Borgogna: sapersi orientare in una terra leggendaria
La voce narrante è quella di un relatore d’eccezione, Samuel Cogliati Gorlier. La location è la sede di AIS Brescia. Prende il via il master in sei incontri dedicati al territorio vinicolo probabilmente più famoso del mondo.
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Non è facile trovare un modo per descrivere in sei appuntamenti una regione complessa ed eterogenea come la Borgogna. Per questo la via tracciata da questo Master non può che essere quella della divisione geografica: ogni incontro verrà dedicato ad una macroarea e ai suoi vini più rappresentativi, con approccio storico, geologico ed ampelografico. È d’obbligo, però, inquadrare la regione nel suo insieme, prima di passare a sviscerarla nei minimi dettagli.
La “Grande Borgogna”, appellativo in cui il termine “grande” non è niente di più che un riferimento alla dimensione della regione, si estende in direzione nord-sud per un totale di ben 30.815 ettari vitati, nei quali trovano lavoro la bellezza di 45.200 persone. Solo un paio di numeri questi, ma che rendono bene l’idea di che cosa rappresenti la viticoltura in questa regione, profondamente radicata in una storia locale che inizia quasi due millenni fa, con l’arrivo dei romani. Dopo la caduta dell’Impero Romano, però, sono gli ordini ecclesiastici a raccogliere il testimone della viticoltura in Borgogna, fondando le abbazie di Cluny e Cîteaux, i cui monaci sono stati fondamentali nel regalare una soluzione di continuità alla viticoltura di qualità in Borgogna. Lentamente, nel corso dei secoli, la custodia dei segreti vitivinicoli locali passa dai monaci alla nobiltà, fino ad arrivare, nel 1395 all’editto di Filippo l’Ardito, il quale bandisce dai suoi territori il gamay, con l’intento di conservare il solo pinot nero come vitigno principe per la vinificazione. Nel 1676, data di straordinaria importanza, si parla per la prima volta di “vin de climat”: climat è un termine che identifica un’area produttiva al netto dell’intervento umano, dunque un riconoscimento di qualità dipendente solo ed esclusivamente dal contesto naturale composto da sottosuolo e clima. Il grande successo dei vini di Borgogna viene, anche se in modo un po’ originale, certificato anche dall’ordinanza di Fagon, medico di Luigi XIV, il quale prescrive al sovrano di curarsi bevendo solo vini di Borgogna. Con la rivoluzione francese, nel 1789, le cose cambiano ulteriormente. I bene di proprietà della Chiesa vengono confiscati a favore della borghesia e cominciano a nascere la prima classificazioni, in primis quello che conosciamo come plan statistique, stilato tra il 1860 e il 1861. Le prime vere denominazioni arrivano settant’anni più tardi, nel 1936 e sono quindici, impossibile non citarle: Chambolle-Musigny, Gevrey-Chambertin, Nuits-Saint-Georges, Vosne-Romanée, La Romanée, La Tâche, Musigny, Richebourg, Romanée-Conti, Romanée-Saint-Vivant, Beaune, Pommard, Mercurey, Montagny, Pouilly-Fuissé.
L’immaginario comune associa la Borgogna alla produzione di grandi vini rossi, eppure i numeri sono lì a raccontare una storia diversa. Ad oggi, infatti, le produzioni maggioritarie sono quelle che riguardano i vini bianchi ottenuti da chardonnay e aligoté che insieme occupano il 55% dei terreni coltivati. Se ai vini bianchi aggiungiamo gli spumanti, la percentuale di vini rossi (ottenuti principalmente da pinot nero, che occupa il 40% della superficie vitata) non riesce a raggiungere il 33%, poco meno di un terzo del totale.
Chardonnay e pinot nero, dunque, fanno la parte del leone nel panorama ampelografico locale e non a caso. Sono diverse le caratteristiche che accomunano i due vitigni: entrambi maturano precocemente, temono il caldo, prediligono terreni calcareo-argillosi e hanno avuto una crescita, in termini di superficie coltivata in Francia, di ben oltre il 400% negli ultimi sessant’anni. Eppure, per quanti siano i punti di contatto tra questi due vitigni, le differenze ci sono e sono più rilevanti di quanto non siano le analogie. La prima e la più marcata è la produttività. Lo chardonnay riesce a dare risultati eccellenti sia in termini qualitativi che quantitativi, a differenza del pinot nero che di certo non ha nella costanza qualitativa né nell’abbondanza di grappoli le sue migliori doti. La seconda è la straordinaria adattabilità dello chardonnay a diversi suoli e climi, caratteristica che notoriamente il pinot nero non ha e che ne mette a rischio il futuro. La Borgogna non è esente dalle conseguenze del riscaldamento climatico e la sopravvivenza di un vitigno così esigente non è affatto garantita.
La Grande Borgogna è conosciuta anche come la terra dalle cento denominazioni. La realtà è che le appellations d’origin contrôlée sono soltanto (si fa per dire) 84 all’interno delle quali si definiscono 74 dénomination géographique complémentaire e 662 Prémier Cru. È estremamente interessante notare come, a fronte di una spasmodica ricerca sul mercato di vini provenienti dai Gran Cru borgognoni (che sono solo 33), essi rappresentino solamente l’1% sul totale della produzione. Il restante 99% si divide pressoché a metà, tra denominazioni d’origine regionali e villages o premier cru.
Ma arriviamo al dunque: quali sono le aree geografiche che compongono la Borgogna? Nella zona più settentrionale, che in termini di latitudine è parallela alle zone meridionali della Champagne, si trovano Chablis, Grand Auxerrois e Châtillonais (facenti parte del dipartimento dello Yonne, prefisso 89). Nel cuore della Borgogna trovano spazio la Côte de Nuits e la Côte de Beaune, che insieme formano il dipartimento della Côte d’Or, prefisso 21. Scendendo sempre più verso sud si incontrano prima la Côte Chalonnaise ed infine il Mâconnais, entrambi compresi nel dipartimento di Saône-et-Loire, prefisso 71.
Ma perché specificare i prefissi? Perché talvolta, con vini che rientrano nelle denominazioni regionali, può essere complesso identificarne la provenienza. Il prefisso del codice postale nell’indirizzo del Domaine può essere un indizio di grande importanza per capire l’areale da cui proviene una singola bottiglia.
La degustazione
Coteaux-Bourguignons rouge Sextant 2021 - Julien Altaber
gamay 65%, pinot noir 35%
Vino di media concentrazione cromatica, leggermente opalescente (probabilmente non filtrato), sulle tonalità del granato. Naso scuro, con impatto olfattivo sui toni delle spezie, ma presto si fanno largo sensazioni smaltate, eteree su uno sfondo molto ferroso. Il frutto è in secondo piano, insieme ad un ricordo di fois gras. Il sorso si distacca molto dal bouquet olfattivo, regala più luce ed energia, spostandosi su aromi di arancia sanguinella con un’acidità vibrante. Succoso nel centro bocca, leggermente metallico sul finale, ma nel complesso di grande masticabilità. Per quantità di materia e freschezza, fa pensare a potenzialità evolutive pressoché infinite.
Savigny-lès-Beaune “Vielle Vignes” Maréchal 2018 – Catherine e Claude Maréchal
pinot noir 100%
Colore rubino con riflessi violacei, vivo, sbarazzino. Il protagonista del ventaglio olfattivo è il frutto rosso turgido, il lampone, la fragolina di bosco. In secondo piano, ma non in maniera timida, note vegetali e leggermente polverose. Pochi minuti nel calice e comincia ad estrarre ricordi di cioccolato bianco e di polvere di cacao. Il sorso è confortevole, quasi morbido, con un tannino che lascia traccia di sé in maniera elegante e una freschezza meno marcata rispetto al primo campione. Nel complesso, un vino che fa della semplicità la sua miglior dote.
Bourgogne-Épineuil Château de Béru 2020 – Athénaïs de Béru
pinot noir 100%
Difficile da definire dal punto di vista cromatico. La tonalità è un curioso granato molto profondo con riflessi che riconducono al terra di Siena. All’olfatto risulta nel complesso amaro, con forti note di rabarbaro, di chinotto, tendente alla spezia orientale con qualche ricordo di cannella. Bocca con attacco al cioccolato fondente che lascia poi spazio a sentori balsamici che accompagnano fino alla fine un sorso sapido e dalla lunga persistenza aromatica.
Crémant de Bourgogne extra brut blanc des blancs “Charme” Domaine des Terres Dorées – Jean-Paul Brun
chardonnay 100%
Brillante, nella sua veste gialla paglierina estremamente vivace. Naso di estrema pulizia che risulta burroso, con netti sentori di lievito fresco e di pasta in lievitazione. Le note floreali di camomilla e tiglio e un minerale di talco fanno da apripista per un finale iodato. L’assaggio è giocoso, piacevole, scorrevole senza essere banale. Nel cuore del palato si percepiscono nettamente la freschezza citrina e la bolla finissima, che rendono questo vino estremamente beverino.
Saint-Bris “Exogyra Virgula” Goisot 2022 – Jean-Hugus, Guilhem e Marie Goisot
sauvignon blanc e sauvignon gris
Il giallo paglierino con cui si presenta nel calice è molto luminoso, decisamente invitante. L’attacco olfattivo è spiazzante, su ricordi di gommalacca, che lentamente scompaiono per lasciare via libera alla pesca gialla e alle erbe mediterranee. La bocca rivela una texture molto fitta, il sorso risulta grasso, quasi oleoso, con una freschezza poco più che moderata, ma in questo caso è il grip sapido che è in grado di prendere sottobraccio tutti gli aromi ed accompagnarli verso una persistenza molto importante.
Vin de France “Melon” la Sœur Cadette 2022 – Valentin, Catherine e Jean Montanet
melon de Bourgogne 100%
L’abito è di quelli della festa, dorato pieno, di bellissima lucentezza. Naso ingannevole, più da chardonnay che da melon de Bourgogne. Infatti, è la crema pasticcera a tirare le fila di un ventaglio olfattivo che passa anche attraverso sentori di banana e frutta esotica, prima di adagiarsi su un finale burroso, lattiginoso. Quest’ultimo ritorna prepotentemente al palato insieme ad una bella trama fresca che fa da appoggio per la maturità del frutto e rende il sorso allo stesso tempo complesso e disimpegnato.
I ringraziamenti sono dovuti ad AIS Brescia e a tutta la sua squadra di lavoro, per la consueta lungimiranza e tenacia nell’organizzare eventi per nulla semplici come questo Master dedicato alla Borgogna, un’occasione imperdibile per conoscere più da vicino vini e luoghi pieni di fascino e blasone.