Ca’ del Bosco: l’altro lato della Franciacorta

Il 24 marzo 2023, circa 80 soci hanno potuto godere del risultato della joint venture tra AIS Brescia e Ca’ del Bosco, in una serata divisa tra la visita della cantina e un’irripetibile degustazione composta da tre mini-verticali di Chardonnay, Pinéro e Maurizio Zanella.

Giovanni Sabaini

Per raccontare l’emozione che questa serata ha saputo regalare a tutti i fortunati presenti, bisogna partire dalla fine, dalla standing ovation tributata a Maurizio Zanella. Un infinito ed appassionato applauso, così come sono infinite la competenza e la gentilezza che quest’uomo ha messo a disposizione di tutti in una serata che certamente ricorderemo a lungo.

Ora però proviamo a mettere in fila le emozioni. Il solo arrivare di fronte al cancello di Arnaldo Pomodoro, un tributo al sole, i cui raggi sono energia per la vite, mette già un piccolo brivido, che continua lungo il viale d’ingresso segnalato con meravigliose fiaccole, come a dare un tocco di magia in più ad un’atmosfera già suggestiva.

Francesca, Gloria e Ilaria ci accolgono con cordialità, a conferma del fatto che, in fondo, siamo tra amici. La nuova reception dell’azienda mette in bella mostra tutte le etichette prodotte insieme a quello che da molti anni è una chicca che solo Ca’ del Bosco può vantare: un plastico dell’intera Franciacorta, che dà la possibilità all’avventore di vedere le posizioni esatte dei vigneti aziendali con l’ausilio di alcuni pulsanti.

Da qui parte il tour che porta nel parco interno, dove è ancora più evidente il legame della cantina con l’arte (se il cancello di Pomodoro non fosse stato un indizio già piuttosto esaustivo). In pochi minuti di passeggiata si può godere di Eroi di Luce, scultura in marmo di Igor Mitoraj che racconta dell’importanza di ciò che è invisibile agli occhi, e, all’ingresso dell’area dedicata alla produzione, di Egg Concept, un uovo creato con gusci d’uovo da Spirito Costa, inno alla fragilità dell’essere umano.

Un rapido passaggio nell’area di lavaggio delle uve (tecnica produttiva quasi esclusiva di Ca’ del Bosco) conduce nel locale dedito alla conservazione dei tini d’acciaio, nel quale campeggia un rinoceronte a grandezza naturale appeso in aria. L’opera si intitola “Il peso del tempo sospeso”, e chi più di un produttore di Metodo Classico conosce il peso del tempo?

Un’ultima tappa, prima di scendere nella barricaia storica, è quella di fronte al “Tremila”, il tino d’acciaio da, appunto, tremila ettolitri, nel quale si assembla il vino più iconico dell’azienda, la Cuvée Prestige. A fare da contorno al “Tremila”, un’altra opera a dir poco maestosa, “Water in dripping” di Zheng Lu, costituita da ideogrammi di una poesia cinese che narra del legame tra la natura e i suoi movimenti.

Dicevamo, della barricaia storica…luci soffuse, sistemi di umidificazione dell’ambiente per consentire alle barriques di lavorare sempre nelle migliori condizioni, e, anche qui, il tocco d’arte che sembra sempre dare quello che manca perché l’esperienza sia completa. A dividere la barricaia dei vini bianchi da quella dei vini rossi troviamo il “Testimone”, un imponente busto in pietra di un uomo e di un lupo, a custodia di quello che è letteralmente un tesoro liquido.

Se, però, oggi Ca’ del Bosco può dire di essere una delle principali realtà vitivinicole italiane, il merito è tutto di chi ha creduto in questo progetto fin dall’inizio e l’azienda non manca di ricordarlo a chiunque vi metta piede, anche solo per una degustazione. André Dubois, arrivato nel 1979 dalla ben più blasonata Moet&Chandon e fautore della prima versione di Franciacorta Pinot Millesimato. Antonio Gandossi, fattore dell’azienda fino al 2011 che ha piantato i primi vigneti nel 1968. E infine Annamaria Clementi Zanella, madre di Maurizio, che nel 1964 acquista ad Erbusco una casa in collina chiamata Ca’ del Bosc perché immersa in due ettari di querce e castagni. Ed è ancora grazie ad una forma d’arte (tre bellissimi ritratti a carboncino appesi a muro poco prima della fine del tour), che se ne mantiene vivo il ricordo.

Si conclude così la visita in cantina, ma il ricco programma della serata prevede ancora la degustazione di nove vini, divisi in 3 verticali. Sarebbe normale pensare che i vini in degustazione siano spumanti, ma quella di cui state leggendo non è una serata normale ed è per questo che Alessandro Caccia, delegato di AIS Brescia, e Maurizio Zanella, il già citato patron di Ca’ del Bosco, hanno scelto tre etichette fuori dalla denominazione Franciacorta DOCG: parliamo dello Chardonnay, in purezza nella sua versione ferma, del Pinero, pinot nero in purezza vinificato in rosso, e del Maurizio Zanella, riconosciuto già da anni come uno dei migliori tagli bordolesi italiani.

Maurizio Zanella

Come se la visita della cantina non fosse stata già sufficientemente ricca di stimoli, l’introduzione alla degustazione è stata tenuta da Maurizio Zanella stesso: «Se si parla di vino di qualità non si può non parlare del territorio. La Franciacorta è composta da tre aree ben distinte, tutte originate da diversi periodi di glaciazione e che ci hanno lasciato in eredità terreni diversi. È in queste aree che bisogna coltivare per arrivare ad un prodotto degno di nota ed è qui che Ca’ del Bosco ha tutti i suoi vigneti. Per far fronte al riscaldamento globale cerchiamo vigne in altura, ma anche il ritorno dell’erbamat è un’idea straordinaria, seppur al momento solo dal punto di vista di un progetto che il Consorzio Franciacorta sta seguendo con l’Università di Montpellier. Quello che manca oggi e che farebbe bene a molte aree italiane è la passione di ogni paese nel voler fare sempre meglio del paese vicino. Questo tipo di sana competizione è propria di quei territori che hanno secoli di tradizione, come la Francia, ma in zone come la Franciacorta, dove la viticoltura di qualità ha circa 60 anni, ancora non si è sviluppata, nonostante i grandi passi avanti fatti negli anni. Per guardare con ottimismo al futuro bisogna ridare dignità al lavoro del contadino formando le nuove generazioni in modo che si appassionino alla viticoltura».

Aneddoto curioso è quello che Maurizio Zanella racconta su come lo chardonnay è arrivato in Franciacorta: “Nell’82 tentammo di acquistare del pinot bianco da uno dei più grandi rivenditori di barbatelle in Italia. Ai tempi, però, non c’era l’abitudine di verificare cosa c’era sopra al portainnesto, quanto piuttosto quello di accertarsi della qualità dell’apparato radicale. Così abbiamo dovuto accorgerci da soli che, in realtà, ci era stato venduto un misto di piante differenti, tra cui anche lo chardonnay. La diffusione dello chardonnay in Franciacorta nasce dunque da un caso totalmente fortuito (e da allora compriamo le piante in Francia!).”

La degustazione

Batteria 1 – Curtefranca Bianco DOC Chardonnay
2018 – 2015 – 2011

Straordinario come all’esame visivo, nonostante ben sette anni di differenza tra il primo e l’ultimo vino, la lucentezza cromatica rimanga intatta, insieme ad una tonalità che non evolve particolarmente se non per una quantità di materia colorante leggermente maggiore nel 2015, annata più calda rispetto alle altre due. La pulizia delle uve di cui si è parlato in precedenza si riflette nella pulizia dei profumi, più fini nella 2018, più intensi nella 2015, più ricchi nella 2011, ma sempre giocati sulla frutta a polpa gialla croccante, la nocciola e le erbe aromatiche che evolvono verso il balsamico. In bocca la sorpresa è l’omogeneità delle tre annate che riescono ad essere contemporaneamente potenti ed eleganti, con un corpo pieno e uno pseudocalore che certo non si nasconde, ma che allo stesso tempo conservano un’incredibile piacevolezza di beva. Lascia senza parole la longevità che dimostra questo vino.

Batteria 2 – Sebino Rosso Pinot Nero IGT Pinéro
2018 – 2015 – 2011

A differenza dello chardonnay che manteneva una certa costanza cromatica nelle tre annate, il Pinéro parte da una 2018 di un bel rubino acceso ed evolve verso una tonalità più granata man mano che ci si allontana nel tempo, pur mantenendo una bella luminosità. Il naso della 2018 racconta di piccoli frutti rossi, note di rosa, tè nero e rabarbaro, ma senza esplosioni, tutto molto fine, raffinato. In bocca esce la parte agrumata che non si era notata al naso, forse grazie alla bella acidità che accompagna il sorso e lo rende di straordinaria piacevolezza. La 2015 si scosta dalla 2018 per la parte olfattiva che vira verso note speziate più scure, note terrose e di erbe da sottobosco. In bocca è più caldo, corposo, rispecchia un’annata che di nuovo trova nel calice l’andamento climatico delle sue stagioni. La 2011 regala uno spettro olfattivo non dissimile da quello della 2015, ma con un ulteriore spinta verso la complessità grazie all’evidenza della parte agrumata che in precedenza era riscontrabile al sorso. Trait d’union di tutti i sorsi il tannino gentile, perfettamente integrato nella struttura del vino.

Batteria 3 – Sebino Rosso IGT Maurizio Zanella
2019 – 2009 – 2007

Da buon taglio bordolese qual è il Maurizio Zanella, la materia colorante è ben presente nel calice, ma vira verso note granate con riflessi aranciati per le annate 2009 e 2007, mentre si mantiene sul rubino nella 2019. Il naso di quest’ultimo regala già una buona complessità, tutta sulle note di frutta scura come l’amarena, la prugna e una nota aspra di melograno e ribes, con la classica parte verde che ci si aspetta da un vino che ha prevalenza di cabernet sauvignon. In bocca è certamente giovane, ma già piacevole, senza eccessi né difetti in tutte le sue componenti, in special modo un tannino che in giovane età rischia di essere irruento, ma che qui è ottimamente gestito. Un salto nel tempo di dieci anni ci porta poi alla 2009 che si presenta con un bouquet incentrato più sulle note evolutive di corteccia, liquirizia, tabacco, pur conservando l’identità fruttata ben evidente nella 2019. In bocca è una coccola setosa. Stupefacente equilibrio, con un tannino levigato dal tempo che passeggia per il cavo orale a braccetto con un’acidità ancora ben presente. Concetto di equilibrio perfetto che ritroviamo anche nella 2007, con l’aggiunta al naso di note di frutta a guscio e di quella nota vegetale da peperone tipica del cabernet sauvignon, molto meno evidente nei primi due campioni.

Molto ancora andrebbe detto su una realtà come Ca’ del Bosco e su un personaggio straordinario come Maurizio Zanella, sul sempre eccellente Artur Vaso in veste di degustatore, su AIS Brescia e la sua squadra che non mancano mai di regalarci serate perfette sotto ogni punto di vista. Forse, però, gli scoscianti applausi sono stati più che eloquenti e dopo questo turbinio di emozioni, l’unica cosa giusta da dire è: grazie.