Bordeaux fuori dagli schemi

Racconti dalle delegazioni
13 novembre 2023

Bordeaux fuori dagli schemi

È possibile parlare dei vini di Bordeaux da una prospettiva meno canonica e differente dal solito? Ci ha pensato Samuel Cogliati Gorlier, con assaggi lontani dai celebri Châteaux e dai grandi nomi nel suo incontro con i soci di AIS Milano.

Valeria Mulas

«Bordeaux è uno degli areali più complessi e stratificati di insidie, di contraddizioni, di tipicità e contro-tipicità. L’idea stessa di internazionalismo fa parte di questa contro-tipicità. Prendiamo ad esempio i suoi vitigni: ben tre - merlot, cabernet sauvignon e sauvignon blanc - ormai sono considerati dei globetrotter a tutti gli effetti, quasi dimenticando la loro origine bordolese». Esordisce così Samuel Cogliati Gorlier - scrittore, editore e giornalista – per introdurci alla prima regione di Francia per estensione di ettari vitati catalogati e incasellati nelle Appellations d’Origine Protégées (AOP).

Territorio di riferimento assoluto nei confini delle denominazioni, Bordeaux vede la propria fama probabilmente più associata a famosi Châteaux o a noti cru. Château Margaux, Château Lafite-Rothschild, Château Mouton-Rothschild, Château Latour, Château Haut-Brion o Château Petrus sono solo alcuni dei nomi che hanno reso celebre il territorio al di là delle singole AOP in cui ciascuno di essi ricade.

Samuel Cogliati GorlierL’idea di Bordeaux, in altre parole, è indissolubilmente legata alla graduatoria in cinque classi di merito voluta da Napoleone III nel 1855 per classificare i migliori vini della regione all’Esposizione Universale di Parigi, una classificazione tutt’ora in vigore e che ha fatto scuola anche per le successive AOP. Tutto questo sistema di crus classés famosi e celebrati in tutto il mondo, però, rappresenta appena il 5% (5500 ettari circa) dell’intera superficie vitata bordolese. Se allarghiamo lo sguardo dalla classificazione del 1855 alle AOP più note, la percentuale arriva a un 12% circa di un territorio che, lontano dai grandi nomi, è in buona parte (56%) a gestione famigliare e con una media di 17 ettari circa per proprietà.

Il territorio bordolese con i suoi 110.000 ettari vitati e 6300 viticoltori totali, genera almeno 55.000 posti di lavoro, senza contare l’indotto.

Un elefante che, nelle foto di repertorio, è vestito a festa e sorride del proprio successo planetario.

Nella realtà i numeri delle vendite degli ultimi anni, a dispetto del trionfalismo di immagine, ci parlano di un crollo verticale con punte che arrivano al -32% tra il 2016 e il 2020. La stessa cronaca odierna ci mostra una regione in crisi profonda con richieste, da parte dei sindaci e dei vignerons, di un piano sociale per l’agricoltura di aiuto e di sostegno a un settore in ginocchio.

Tra gli anni ‘80 del secolo scorso e i primi anni 2000, Bordeaux era al centro di un fervore commerciale straordinario, cui, però, ha fatto seguito un’era di forte critica all’immobilismo qualitativo e di stile, così come alle stesse pratiche agricole. Fino a circa 10 anni fa Bordeaux (Cogliati esclude per questa analisi la Champagne - ndr) risultava come fanalino di coda della Francia impegnata nell’approccio biologico. Solo recentemente Bordeaux ha capito quanto fosse diventato importante e urgente non solo una presa di coscienza, ma anche una reale conversione delle pratiche agricole.

Tra il 2019 e il 2020 le percentuali di ettari vitati in biologico o in conversione hanno raggiunto in breve tempo la media del 19%, un numero che supera la media nazionale (16% circa), ma ancora lontano da quelle regioni dove, addirittura, si discute di inserire il criterio del biologico come tassello essenziale nelle AOP. L’altro dato interessante da sottolineare è che la maggior parte delle aziende che hanno scelto questo percorso, come precursori, sono piccole e semi-sconosciute.

Le scelte dell’altra Bordeaux, quella lontana dai noti crus classés, hanno dato una spallata al conservatorismo dei grandi, spronando i blasonati nomi ad abbracciare il biologico al di là del valore storico, di terroir e di fama che li precedeva. Oggi, tra opportunismo commerciale e scelta di coscienza, Bordeaux finalmente sta ricercando una vera qualità agronomica che aiuti la salvaguardia e la ricostruzione della biodiversità, che annulli l’uso di diserbanti e di fertilizzanti di sintesi, che si opponga alla vendemmia meccanizzata e che, lavorando per sottrazione in cantina, favorisca una minor invasività enologica.

La nuova era biologica del bordolese è tutt’altro che ingessata: giovane (il 25% ha meno di 40 anni), ha iniziato a lavorare in vigna dopo il 2010 e per il 33% ha un volto femminile. Numeri importanti che ci danno l’idea del fermento che la regione sta vivendo e che inizia a mettere in luce tutta quella produzione lontana dalla fama della minoranza dei crus classés.

«Il 95% della produzione di Bordeaux è dunque altro dai crus classés e questa sera ci addentreremo in questa ricca parte di territorio vitato per assaggiarne una piccola selezione» chiosa Cogliati dando il via alla degustazione, rigorosamente alla cieca.

La degustazione

Vin de France Planquette 2019 – Blandine e Jérémy Borde
cabernet sauvignon 48%, merlot 48%, petit verdot 4%

Veste profonda, quasi impenetrabile, di un color rubino vivo e giovanile. Naso molto intenso, diretto, vibrante e selvatico, con sfumature speziate di peperoncino e pepe. Si avvertono sfumature animali, di cuoio, e di terra, sottobosco e legni bagnati, che poi virano sulla castagna bollita. Il secondo tempo di questo vino diventa agreste con sentori di anacardi, di asparagi e di fieno essiccato. Un soffice e ovattato ingresso al palato rivela, in poco tempo, una rusticità e ruvidità di contenuto importante, con tannini vividi e tattili. Precisa la nota gustativa dei mirtilli che mette in luce una freschezza acidula, quasi mordente. La persistenza, lunghissima, infine, su note di cacao e quasi ferrose, rivela una natura intransigente nella domanda di un abbinamento carnivoro, anche importante. Un vino che richiede un’attesa di almeno cinque anni.

Siamo sulla Rive Gauche, nel Médoc e precisamente nel comune di Saint-Yzan-de-Médoc; terreno argilloso-calcareo su graves, fermentazione spontanea, macerazione di 30 giorni e affinamento in barrique di 30 mesi. Questo vino non subisce alcuna chiarifica e viene blandamente filtrato.

Vin de France Émilien 2019 – Château Le Puy
merlot 85%, cabernet sauvignon 7%, cabernet franc 6%, malbec 1%, carménère 1%

Carminio di bella lucentezza per questo calice che vira già verso il granato e si presenta, all’olfatto, con un’iniziale cupa ritrosia, quasi rarefatta, che presto svela un’eleganza floreale e balsamica vestita di sentori di funghi crudi, buccia di limone e basilico. Si addolcisce, aprendosi, ricordando il profumo della crostata di farina integrale, alle prugne. Leggiadro in bocca, senza essere vuoto, questo è un vino limpido sospinto da un’acidità aggraziata. Ha una trama velata, seppur incorruttibile, di tannino che si lascia scoprire, e una persistenza quasi rarefatta, nelle evocazioni di melagrana e rosa canina, eppure lunga.

Fermentazione spontanea, macerazione a cappello sommerso per 2-4 settimane in tini di cemento aperti e affinamento in botti grandi e barrique usate per 23 mesi. Émilien nasce nel comune di Saint-Cibard, nel Libournais, Côtes de Francs.

Canon-Fronsac Château Moulin-Pey Labrie 2016 – Bénédicte & Grégoire Hubau
merlot 95%, malbec 5%

Una leggiadra dolcezza di spezie, dalla cannella al tabacco biondo, colpisce il nostro olfatto, sedotto da ulteriori note citrine, di mandarino essiccato e di crema al limone. Sfumature che ci indicano un’atmosfera più intima, meno immediata, ricamata di fiori d’arancio. Al palato si svela setoso, grazie a tannini morbidi che regalano leggere note amare di bilanciamento all’avvolgenza di entrata. Finale di liquirizia e rosmarino, per un vino concentrato, felpato, garbato e perfettamente coerente tra olfatto e palato.

Questo vino, dopo fermentazione spontanea e macerazione di circa 20 giorni in cemento, affina in botti da 600 litri (30% nuove) e non subisce alcuna chiarifica enologica. Le vigne hanno una media di 65 anni e la vendemmia è manuale.

Listrac-Médoc Château Clarke 2001 – Baron Edmond de Rothschild
merlot 70%, cabernet sauvignon 30%

Manto granato con sfumature aranciate, per questo calice dalla dilagante dolcezza che ricorda l’amaretto, con una leggera punta di affumicato, di legna arsa e di fiori secchi. Sprazzi leggeri riportano alla mente la pellicceria, il rabarbaro e il caramello. Una purezza espressiva affascinante che ritorna al palato negli aromi caramellati. Un gusto accomodante, ammiccante e internazionale, che pecca però in sapidità e in tenuta gustativa.

Vendemmia manuale, vinificazione in acciaio e legno grande; malolattica e affinamento in barrique (66% nuove e 34% di secondo passaggio) per 16 mesi.

Crémant-de-Bordeaux brut nature Bourdieu 2018 – Patrick Boudon
sémillon 100%

Traghettiamo verso i vini bianchi con un crémant dalla veste paglierina brillante e un naso piacevolmente tostato, con note lattiginose (di crosta di formaggio di capra) e cedrate nello stesso tempo, che ricordano il kumquat. Sfumature di salvia e di pepe grigio si inseriscono a una seconda olfazione. Trama graduale, progressiva, balsamica e delicata che colpisce per la sensazione croccante, mai aspra, ben supportata da una componente cremosa, soave e avvolgente. È un vino ampio, gustoso, dinamico, carnoso, sapido e quasi grasso che riporta alla mente una seada con miele di macchia mediterranea, e un finale su note ammandorlate di mandorle pelate. La carbonica sottile contribuisce alla pulizia di bocca e all’invito alla beva.

Côtes-de-Bordeaux-Saint-Macaire blanc Jardin d’Hiver 2021 – Château de Bouillerot
sémillon 100%

Una trasparenza quasi impalpabile con accenni verdolini fa da sfondo a profumi che, pur rimanendo nell’ambito dell’erba appena tagliata o della mela verde grattugiata, virano facilmente sulle intensità più spinte dell’anice e del coriandolo. Un naso un po’ brusco, che si muove lentamente e a scossoni. Bocca avvolgente, seppur appena contratta nei volumi, molto secca con una tonalità cruda, austera, che si scioglie in una carezza lattiginosa da yogurt. Salinità lieve ma tenace, per questo calice penalizzato dalla troppa giovinezza.

Côtes-de-Bordeaux-Saint-Macaire blanc Le Palais d’Or 2022 – Château de Bouillerot
sémillon 100%

Qui il giallo paglierino brillante non nasconde i suoi filamenti dorati che ammantano il calice di una grandissima eleganza unita ai profumi di pesca sciroppata, salvia e rosmarino, con punte di anice, di confetto e di fetta biscottata. Moelleux nel suo spessore gustativo, questo vino possiede una trama filigranata di un amaro appena torrefatto, con una salinità importante che lo rende estremamente saporito. Chiusura mentolata e lunghissima persistenza tratteggiano altre caratteristiche di considerevole finezza.

Vendemmia con cernita di sole uve botritizzate in 3/4 passaggi e fermentazione con lieviti biologici neutri.

L’areale, per questi due ultimi calici, è Entre-Deux-Mers (comune di Gironde-sur-Dropt) ed entrambi i vini provengono da vigne di circa 70 anni.

I vini di Bordeaux hanno bisogno di tempo per dare il loro meglio, ma anche del nostro sguardo ampliato: lo abbiamo riscoperto questa sera, mentre con passo curioso ci siamo avventurati negli assaggi di un’altra Gironda dal carattere originale, meno scontata e meno ingessata.