel Walfredo – o Wilfrido, Vilfrido o ancora Valfredo – vissuto nell’VIII secolo e oggi venerato santo dalla chiesa cattolica. Un casato che ebbe il controllo del territorio, determinandone le alterne fortune, per diversi secoli, che Armando snocciola con irriverente facilità, ricordando – tra i tanti nobili – Simone Maria Della Gherardesca (1639-1704), per aver eretto l’anno prima della propria morte una piccola chiesa ottagonale dedicata a San Guido, il “santo di famiglia” (1060-1140); e poi Guido Alberto Della Gherardesca (1780-1854), che gestì gli sconfinati fondi bolgheresi in anni assai difficili guadagnandosi la fama di personaggio più conosciuto della Casata. Fu sotto di lui, infatti, che venne impiantato nel 1816 il primo vigneto sperimentale a Capanne di Castiglioncello, che vennero pianificate le bonifiche e iniziarono i primi lavori della Via Regia che da Pisa portava a San Vincenzo e poi, a Grosseto, che furono costruite le principali case coloniche e che, nella prima metà degli anni ’40 dell’Ottocento, venne realizzato il famoso Viale dei Cipressi.
Risulta facile, a fronte delle tante opere realizzate (di cui quelle sopra sono soltanto un breve accenno), pensare a Guido Alberto Della Gherardesca come un vero mecenate del proprio territorio. Specie se si considera, sottolinea Armando Castagno, che nella prima metà del XIX secolo Bolgheri «era il posto più depresso di tutta la zona, specie in confronto alla vicina Castagneto Carducci»: su 711 abitanti, soltanto 29 persone erano pienamente alfabetizzate (e tra esse si distinguevano Ildegarda Celli e Caterina Barsotti, uniche donne a saper leggere e scrivere), alle quali se ne aggiungevano altre 12 che sapevano soltanto leggere.
In tal contesto, il faro dei Della Gherardesca ha dunque contribuito a gettare le basi della “Bolgheri agricola”, alla quale ha dato un apporto involontariamente decisivo Clarice Della Gherardesca, sposando nel 1930 Mario Incisa della Rocchetta (1899-1983), uomo geniale, agronomo di primissimo livello e, per di più, futuro primo presidente del WWF Italia.
Avendo questi avuto modo di degustare i vini bordolesi, volle tentare di ricrearli per proprio consumo personale (e su questa asserzione, Armando ci tiene a soffermarsi), impiantando all’inizio degli anni ’40 del secolo breve cabernet sauvignon a 393 m s.l.m. a Castiglioncello. Soltanto qualche anno dopo Mario Incisa Della Rocchetta si fece persuadere da Niccolò Antinori, marito di Carlotta Della Gherardesca, sorella di Clarice, a dare inizio a una produzione destinata al mercato, offrendogli la collaborazione di quel Giacomo Tachis – all’epoca enologo degli Antinori – che tante fortune avrebbe portato.
Di qui in avanti, è storia nota: la prima bottiglia di Sassicaia nel 1968, la vittoria a sorpresa del contest di Decanter dieci anni dopo con un Sassicaia ’72 capace di sbaragliare i migliori cabernet bordolesi, l’enorme attenzione del mercato internazionale, la nascita dei super tuscan… e dunque la Bolgheri di oggi. Che sì, è questo, ma è anche altro, come la degustazione con Armando ci darà modo di comprendere.
E se Sassicaia è il portabandiera del territorio, e i Gherardesca sono idealmente i promotori, altri e altrettanto fieri produttori e vignaioli sono l’espressione più autentica, medesima faccia della stessa lucente medaglia.
La degustazione
Luminoso, di colore verdolino paglierino piuttosto tenue. Il naso, di intensa sapidità e croccanti profumi marini, è archetipico del bianco bolgherese. All’assaggio, Armando ne esalta la «vera e propria mineralità» di pietra bianca e pietra pomice. Un vino «autentico, spontaneo», che può accompagnare un intero menù di mare.
Il calice è di un attraente color pesca, e il frutto si ritrova assieme alla rosellina a comporre un tenue affresco olfattivo. Al palato «è fin troppo giovane», dice Armando e, ciò nonostante, la beva è gioiosa, sapida, di sferzante acidità, a richiamare piatti di pesce con pomodoro o anche una pizza margherita.
Bacche blu di mirtillo e gelso caratterizzano le tinte olfattive; in bocca è sul frutto pieno. Ancora giovanissimo, con un’irruenza piuttosto esplicita, è senza dubbio da attendere, non foss’altro per il suo vigore tannico. Armando lo definisce un vino genuino e naturale, «nel senso di una filiera produttiva senza passaggi intermedi».
I profumi, per Armando, hanno «ricordi di rive droite bordolese», freschi e intensi, con note balsamiche, di peperone fresco, di ginepro e lentisco, e un accenno leggero di alghe. Il palato è pieno, agile, succoso, con una trama tannica ricamata. Da sottolineare la gustosa persistenza di bocca.
Avvicinando il calice al naso l’impatto è strepitoso: al timbro del cabernet sauvignon si affiancano note di violetta e grafite proprie del sangiovese, e ancora profumi aciduli e dolci. La bocca, dice Armando, «è ancora da farsi, con piccole note leguminose, ma molto didattico».
Vino che al naso si presenta più austero, composto e algido del precedente (che, dalla sua, aveva una maggiore croccantezza di profumi), con una più esplicita nota vegetale di peperone. All’assaggio è accogliente, morbido, intuitivo, con aromi di cioccolato, tè e accenni di tabacco.
Approccio balsamico, poi escono profumi di rosmarino strofinato con le mani, di mora di rovo e cioccolato fondente. Al palato è ricco, esuberante, lungo e di grande trama, davvero eccellente. Armando consiglia di «acquistarlo e dimenticarlo per un po’ in cantina».
Affresco olfattivo di enormi potenzialità, a dire di Armando è un naso da Pauillac, con strabilianti sentori di carbone fossile, scatola di sigari e cedro. Un vino che, già dal naso, fa propendere per l’attesa, invocata infatti anche dalla bocca che pure evidenzia una tessitura nobile e lunga e una dimensione che tende ad allargare la beva.
Con le parole di Armando: «questo vino esprime compiutamente la solennità del luogo da cui proviene». È infatti marino, anzi fluviale, con profumi di legno di liquirizia e una nota verde di peperone. In bocca, poi, si esprime con signorilità e con particolare intensità sulle note tostate del chicco di caffè. Ammirevole la persistenza aromatica intensa.
L’approccio balsamico, la nota verde di peperone, l’universo scuro del frutto e un tocco appena percettibile di tostatura contribuiscono a rendere grande la tela olfattiva di uno splendido cabernet franc. Al palato il tannino rivela una grana deliziosa, di buccia, nient’affatto astringente o disseccante, e concorre assieme alla freschezza e alla sapidità marina a rendere l’assaggio pieno, intenso e particolarmente gustoso. Grande, grandissimo vino.
«Ha calore, ha dinamicità, è marino», per Armando è senza dubbio un vino che «ha l’anima di Bolgheri, un demiurgo che si prende la briga di parlare all’anima del territorio, avendo coscienza dello stesso semplicemente perché ha contribuito a crearlo».
È un vino ancora bambino dalla bocca già finissima, elegante, aerea, libera e leggera, che si svolge su un substrato di complessità che si lascia ammirare in vetrina, in attesa del suo momento. Cercando un’immagine che possa definirlo, Armando riflette che «non si tratta di velluto, bensì di raso» definendolo un «vino colto»: non se ne percepisce il legno, non c’è concentrazione, è un vino trasparente, sobrio, degno – anzi ottimo – portabandiera di Bolgheri.
Centocinquanta minuti ancora una volta volati in un baleno. Armando Castagno è così, capace com’è di rendere ancor più affascinante e vitale un territorio che – già di suo – sa abbagliare come un diamante lumeggiato da una torcia. I dodici vini degustati hanno focheggiato un’immagine di Bolgheri che risulta così perfettamente a fuoco: quel che riscontriamo oggi noi è la grande qualità, l’assoluta integrità e la costante ricerca dell’eccellenza di chi a Bolgheri discetta di vino.
Buon compleanno AIS!