Comm. G.B. Burlotto. Da 175 anni una storia d’Italia e del Barolo
Cinque generazioni fa nascevano a Verduno i Barolo del Comm. G.B. Burlotto. In compagnia di Fabio Alessandria, erede della storica famiglia, e del sommelier Francesco Ferrari, ripercorriamo 175 anni di storia dell’azienda e dell’Italia.
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Tra le molte aziende che oggi disegnano le Langhe del Barolo ce n’è una che mostra orgogliosa le sue medaglie a tutto il paese. Siamo a Verduno, il comune più a nord delle Langhe tra gli 11 in cui (parzialmente o interamente) è possibile creare il Barolo. Qui non è difficile trovare la facciata forse più nota delle Langhe: una casa di fine Settecento che riporta il ricco medagliere (se ne contano 32 d’oro e d’argento) che segna il successo e i risultati ottenuti da G.B. Burlotto dal 1881.
Una storia italiana
Giovan Battista nasce nel 1842, quando l’Italia era ancora da fare e il Barolo muoveva i primi passi. Si narra che Giovan Battista ricevette in eredità la casa vitivinicola e l’azienda agricola dallo zio Ignazio intorno al 1850. Quella casa ospita la famiglia da 5 generazioni e ancora oggi è la cantina storica dove si pigia e si fermenta il vino.
«Il mio trisnonno fu tra i primi a credere nel progetto Barolo, rendendosi conto che il vino fatto in zona era diverso da quello del vicino Roero» ci racconta il nipote Fabio Alessandria. Un trisnonno che non solo ebbe l’intuizione di puntare sulla qualità del Barolo, ma che si spese in prima persona in viaggi per la diffusione dello stesso nel mondo. Molte sono le foto e gli articoli che narrano la storia di G.B. Burlotto - che acquisì prima il titolo di Cavaliere e poi di Commendatore - e che riviviamo a volo di aquilone con Francesco Ferrari. Tra gli episodi più incredibili merita sicuramente una menzione la spedizione al Polo Nord con la nave Stella Polare organizzata dal duca degli Abruzzi intorno al 1899. L’impresa fu accompagnata da una fornitura di bottiglie del commendatore e siamo certi che, nonostante l’incaglio della Stella Polare poco prima di giungere a destinazione, il duca abbia avuto modo di consolarsi con il Barolo in stiva. Dopo l’acquisto del Castello di Verduno dai Savoia e di alcuni vigneti come il Monvigliero, ad altissima vocazione, Giovan Battista muore nel 1927. Al nipote Ignazio dobbiamo la conservazione del vigneto di pelaverga e della sua ostinata vinificazione in purezza, in un’epoca in cui i pochi filari esistenti confluivano in uvaggi.
Oggi l’azienda, di 17 ettari, è portata avanti da Fabio Alessandria seguendo la stessa filosofia di cura e attenzione a partire dalla vigna. Vendemmia manuale in piccole cassette contenenti al massimo 20 chilogrammi, diraspatura (ad eccezione delle uve per la produzione del Barolo Monvigliero e del Dolcetto) e spostamento per gravità, senza pompaggio, in tini di legno troncoconici aperti (e/o in vasche di acciaio aperte per il Pelaverga) dove avviene la fermentazione grazie lieviti indigeni. Follature, rimontaggi manuali e affinamento in botti grandi da almeno 30 ettolitri di rovere francese non tostato e di secondo passaggio, sono le scelte della famiglia rimaste invariate negli anni per la creazione del Barolo.
La degustazione
Il calice si presenta di un colore rubino leggero, lucente, vivido e trasparente. Ha un bouquet che evolve dalla caramella alla fragola, ai petali di rosa e di peonia, con un’evidente nota di pepe bianco. Un leggero sfondo di erba tagliata crea un’ulteriore leggiadria. Al palato ha una struttura lieve con un tannino di trama sottile che dona pulizia. Ha una persistenza di fragolina di bosco, di ribes e di pepe bianco. Un vino di annata piacevole, invitante e di personalità. Perfetto con la cucina vegana e vegetariana.
Di color rubino fitto che sfuma in trasparenze luminose, ha un’intensità di mirtillo e ciliegia, con nuances di noce moscata e di erba medica. Chiude su note fané di cipria. In bocca non nega la sua potenza, pur mantenendo un equilibrio pulito, elegante tra il calore dell’alcol e la spalla acida. Un vino che è un richiamo costante al sorso con la sua persistenza di ciliegie e amarene croccanti e la sua sapidità di fondo.
Questo primo Barolo nasce, come da tradizione, dall’assemblaggio di uve provenienti da diverse vigne. In particolare, qui si tratta di 4 MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive) nel comune di Verduno: Breri, con esposizione a sud, Neirane, esposta a ovest, Rocche dell’Olmo e Boscatto esposte a est.
Ha un manto granato leggero - colore che ritroveremo in tutti i prossimi calici con sfumature più o meno fitte -, trasparente, vivo e brillante, che stupisce se si considera che l’azienda non esegue né filtrazioni, né chiarifiche. Portato al naso svela le sue carte con sincerità e intensità: ci sono le rose e l’iris, c’è l’erba di campo, c’è la maggiorana e l’eucalipto, ma anche il tè nero. Il sorso rivela un Barolo sussurrato, che entra in punta di piedi e che si allunga sulla persistenza dei fiori e sulla balsamicità, con un tannino elegante e compiuto. Un’annata che rivela già la sua pronta disponibilità ed espressività.
Acclivi viene prodotto solo nelle annate migliori e dall’assemblaggio di uve provenienti da 4 vigne MGA collocate a Verduno (Monvigliero, Neirane, Rocche dell’Olmo e Boscatto).
Profuma di frutta rossa e di anice, ma ha anche un’anima di sottobosco, di tabacco, di chinotto e di viola. Al palato ha una presenza tannica e una struttura più importante rispetto al calice precedente, ma è lungi dall’essere un vino muscolare. Gioca su una complessità di spezie, di arancia rossa e di liquirizia. L’attesa, siamo certi, valorizzerà ulteriormente l’Acclivi 2019.
Ci spostiamo a Monforte d’Alba nella MGA Castelletto, con una vigna esposta a est e sud/est acquistata nel 2018. Il vino ha una silhouette odorosa mentolata e resinosa, di aghi di pino in particolare, e con sfumature di mirtilli e di iris. Fondo di humus e terriccio di sottobosco completano il profilo odoroso. All’assaggio il sapore della melagrana si sposa con un tannino più compìto. Freschezza e salinità sorreggono la persistenza balsamica.
Arriviamo nella prestigiosa MGA Monvigliero per il più intenso tra i nostri assaggi: un’infusione di erbe medicinali e di scorze di chinotto e tamarindo. C’è la liquirizia, l’anice e il tarassaco, ma ci sono anche i fiori secchi e il rabarbaro. Evolve in complessità costantemente e si apre sul balsamico, poi su note empireumatiche di caffè e tabacco dolce. L’agrume torna al palato, con il tamarindo e chiude sul fondo di caffè e sulla genziana. Ha un tannino perfettamente integrato, gustoso. Come da tradizione famigliare, il Monvigliero viene vinificato con il raspo.
La collina dei Cannubi è forse tra le località più note del comune di Barolo. La vigna di G.B. Burlotto situata in questa zona ha un’esposizione prevalentemente a est. Il nostro calice ha un naso leggermente cupo, con una florealità di petali essiccati, di tabacco scuro, di cacao, di foglie secche e di frutta scura. Note fumé si alternano a quelle del timo. In bocca entra suadente con tutto il gusto della ciliegia per poi rivelare un tannino grippante eppure elegante. Un gioco di equilibri sottile tra persistenza di frutto e di timo, calore, struttura e tannino.
Torniamo alla MGA Monvigliero per assaggiare l’annata 2016. Se la base olfattiva per certi versi è comune, qui la tisana di erbe è più vicina al karkadè; la frutta ricorda il mirtillo e il lampone e la nota di oliva nera addolcisce il finale. Il gusto è un ricordo di china, assenzio e prugna, ma ha un finale di caramella alla liquirizia dolce e una completezza amabile, con tannini vellutati ed evoluti. Il tempo ha reso questo vino un inno alla riflessione gioiosa: la felicità, verrebbe da dire, potrebbe essere un haiku che unisce un calice di Monvigliero 2016 e la soddisfazione di una giornata che volge al termine.