Cinema, vino, cibo. Incontri tematici e sensoriali. Seconda parte
In questa seconda serata dedicata all’incontro sensoriale tra il grande schermo e il vino, Massimo Zanichelli ha accostato ai chiaroscuri di alcuni capolavori in bianco e nero le variazioni cromatiche di ben otto vini nati da uve a bacca chiara. Un momento suggestivo di contrasti e di contraltari.
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Chiaroscuri e contrasti
Se agli albori della produzione cinematografica il bianco e nero fu una scelta obbligata (non esistendo ancora la pellicola a colori), con il passare degli anni diventò una scelta artistica. Ecco dunque che Massimo Zanichelli ci illustra il ruolo dell’ombra nella storia del cinema e delle valenze ad essa attribuite. In principio mero strumento per riprodurre il senso della luce e della profondità, l’ombra acquistò via via un significato sempre più allegorico. Ragione per cui è diventata la base feconda a partire dalla quale molti registi hanno costruito (e tuttora costruiscono) la propria opera, complice il talento dei direttori della fotografia che la modellano. Ad esempio, Il bacio della pantera(1942), film di Jacques Tourneur a mezza strada tra il thriller e l’horror, ricorda quanto l’ombra possa essere un attante malefico: il direttore della fotografia Nicholas Musuraca, per terrorizzare il pubblico, ricorre a suggestioni di orrori nascosti. Un gioco di assenze/presenze particolarmente evidente nella celeberrima scena della piscina: rimane impressa nella memoria la protagonista Irena che, immersa nell’acqua, si avvede delle movenze di una pantera sebbene essa non sia visibile.
Altro film molto caratterizzato da un uso allegorico dell’ombra è La morte corre sul fiume(1955) diretto da Charles Laughton. La fotografia di Stanley Cortez evidenzia i contenuti oscuri della coscienza umana tramite l’analogia tra ombra e male e consente di percepire per converso la contrapposizione amore e odio: termini, questi ultimi, tatuati sulle dita del predicatore evangelico Harry Powell (interpretato da Robert Mitchum).
Mentre i nostri (valentissimi) sommelier ci servono i primi vini, sovvengono alla mente le parole di Giordano Bruno: «l’ombra prepara lo sguardo alla luce». È così che la luminosità di tre Malvasie di Candia aromatiche dell’azienda Il Poggiarello ci riporta al mondo in technicolor. A introdurle è Paolo Perini, enologo dell’azienda. «Le quattro valli piacentine», ci racconta, «danno il nome a un brand che dal 1882 s’impegna nella valorizzazione degli autoctoni della provincia: si tratta del gruppo Quattro Valli - per l’appunto - delle famiglie Ferrari e Perini». Fra le diverse tenute del gruppo figura Il Poggiarello. Ubicata in Val Trebbia (definita da Ernest Hemingway «la valle più bella del mondo»), consta oggi di 20 ettari di vigneti condotti con rigorosa attenzione per la salvaguardia dell’ambiente e del territorio.
Emilia IGT Malvasia Malvagia 2020 – Il Poggiarello
(100% malvasia di Candia aromatica)
Manto luminoso per una silhouette in continuo movimento: i profumi di biancospino coinvolgono il primo piano, mentre in orizzonte si delineano nitidamente note di polvere di gesso e di erbe aromatiche. L’attacco di bocca è definito, lo sviluppo inappuntabile, il gusto avvincente. Un vino di luce che invita al riassaggio senza pentimento.
Emilia IGT Malvasia Perticato Beatrice Quadri 2018 – Il Poggiarello
(100% malvasia di Candia aromatica)
Giallo paglierino scintillante. Frutta gialla ed erbe aromatiche marcano l’olfatto; solo successivamente si fa strada una delicata scia minerale. Al palato colpisce per la dinamicità del sorso: al primo assaggio si allarga; poi subentra una freschezza che trascina a lungo lo sviluppo gustativo e traina con sé tutti gli aromi olfattivi. Un vino «irradiante», come lo definisce Massimo Zanichelli.
Emilia IGT Malvasia Perticato Beatrice Quadri 2015 – Il Poggiarello
(100% malvasia di Candia aromatica)
Tra la paglia e l’oro, si muove più denso del precedente nel calice. Giungono in primis le erbe aromatiche; poi i profumi s’immillano: i fiori bianchi, il cedro, i toni balsamici e alcune note dovute all’evoluzione. Il gusto è segnato da un vigore prorompente, con la salinità che si unisce al corpo e lo accompagna per tutto l’assaggio. Come ricorda Massimo Zanichelli: «non bisogna correre contro il tempo; bisogna assecondarlo».
Prima della degustazione dei successivi due vini, visioniamo alcune scene di altri due film. I gangsters (1946) di Robert Siodmak (magistrale l’uso del controluce e della penombra da parte del direttore della fotografia Elwood Breddel) e La strada scarlatta (1945) di Fritz Lang (in cui il lato oscuro dell’essere umano viene enfatizzato dalle ombre create da Milton R. Krasner che, a mano a mano, occupano sempre di più gli spazi di luce).
Chambave Muscat Valle d’Aosta DOC 2018 - La Vrille
(100% muscat petit grain)
Impronta cromatica paglierina di invidiabile cristallinità. «La materia odorosa si libra nell’aria e nel nostro cervello», preannuncia Massimo. Ha profumi montani di fiori alpini, fusi a nuance agrumate di scorza di arancia, di muschio e di zenzero. La bocca, splendidamente fresca, dinamica e coerente, si spegne lentamente, con lunga chiusa ammandorlata. Pura quintessenza del varietale.
Alto Adige DOC Gewürztraminer Kastelaz 2016 - Elena Walch
(100% gewürztraminer)
Un lume dal grande nitore olfattivo. Sentori di erbe di montagna e pepe bianco s’inseriscono su delicate note di lime, papaya e accenni petrosi che rammentano l’ardesia bagnata. Al sorso, l’equilibrio gustativo è pregevole: rimane teso, sapido e fresco. Chiude cangiante, sfumando su sensazioni fruttate e minerali.
Ebbrezze ed eccessi
Il cinema induce anche a riflettere sulla questione delle tossicodipendenze e, nella fattispecie, quella dell’abuso di alcolici, intesa come malattia sia individuale sia sociale. Massimo Zanichelli lo rammenta tramite due estratti da film paradigmatici in materia. Ambedue illustrano uomini tormentati che cedono all’alcol per cercare di avvertire, per un attimo, la luce. Ambedue illustrano il baratro al quale conduce la bottiglia e le angosce che procura. E anche in questo caso, l’ombra simboleggia il dominio dell’oscurità e della labilità umana.
Giorni perduti (1945) è un film di Billy Wilder con la fotografia di John Seits, tratto dall’omonimo romanzo di Charles R. Jackson. Fu la prima opera hollywoodiana a cimentarsi nel delicato tema dell’alcolismo. Personaggio centrale della trama è Don Birnam (straziante l’interpretazione di Ray Milland), un romanziere fallito: inidoneo a fronteggiare le difficoltà della propria vita, si rifugia nell’alcol fino a diventarne del tutto dipendente. Una pellicola in cui l’asprezza della condizione umana viene solo in parte lenita da un consolante lieto fine in cui Birnam si salva grazie all’amore della fidanzata, Helen St. James (interpretata da Jane Wyman).
Lieto non è, invece, l’epilogo de I giorni del vino e delle rose (1962), un film di Blake Edwards con la fotografia di Philip H. Lathrop, il cui titolo riprende una poesia di Ernest Dowson in Vitae summa brevis: «They are not long, the days of wine and roses». Dopo esser convolati a nozze, Joe Clay (interpretato da Jack Lemmon) e la moglie Kirsten (Lee Remick) diventano entrambi alcolizzati e, nonostante i molti tentativi per uscirne, il comune ricorso alla bottiglia non cessa.
Cadere e risorgere
Emanciparsi dalle proprie debolezze e tornare a respirare fa parte, tuttavia, del dominio del possibile. E Massimo Zanichelli torna allora al cromatismo con le pellicole colorate di due western diretti dall’immenso Howard Hawks: Un dollaro d’onore (1959) e una sorta di remake di quest’ultimo, El Dorado (1966). Due film accomunati da personaggi indeboliti dall’alcol e che però guadagnano una dignità attraverso la lealtà e il senso dell’onore. Con intento sinestetico, ad accompagnare il loro risorgimento, tre vini di respiro, tre vini nati - volutamente - dal contatto con l’ossigeno: un vin jaune, un vino perpetuo e un Madeira.
Château Chalon AOP En Beaumont 2012 – Domaine Frédéric Lambert
(100% savagnin)
Questa appelation è la quintessenza del vin jaune (letteralmente «vino giallo» per la forte connotazione cromatica), tipologia prodotta da uve savagnin nel dipartimento del Giura in Francia. Secondo quanto previsto dal disciplinare, il liquido deve rimanere almeno sei anni e tre mesi in botti parzialmente riempite. Sulla sua superficie a contatto con l’aria, si forma quindi un velo di lieviti che lo protegge dall’ossidazione (non a caso lo si dice sous voile, ossia sotto velo). L’En Beaumont 2012 si veste di oro zecchino luminoso. Nel paesaggio aromatico, vi è tutto un fiorire di suggestioni marine che si mescolano a note «iridescenti» di mandorla e all’empireumatico della torba. Lo sviluppo è a dir poco permeante, al contempo alcolico e slanciato, in grado di coniugare carattere e finezza. Mirabile il rilievo salino del finale. Purezza assoluta. Ed è difficile aggiungere altro.
Vecchio Samperi vino perpetuo – Marco de Bartoli
(100% grillo)
Da sempre prodotto nell’omonima contrada dell’entroterra marsalese, il perpetuumdeve il suo nome al particolare modo in cui viene prodotto: dopo un lungo periodo d’invecchiamento in botti di legno, parte del liquido viene prelevato per essere subito sostituito con del vino giovane miscelando così le annate; un’operazione, questa, che si ripete più volte negli anni, assicurando che il processo possa continuare in perpetuo. Punta di diamante di Marco de Bartoli, il Vecchio Samperi sfoggia un manto giallo ambrato brillante. A onta del suo contenuto alcolico, ben 16,5%, l’olfatto rimane sobrio, e con l’aerazione porge la scorza d’arancia, le spezie dolci e il mallo di noce. Palato avvolgente (irresistibile la succosità del centro bocca), di assoluta precisione, salino e al contempo dolce di frutto. Lunghissima persistenza nella quale si rinvengono sentori di miele.
Madeira 10 anni – Henriques & Henriques
(100% malvasia)
Vino liquoroso per antonomasia, quel che rende il Madeira così peculiare risiede nella sua cottura: viene infatti riscaldato a 45 °C in vasche di acciaio per circa tre mesi per poi essere raffreddato lentamente prima dell’imbottigliamento. Il Madeira 10 anni di Henriques & Henriques è di color mogano dai mille riflessi. La silhouette aromatica è un vero e proprio fuoco d’artificio di carattere dolce/non dolce e dal gusto antico: frutta secca, miele di erica, tabacco fermentato e, forse, dattero. Incantevole lo sviluppo che non brucia e viene rischiarato da una freschezza che ne facilita la beva. «Da centellinare e mandare a memoria».
Con queste parole Massimo Zanichelli conclude un secondo viaggio ricco e avvincente, accessibile e profondo. Ci invita a riflettere sulle nostre esperienze estetiche visuali e gusto-olfattive e trovare il senso delle emozioni che esse suscitano. Giacché, chiunque abbia a cuore l’umanità dovrebbe capire quanto sia imprescindibile «l’educazione estetica dell’uomo».