Bordeaux: sinfonia in rosso

Difficile raccontare a parole una serata condotta da Luisito Perazzo. Se poi il tema è il vino di Bordeaux, l’impresa è ancora più ardua. Impossibile essere esaustivi, ma si può però tentare di rievocare l’atmosfera di una sala piena di aspettative.

Alessandra Marras

Storie di vocazione e fortuite opportunità

Duemila anni di storia hanno fatto di Bordeaux la capitale mondiale del vino. Modello di qualità esportato in tutto il mondo, il vino di Bordeaux è legato da sempre alla storia della sua città. Le origini della viticoltura bordolese risalgono all'epoca della conquista romana, quando Crasso, nel 56 a.C., conquistò Burdigala e sottomise i Bituriges Vivisques, il popolo celtico all'origine della città.

I primi riferimenti al vino e alla vite della zona sono attribuibili al maestro di retorica Decimus Magnus Ausonius, Ausonio, cui proprio Burdigala, nel 310 d. C., ha dato i natali. Proprietario di terreni e vigneti in tutto il territorio bordolese, vede tradizionalmente il suo nome legato alle origini di Château Ausone a Saint-Émilion, anche se in realtà non esistono prove certe che le sue proprietà coincidessero effettivamente con l’omonimo Château.

A seguire, cinque secoli di invasioni e vicende travagliate rischiano di segnare la fine del vigneto bordolese, ma la diffusione del cristianesimo - il vino era necessario per la liturgia - e la crescita demografica - che porta al disboscamento di nuove terre – ne assicurano la continuità.

Nel 1152, il matrimonio tra Eleonora, duchessa d'Aquitania, ed Enrico Plantageneto, futuro re d'Inghilterra, segna il destino dei vini di Bordeaux. Nel 1154, con la salita al trono di Inghilterra di Enrico II Plantageneto l’Aquitania passa ufficialmente sotto il dominio inglese. L'importanza della flotta inglese e la facilità di accesso al porto di Bordeaux, attraverso l'estuario della Gironda, favoriscono la spedizione dei vini via mare; nasce così un florido commercio ulteriormente incentivato dalla messa in atto di privilegi fiscali e commerciali che gli abitanti di Bordeaux avevano ottenuto in cambio della loro fedeltà al sovrano.

In tre secoli di storia inglese, Bordeaux stabilisce un monopolio sulla produzione, la vendita, la spedizione e la distribuzione di vini in Gran Bretagna. I vini dell’epoca erano però i cosiddetti Claret, vini leggeri prodotti, il più delle volte, dall’assemblaggio di uve rosse e bianche, estremamente lontani dai grandi rossi bordolesi che oggi identificano e rendono celebre l’areale.

Luisito PerazzoCon la sanguinosa Guerra dei Cent'anni, che vede opporsi proprio Francia e Inghilterra, il florido flusso commerciale subisce una drastica battuta di arresto. 

Bisognerà attendere il XVII secolo per veder sorgere una nuova era di prosperità, questa volta grazie agli olandesi; non particolarmente esigenti dal punto di vista della qualità enologica, ma abili mercanti, grandi acquirenti di vino e, soprattutto, impareggiabili artefici delle grandi opere di bonifica e canalizzazione delle terre della regione che all’epoca erano ancora paludose, tra cui il Médoc. A loro si deve inoltre l’adozione della sterilizzazione delle botti con lo zolfo, un metodo che facilitava la conservazione e il trasporto del vino, primo tassello verso il nascere della leggendaria fama di longevità dei mitici Bordeaux.

Sempre nel XVII secolo, Arnaud de Pontac, proprietario di Haut-Brion, diviene l’innesco di un cambiamento nodale nell’evoluzione della buona sorte bordolese; fine interprete delle tendenze del mercato inglese, intuisce l’importanza di trasformare il vino da anonima merce proveniente dal porto di Bordeaux in un prodotto dal ben definito profilo identitario. L’idea di attribuire un marchio, come prestigioso sigillo del legame con un circoscritto luogo di provenienza, si rivela vincente e consentirà, a lui e a chi di lui seguirà le tracce, di vendere il vino, valorizzato dal brand, a prezzi nettamente più alti.

La notorietà del vino di Bordeaux continua a crescere, anche sull’onda, nell’Ottocento in particolare, di una sorta di voga tra le famiglie altolocate che finisce per associare il possesso di una tenuta vinicola al consolidamento del prestigio della casata stessa. Si realizzano grandi investimenti che, oltre a favorire l’espansione della viticoltura, iniziano a disegnare il peculiare assetto del paesaggio produttivo bordolese. 

Il 1855 segna l'arrivo della classificazione ufficiale dei migliori vini del Médoc. L’intento era quello di promuovere il vino di Bordeaux, informare i consumatori sui migliori vini da acquistare e stabilire una vera e propria scala di prezzi. Dalla sua creazione, la classificazione è stata rivista solo una volta, nel 1973, con il passaggio dello Château Mouton Rothschild dallo status di second cru a quello di premier cru.

Alla fase di grande successo seguono anni difficili. Oidio, fillossera e peronospora falcidiano i vigneti; frodi e calo dei prezzi alimentano la crisi. È in tale contesto che nel 1936, come forma di tutela, nascono l'I.N.A.O. (Institut National des Appellations d'Origine) e le AOC regolate da "decreti di controllo" che specificano precise condizioni di produzione: area geografica, vitigni, resa, grado, metodo di coltivazione e vinificazione. La terribile gelata del 1956, evento catastrofico che causa la distruzione dei vigneti con percentuali che oscillano tra il 25 e il 45%, finisce per trasformarsi in una grande opportunità per ringiovanire, rinnovare e ristrutturare il patrimonio ampelografico della regione. Prende così il via un processo di ascesa progressivo che vedrà il suo culmine negli anni ’80 con la piena esplosione del fenomeno Bordeaux, complice anche il non marginale contributo di un “influencer” d’eccellenza, sorride Luisito, il noto critico enologico Robert Parker che non lesinerà, per i vini di Bordeaux, giudizi di assoluta eccellenza.

L’affacciarsi sul mercato dei vini del nuovo mondo, con prezzi decisamente al ribasso, se paragonati al panorama bordolese, provocherà, dopo un primo momento di sbandamento, lo stimolo giusto per tornare a rivedere il modo di fare vino, alla ricerca di quel giusto compromesso tra l’espressione della propria personalità produttiva e l’andare incontro alle richieste del mercato.

Respiro oceanico

Sviluppatosi attorno all’antica Burdigala, l’areale vitivinicolo bordolese si colloca nella Francia sudoccidentale, in posizione equidistante tra il polo nord e l’equatore. Seppur terra di vino per eccellenza, è dall’acqua che, un po’ ironicamente, trae forma e sostanza; una presenza determinante che sinuosa e precisa ne disegna e delimita i profili. L’oceano Atlantico, guardiano della costa, dal cui respiro dipendono le sorti delle uve, e la Gironde, il grande estuario che, accogliente unione dei due fiumi la Garonne e la Dordogne, in esso si riversa. Assecondando il corso delle acque, prendono forma tre macroaree. La riva sinistra, sul lato sinistro della Gironde e della Garonne, la riva destra, che si espande al di là del lato destro della Gironde e della Dordogne, e infine la parte centrale, Entre-deux-Mers che, come rammenta il nome, è contenuta dall’abbraccio dei due fiumi. Tutto il territorio risente dell’influenza mitigante dell’oceano, ma con sostanziali differenze a seconda dalla prossimità o meno da esso. Tendenzialmente più miti il Médoc e le Graves, favorendo la maturazione più precoce delle uve, hanno visto negli anni la maggiore diffusione di varietà tardive, il cabernet sauvignon in particolare. Più fresche le aree interne, come Saint-Émilion e Pomerol, perfettamente si addicono a varietà più precoci come merlot e cabernet franc. Le differenze non si limitano a questo, a dispetto infatti di un paesaggio piuttosto uniforme, tendenzialmente pianeggiante, con picchi che malapena arrivano ai 100 m s.l.m, il territorio bordolese risulta essere estremamente diversificato per microclimi, terreni e stili produttivi. Un prezioso mosaico di micro-terroir che, in alleanza con le infinite sfumature rese possibili dai vini di assemblaggio, va, nelle espressioni più fedeli, a determinare la incredibile ricchezza e profondità dei mitologici vini di Bordeaux. 

Questione di tempo e conoscenza

Luisito è un fiume in piena, si muove tra quelle vigne come se fosse lì a percorrerle, passo dopo passo, pietra dopo pietra, terra, confini, scorci, esposizioni e lievi dislivelli. Rievoca origini e grandi storie, costumi e usanze, saper fare e grande senso di consapevole appartenenza. Con ammirazione, idealmente percorriamo mappe, luoghi e sentieri cercando di visualizzare le immagini che così nitide vengono narrate e se anche alla fine portassimo a casa solo l’1% del racconto, ci sarebbe già molto di cui essere appagati. 

Ma ecco che, dopo l’accurato e sorprendente peregrinare, arriviamo al vino, a quel fatidico incontro, intimo e corale al tempo stesso, in cui realmente e fisicamente tocchiamo l’agognato mito di cui finora, in trepida e fremente attesa, abbiamo solo ascoltato. Ed è giusto che sia così perché, Bordeaux è per antonomasia il vino dell’attesa. Attesa interpretata come il lungo tempo che è bene far trascorrere perché quello speciale frutto della vite si conceda al meglio, perché meglio si riveli nella sua grandezza; ma attesa anche come il periodo necessario di apprendistato, formazione, strutturazione di una peculiare e matura forma mentis di chi a esso si approccia. La reale comprensione del vino di Bordeaux sfugge alle leggi dell’approccio spontaneo, istintivo, immediato; scopriamo infatti che, anche solo per iniziare a scorgerlo, il tempo, in tutte le sue accezioni possibili, è un’imprescindibile necessità. E forse questo è uno dei motivi principali che da sempre ne alimentano il mito. Il vino di Bordeaux non è facile, non è per tutti, richiede dedizione e disposizione d’animo; va avvicinato, ascoltato, scoperto, interpretato con la pazienza di chi sa che la vera grandezza non esplode, ma lentamente si concede. Ma Bordeaux è anche vino di assemblaggio, la sua eccellenza non fa affidamento sul protagonismo assoluto di un singolo vitigno, la magia nasce dalla molteplicità di opzioni e perché no, dalla promiscuità, dal riconoscere il valore della diversità e renderla tangibile fino a trasformarla in espressione unica coerente di una perfetta simbiosi: luogo, vitigni, individui, storie. Bordeaux è una vertigine in sordina che per essere compresa al meglio necessita profonda conoscenza e mente aperta.

La degustazione

VINO ZERO

Château Monbousquet 2000 – Merlot 60% - Cabernet franc 30% Cabernet sauvignon 10% - AOC Saint-Émilion Grand Cru Classé

Un “gioco”, un primo approccio e non a caso si parla di tempo. Niente indizi, bisogna semplicemente assegnare l’età al vino nel calice. Ancora ricca e profonda la materia colorante. Importante il naso dove il frutto, puro e integro, raccoglie e restituisce la complessità di raffinate note terziarie. Ottima trama tannica e proporzionata freschezza rifiniscono una beva di gradevolissima piacevolezza, potente ed elegante al tempo stesso.

Le ha raccolte tutte le ipotesi di età questo calice segreto, dal giovane virgulto al cavallo di razza che con destrezza attraversa il tempo e ancora bene lo governa.

VINO 1 

Limpido, denso, fitto, compatto rubino, intenso ma contenuto, nel senso che nell’ambito di un contesto bordolese potrebbe esserlo di più. Il frutto è scuro, mora, prugna, mirtillo, speziatura dolce di vaniglia probabilmente da legno. Accattivante gelatina di frutta che con l’ossigeno rivela un accento vegetale. Ingresso di bell’impatto, alcol ben gestito, acidità lineare, ma soprattutto tannino morbido, dosato che non fa pensare al cabernet sauvignon. 

È un vino morbido, avvolgente, setoso, non impegnativo; 2019 va già bene, forse al naso è un po’ chiuso, la bocca più distesa e definita. Il merlot con evidenza si rivela nei ricordi gelatinosi. 

Château D’Aiguilhe 2019 – Merlot 88% - Cabernet franc 12% - AOC Castillon Côte de Bordeaux

VINO 2 

Limpido, rubino che conserva del porpora. Intenso al naso, nota di spezia evidente, fragola in confettura, tabacco, mora, prugna; note di tostatura dolce e cioccolato al latte. Cenni di muschio e pepe. Il richiamo del legno domina senza togliere eleganza. Cioccolato e mirtillo. 

Qui Luisito ricorda che mirtillo, cedro, violetta, cassis, sono quattro marcatori del blend bordolese; a seconda del vitigno prevale uno o l’altro.

La bocca è meno gentile, il tannino è immediato di buona qualità, ma più graffiante. All’unisono alcol e giusta acidità accompagnano a un finale ammandorlato dato forse dal legno.

È un vino dal tannino ancora non maturo, sembra abbia la giovinezza del precedente ma più ambizioso. L’alcol è ben gestito, l’insieme riferisce di un percorso ancora in fase di assestamento. È evidente che deve andare avanti.

Château Fontenil 2018 – Merlot 100% - AOC Fronsac

VINO 3 

Cambia il colore, evoluto, granato che va sull’aranciato ma vivo. Un naso evoluto, complesso, terroso, di accattivante profondità: caffè, in chicchi e polvere, sottobosco, selvaggina, champignon, foglie secche, ma anche un fresco richiamo di foglia di pomodoro che al palato piacevolmente rinfresca. Il sorso sorprende con un tannino penetrante che si combina con un’acidità verticale e deliziosamente agrumata. 

Una bocca definita che torna indietro come stato evolutivo rispetto ai profumi. È un “giovane” vino di 28 anni. Gazin da giovane è difficile da interpretare, ma rispetto ad altri Pomerol è più leggero e verticale. La ‘95 è una grande annata a Pomerol. 

Con questi vini la conoscenza è fondamentale anche al momento del servizio; in questo caso, infatti, la rottura del tappo in apertura e il conseguente passaggio in caraffa, ha messo in evidenza in degustazione un’ossigenazione appena troppo accentuata. La caraffa non era prevista per questo vino, oltre i venti anni bisogna fare attenzione, l’ossigeno è uno strumento potente, va usato con moderazione e non sempre.

Château Gazin 1995 – Merlot 87% - Cabernet sauvignon 8% - Cabernet franc 5% - AOC Pomerol

VINO 4

Limpido, rubino più compatto. Intenso nei profumi, potente, vegetale, minerale, quasi piccante da pepe nero; poi muschio, lavanda, timo, il legno c’è ma meno evidente. Un profilo complesso e articolato, resinoso e floreale, gelatina di mirtillo. La beva è saporita, croccante, sapida. Il tannino dice la sua, partecipa al sorso ma in maniera discreta, non invadente. Molto lunga la persistenza. 

È un vino che realmente va ascoltato per degustarlo, precisa Luisito. Sapido e minerale, cabernet e merlot in felice combinazione narrano il perfetto equilibrio di un’annata da 100/100, la 2009. Il colore che non cede, la performance tattile e gustativa sono le prove perfettamente coerenti e tangibili del grande millesimo. 

Château Gruad-Larose 2009 – Cabernet sauvignon 68% - Merlot 32% - AOC Saint-Julien 2ème Cru Classé

VINO 5

Compatto il colore, più del quarto, un rubino quasi blu. Intenso, scatola di Cohiba e cedro del Libano, mirtillo e mora in gelatina. Ecco la vertigine che si lascia intravvedere, bisognare “girare come non ci fosse un domani”. Cioccolato e la menta, menta, menta per tre volte sottolinea Luisito. Soffio balsamico poi i tocchi dell’iris e della viola. La quint’essenza dell’equilibrio, raffinatezza e aristocrazia. Non lascia scampo la bocca, alcol e tannino ci sono ma non si vedono, fanno la loro parte, collaborano in maniera orchestrale. L’acidità si avverte ma senza superare la misura in esuberanza. Un vino che promette in bocca senza ancora dare tutto. 

A Margaux è difficile trovare meno del 60% di cabernet sauvignon che soprattutto nella struttura si rivela, per la morbidezza il merlot, finezza il franc e, non scontatamente, ma secondo l’indiscutibile parere del produttore, eleganza il carmenere. Il legno nuovo in questi vini serve per stabilizzare la materia potente ed elegante dell’appellazione. 

Château Brane-Cantenac 2016 – Cabernet sauvignon 70% - Merlot 27%- Cabernet franc 2% - Carmenere 1% - AOC Margaux 2ème Cru Classé

VINO 6

Limpido, evoluto il colore granato, sull’aranciato anche un po’ “tegolato”. Il naso si esprime immediatamente su profumi terziari. Caffè, erbe secche, fogliame, oliva nera al forno, si avverte l’evoluzione importante che in qualche modo annulla il vitigno. Scorza di agrume candito. La bocca è meno avanti, la freschezza è ancora verticale, buona la struttura; il finale, appena amaricante, è complessivamente piacevole.

 Château Poujeaux 1990 – Cabernet sauvignon 50% - Merlot 40% - Cabernet franc 5% Petit Verdot 5% - AOC Moulis Cru Borgeois Exceptionnel

VINO 7

Limpido, granato ma meno del precedente. Intenso il naso su toni di terziarizzazione, selvaggina, terra, foglie secche, pot-pourri, caffè. Accenni vegetali, foglia di pomodoro, e ancora toni scuri di grafite, Cynar, con un fresco alito di menta secca, quasi polveroso, balsamico, strano ma invitante. In bocca cambia, quasi sconnessa dal naso, ma la bocca è la verità del vino. Il tannino è maturo, tosto, di bellissima croccantezza, super performante. Il sorso è irrorato da uno splendido profilo mentolato, balsamico. 

È un 1990, come l’altro, entrambi Cru Bourgeois Exceptionnel, ma zone diverse. Questo parte più a nord dell’Haut Médoc, vicino Saint-Estèphe.

Château Sociando-Mallet 1990 – Cabernet sauvignon 55% - Merlot 40% Cabernet franc 5% - AOC Haut-Médoc Cru Bourgeois Exceptionnel

VINO 8

Limpido, colore rosso rubino compatto. Naso diverso, speziato, profilo scuro, frutto scuro, prugna e mora; sentori polverosi, fogliame e terriccio, deve prendere aria. Resinoso, torrefatto, fumoso, dal carattere introverso che fa fatica a concedersi sebbene sia passato per la caraffa. In bocca il tannino è ruvido ma non sgradevole. Non è della precisione che fa vanto, è un cru bourgeois che, come stile, vuole essere così, potente, volontariamente non orientato verso rarefatta raffinatezza. 

Non bisogna dimenticare che questo vino ha solo otto anni. Il paragone deve divenire una prassi imprescindibile, la via per sondare il prima e il dopo, per tentare di comprendere dove un prima, di giusta fattura, può ambire nel dopo. Siamo a Bordeaux, otto anni sono solo un indizio.

Château Phélan-Segur 2015 – Cabernet sauvignon 53% - Merlot 47% - AOC Saint-Estèphe Cru Bourgeois Exceptionnel

VINO 9

Rubino compatto con riflessi granato. Che bouquet! Frutto rosso classico, liquirizia, carruba, menta secca, vegetale; un profilo che in un attimo palesa poliedrica complessità. È un vino di sole dai cui respiri deflagra la garrigue. La bocca è strepitosa, materica, carnosa, polposa, golosa, saporita, che non lascia spazio a interpretazioni. Giovane per forza! Favolosa la persistenza. 

Incredibile che sia del 1998, mai poi mai si intuisce l’annata, è un vino pronto che può durare ancora dieci anni.

Château Troplong Mondot 1998 – Merlot 90% - cabernet sauvignon 5% - Cabernet franc 5% - AOC Saint-Émilion Grand Cru Classé

VINO 10

Mattonato, aranciato, ma l’aspetto che subito attira l’attenzione è una lieve opacità. Il profilo olfattivo rivela un’evoluzione piuttosto spinta, selvaggina, funghi secchi, terra bagnata, torba da cui emergono sentori ferrosi, china Bisleri. E poi ancora, corteccia, radice, tamarindo ma soprattutto pu-ehr, tè nero fermentato. La bocca non manca di freschezza, il tannino, appena graffiante e lievemente ossidato si declina su note ammandorlate. 

È un vino esperenziale, peccato che il gusto, quasi smaltato, si congedi amaricante fino ad intaccarne in parte la piacevolezza. 1982, grandissimo vigneto. 

Château Chasse-Spleen 1982 – Cabernet sauvignon 73% - Merlot 20% - Petit Verdot 7% - AOC Moulis Cru Borgeois Exceptionnel

VINO 11 

Rosso rubino pieno. Intenso, fruttato, pepato, speziato, torrefatto scuro; evidente la grafite, con soffi di resina e pepe nero. Naso già espressivo ma che ossigenato darà il meglio. Menta e cioccolato, e ancora cedro e cassis a disegnare un profilo meravigliosamente complesso. Al sorso rivela struttura, potenza, forza, energia, materia; il tannino si staglia preciso, ricamato all’uncinetto. Sapido e saporito dall’acidità prende nerbo. Persistente senza essere sfacciato. Già di eccelsa precisione, narra di un naso in divenire e una bocca da applauso.

Château Pape-Clement 2015 – Cabernet sauvignon 56% - Merlot 40% - Cabernet franc 4% - AOC Pessac-Léognan Grand Cru Classé

VINO 12

Blu notte, rubino molto intenso. Speziatissimo, chiodi di garofano, mirtillo, mora, prugna gelatina; balsamico, floreale, vegetale sentori di resina, tostatura, cioccolato. Un bouquet molto articolato, un po’più evoluto del precedente. La freschezza è vivida da “vicks vaporub”. La matrice di sottobosco si estende e declina sulla radice di liquirizia e accenni affumicati. Incisivo e poderoso il profilo tannico; maturo e definito, si distingue per grande estrazione.

Château Pontet Canet 2010 – Cabernet sauvignon 65% - Merlot 30% - Cabernet franc 2,5% - Petit Verdot 2,5% - AOC Pauillac 5ème Grand Cru Classé

Non è finita qui, il meglio deve ancora venire

Una serata indimenticabile, un inizio che stordisce e stravolge. Rimangono lo stupore per aver percorso un cammino speciale trascinati da una guida di eccezione, la consapevolezza di essere dei paghi e privilegiati viandanti, la voglia di continuare il tragitto intrapreso. Torna l’attesa, il tema ricorrente, la chiave di lettura essenziale, il battito più autentico della serata, che ora più che mai rivela nitida il suo valore. Chissà forse ora siamo pronti per alzare l’asticella, assaporare nuove e più profonde complessità. Ci vediamo a novembre, con Luisito, Bordeaux e altri liquidi racconti da ascoltare.