Correva l’anno 1995. Una degustazione “storica” con Mariano Francesconi

Una serata fuori dal tempo quella organizzata da AIS Bergamo, un evento raro che ha permesso di degustare sei vini del 1995, guidati dal racconto esperto di Mariano Francesconi.

Alessandra Marras

«Assaggiare un vino di trent’anni non è solo un’esperienza sensoriale, è anche un esercizio di memoria e consapevolezza». Una constatazione, quella di Mariano Francesconi, sommelier professionista di lungo corso e grande esperienza, che ha trovato perfettamente riscontro nella serata che ha condotto per AIS Bergamo e dedicata a sei grandi vini europei del 1995.

Trent’anni in bottiglia, un attimo nel calice

Non è frequente assaporare vini che abbiano percorso con successo la strada dell’evoluzione. Alcuni riescono a compiere il salto definitivo, trasformandosi in emozioni pure che si svelano solo a distanza, altri semplicemente non ce la fanno. Ma allora, cosa rende un vino capace di affrontare il tempo? La risposta si articola su più livelli. Conta la buona conservazione, ma anche e soprattutto la resistenza all’ossigeno e la capacità di mantenere un profilo olfattivo piacevole, vivo e vibrante. Un vino longevo deve sapersi rinnovare, evolvere, rivelando nel tempo nuove molecole odorose. Questo dipende da fattori come tannini, anidride solforosa, alcol, acidità, ma anche dalla genetica del vitigno e dall'ambiente di crescita.

Il millesimo 1995

Rispetto agli standard dell’epoca, l’annata 1995 è stata calda. La primavera, umida e fredda, ha ritardato la fioritura e complicato l’allegagione, portando a grappoli più spargoli, rese contenute, ma anche una maggiore concentrazione. L’estate, calda e asciutta, ha lasciato spazio a un finale di stagione scandito da ampie escursioni termiche, ideali per lo sviluppo del corredo aromatico. Nonostante il caldo, l’acidità naturale delle uve si è mantenuta alta, regalando ai vini una spinta evolutiva straordinaria.

Alsazia: una regione unica tra Francia e Germania

Il viaggio parte dall’Alsazia, la regione più settentrionale in degustazione, ben oltre il 40° parallelo. Terra di confine tra Francia e Germania, ha vissuto quattro cambi di sovranità che hanno influenzato profondamente la sua viticoltura. Un passato instabile che ha rallentato l’omologazione al modello francese, contribuendo alla costruzione di un’identità autonoma e originale. 

I vigneti, ben esposti a sud e sud-est, si trovano ai piedi dei Vosgi, una catena montuosa modesta (la vetta più alta sfiora i 1.400 metri), ma sufficiente a bloccare le umide correnti atlantiche. Il risultato è uno dei microclimi più secchi d’Europa, con forti escursioni termiche che favoriscono una maturazione lenta e profili aromatici intensi. La geologia è straordinariamente complessa: i vigneti si distribuiscono su tre fasce altimetriche — alta (fino a 400 metri, spesso con forti pendenze), intermedia e bassa (verso la pianura) — con suoli molto diversi tra loro: marne, calcari, argille e rocce affioranti, che danno vita a una grande varietà stilistica. Tradizionalmente, i vini alsaziani non erano destinati al mercato interno francese, ma prendevano la via del Reno per raggiungere i Paesi del Nord Europa, come i vini tedeschi. Da qui l’impronta tedesca ancora riconoscibile in alcune espressioni, spesso caratterizzate da un residuo zuccherino ben bilanciato dall’acidità. 

L’Alsazia è soprannominata "la regione dei 13 vitigni", un’anomalia nel panorama francese, dominato da una rigida selezione varietale. Tra i tredici compare anche il pinot grigio, protagonista della nostra degustazione. Il vino degustato proviene dai vigneti del Domaine Zind-Humbrecht. Nato nel 1959 dall’unione delle famiglie Zind e Humbrecht, oggi è guidato da Olivier Humbrecht, primo francese a ottenere il titolo di Master of Wine e pioniere della biodinamica in Francia. Compostaggio organico, lieviti indigeni, rese limitate e massimo rispetto per la natura sono i principi cardine della sua filosofia produttiva, orientata a esprimere in modo autentico ogni singolo terroir. Il vino in assaggio nasce su suoli poveri, con affioramenti di roccia madre e forte presenza di scheletro; contesto ideale per dare vita a un’espressione di pinot grigio che privilegi eleganza e freschezza alla potenza. 

Alsace Pinot Gris Windsbuhl 1995 - Domaine Zind Humbrecht

Il colore è straordinario: luminoso e brillante, con appena un accenno dorato, colpisce la vivacità e la pienezza del movimento nel calice, che trasmette una sensazione di coesione e ricchezza materica. Al naso, l’impatto è dolce, quasi ipnotico: dominano note di frutta tropicale e sciroppata, tra cui spicca la pera, firma inequivocabile del Pinot Grigio. Sfumature speziate e ricordi di pasticceria, mentre leggere note di erbe aromatiche donano un tocco di freschezza che vivifica l’insieme. In bocca, la dolcezza è evidente ma mai stucchevole bilanciata da un’acidità ancora vibrante, regalando un sorso armonico e dinamico. Nel finale, la tipica nota ammandorlata del pinot grigio sorprende per la sua asciuttezza in contrasto con l’attacco iniziale, lasciando una sensazione pulita e persistente. Un vino che stupisce per equilibrio e longevità: dopo trent’anni, si mostra ancora in forma smagliante — a ricordarci che, talvolta, il vino sa sfidare il tempo meglio di noi.

Bussia e il suo vino: il lungo percorso di Prunotto nelle Langhe

ll secondo calice ci porta nelle Langhe. La cantina Prunotto risale ai primi del Novecento. Fondata nel 1904 a Serralunga come Cantina Sociale “Ai Vini delle Langhe”, vide tra i testimoni di costituzione un giovane Alfredo Prunotto . Nel 1923 la cantina fu messa in liquidazione, Alfredo Prunotto, colse l'opportunità e la rilevò dandole il proprio nome. Nel 1956, la gestione passò a Beppe Colla che, con il fratello Tino, iniziò a valorizzare le singole parcelle. Il 1994 vede l’acquisizione da parte di Antinori, un cambio al timone che ha mirato a mantenere gli alti standard qualitativi e a espandere la proprietà.

Il vino in degustazione proviene dalla celebre vigna Bussia, dal vigneto che, nel 1961, ha dato i natali al primo Cru di Barolo Prunotto. Situato nella zona di Monforte d’Alba, si distingue per la peculiarità geologica caratterizzata da una forte presenza di Marne di Sant’Agata Fossili. Le viti, con le radici che affondano in suoli di limo, sabbia e argilla, beneficiano di un’esposizione ideale, che va da sud a sud-ovest; la struttura dell’impianto a forma di anfiteatro facilita una vendemmia scaglionata consentendo di raccogliere uve perfettamente mature in ogni singola parcella, esaltando la qualità e la complessità del vino. L’affinamento in botte grande e l’eterogeneità delle esposizioni, contribuiscono a conferire al Barolo Bussia un equilibrio straordinario, arricchendolo di profondità e carattere.

Barolo Bussia 1995 - Prunotto

Carminio di bella intensità che sfuma delicatamente verso l’aranciato, segno di un’evoluzione armoniosa. Al naso, riconoscibile l’impronta del nebbiolo delle Langhe in piena fase evolutiva. Ma è l’assaggio a raccontare davvero il momento in cui questo vino si trova: i tannini, ancora integri e decisi, lasciano intuire un ulteriore potenziale di crescita. La freschezza e la vivace salivazione sorprendono per un vino di questa età, mentre il profilo gustativo si arricchisce di note balsamiche, sentori di radice, caffè, cioccolato fondente e tabacco, componendo una complessità che continua ad ampliarsi con il passare del tempo.

Montalcino, Banfi e il Poggio all’Oro

Spostandoci verso sud, il terzo calice conduce a Montalcino. Ventimila ettari di estensione territoriale, di cui solo il 15% è dedicato alla viticoltura. La cantina Banfi fondata negli anni '70 dai fratelli Mariani, figli di un imprenditore che aveva avviato un'azienda di importazione di vino negli Stati Uniti. Si estende su 2.830 ettari di terreno, di cui 850 ettari vitati. Le vigne Banfi, a corpo unico, sono situate nel versante meridionale del comprensorio, un’area calda che guarda al mare, con  altitudini che digradano in direzione del letto dell’Orcia. I suoli sono variabili: nelle parti più basse si trovano terreni leggeri e sassosi con presenza di ghiaie, mentre nelle zone più alte prevalgono suoli di disfacimento, tra cui il galestro. Un contesto articolato che tende a conferire ai vini struttura piena e profondità cromatica. L’ etichetta più prestigiosa, il Poggio all’Oro, è prodotta fin dal 1985, con una vinificazione in acciaio a temperatura controllata, seguita da una maturazione in botti di rovere da 350 litri per 2 anni e 6 mesi. L'annata 1995 a Montalcino è stata classificata a 5 stelle, il massimo.

Brunello di Montalcino Riserva Poggio all’Oro 1995 - Banfi

Rosso carminio luminoso, vivido. Al naso sprigiona una freschezza fruttata che conserva intatta la sua integrità: note di frutti rossi freschi si intrecciano a delicati accenni speziati, disegnando un profilo aromatico elegante e invitante. Il sorso è vibrante, sostenuto da tannini levigati ma decisi, che avvolgono il palato con classe, senza mai rinunciare a una struttura materica ben definita. Il finale è lungo e articolato, con richiami di caffè tostato, cioccolato fondente, china e una leggera sfumatura di rabarbaro che dona slancio e profondità. Un vino che unisce forza e grazia, mantenendo nel tempo tutta la sua energia espressiva.

Pomerol e le sue gemme: il merlot del Domaine Château La Croix de Gay

Sebbene Bordeaux sia tradizionalmente associata a uve rosse come il Cabernet Sauvignon, la zona di Pomerol, nel cuore della Libournais, è dominata dal Merlot, varietà che nel vino del quarto calice gioca un ruolo centrale. Le ore di luce e il clima favorevole permettono una maturazione ideale per il vitigno che qui acquista pienezza, finezza e generosità. Le colline di Pomerol si distinguono per i profili armoniosamente ondulati e i suoli di grande variabilità. Eccezione bordolese, in materia di valutazione dei vini, non segue le classificazioni ufficiali. 

La storia di questa zona infatti è legata agli Ospitalieri, un ordine che nel Medioevo possedeva terreni che ancora oggi costituiscono la base di alcune delle più rinomate aziende vitivinicole. La superficie della denominazione è relativamente piccola e suddivisa tra ben 150 proprietari, implicando una frammentazione dei vigneti particolarmente accentuata. Il Domaine Château La Croix de Gay si trova nella parte più vocata del plateau di Pomerol, accanto a nomi storici come Petrus, in una zona storicamente rinomata per la qualità dei vini. Poco più di 4 ettari vitati, suddivisi in dieci parcelle, ciascuna vinificata separatamente per conservarne ed esaltarne le peculiarità. La tradizione aziendale è databile al 1700, ma i riferimenti più antichi collegano questa terra agli Ospitalieri, con documentazioni che risalgono al 1477.

Oggi, la terza generazione della famiglia continua a produrre un Merlot di alta qualità. La vinificazione del vino in degustazione è avvenuta in vasche di cemento con controllo della temperatura; maturazione in botti di legno per un periodo compreso tra 18 e 22 mesi, con una percentuale di legno nuovo che varia tra il 30 e il 35%. Con una percentuale dell’86% di Merlot, questo calice è il perfetto esempio di come il territorio di Pomerol riesca a trasformare questo vitigno in un nettare ricco di personalità, in grado di evolversi con il tempo e regalare straordinarie esperienza sensoriali.

Bordeaux Pomerol 1995 - Domaine Château La Croix de Gay

Carminio acceso e luminoso, dopo trent’anni conserva una sorprendente vitalità. Meno fitto rispetto al Brunello e più vivace del Barolo, è un vino che invita alla pazienza, che necessita di tempo e di respiro per raccontarsi. Al primo assaggio colpisce la rotondità del frutto, piena e avvolgente, capace di sostenere la struttura senza mai appesantirla. Con il passare dei minuti, il vino si trasforma: da un iniziale richiamo evocativo, quasi polveroso, come un cassetto della nonna, emergono gradualmente sfumature fresche di menta. Una nota balsamica che dona slancio e leggerezza, bilanciando la generosità del frutto e rivelando una complessità crescente, che rende il sorso sempre più vivo, dinamico e coinvolgente.

Clos de l’Obac e la rinascita del Priorat catalano

Con il quinto calice ci addentriamo in Spagna, paese dalla straordinaria variabilità per microclimi e paesaggi. Dalla “Spagna verde” delle coste galiziane e dei Paesi Baschi, con piogge e temperature simili a quelle del Nord Italia, fino all’entroterra arido e roccioso della Catalogna. È proprio qui, a sud di Tarragona, che si trova il Priorat, una delle due uniche denominazioni spagnole ad aver ottenuto lo status di Denominación de Origen Calificada (DOQ), equivalente alla nostra DOCG, e unico caso in Catalogna a ricevere questo riconoscimento. Questo territorio, già coltivato in epoca romana, deve il suo nome e la sua rinascita vitivinicola medievale ai monaci certosini. Insediatisi qui nel XII secolo su richiesta del re di Navarra, fondarono il monastero di Scala Dei, nome legato alla leggenda di una scala mistica che collegava la terra al cielo e che ancora oggi risuona come simbolo spirituale del Priorat. 

La matrice geologica è tra le più antiche d’Europa: la celebre "licorella", una roccia metamorfica scistosa, bruno-rossastra e ricca di ferro, conferisce ai suoli una composizione minerale unica, capace di drenare le acque e trattenere calore, restituendo vini profondi e longevi. In un contesto caratterizzato da scarse precipitazioni, forti escursioni termiche e altitudini che spaziano dai 150 agli 800 metri, si sviluppa una viticoltura fatta di terrazzamenti impervi, rese contenute e grande espressività varietale. Le uve principali sono la garnacha (grenache) e la cariñena (carignan), mentre è marginale la presenza del tempranillo. Negli anni ‘70 un gruppo di giovani visionari — alcuni provenienti dalla Francia — diede nuova linfa al Priorat. Tra questi pionieri si inserisce anche la famiglia Pastrana, fondatrice nel 1987 del progetto Clos de l’Obac, oggi una delle etichette simbolo della rinascita della denominazione. 

L’azienda gestisce circa 45 ettari di vigneti distribuiti su parcelle con altitudini e orientamenti diversi, assemblate con cura per ottenere un’espressione complessa e armonica del terroir. Il vino degustato proviene da vigne poste intorno ai 350 metri di altitudine, alcune delle quali superano i 50 anni di età. È un assemblaggio di garnacha (35%) e cariñena, a cui si affiancano cabernet sauvignon, syrah e merlot, varietà internazionali introdotte nel Priorat negli anni della rinascita per portare struttura e profondità. La vinificazione è avvenuta in legno di media dimensione, con un affinamento di circa 18 mesi in rovere francese.

Priorat Clos de l’Obac Gratallops 1995 - Clos de l’Obac

Il Clos de l’Obac colpisce sin dal primo sguardo con la sua densa intensità cromatica, preludio di una struttura imponente. Al palato il sorso è teso, verticale, di grande precisione: una materia piena ed elegantissima, che sorprende per la sua giovinezza, nonostante l'evoluzione. Per chi si avvicina per la prima volta ai vini del Priorat, questa vivacità rappresenta una scoperta inattesa, emblema dell’ambizione e della qualità che animano questa produzione. Il profilo olfattivo è profondo e seducente, con intense note di ciliegie sotto spirito; in bocca la trama è ricca, energica, sostenuta fino al lungo finale da una chiusura decisa su toni di liquirizia.

Banyuls Grand Cru: un patrimonio vivente tra sole, vento e scisti

L’ultimo calice ci riporta in Francia. Banyuls, nel cuore del Roussillon, una delle zone storiche dei vini fortificati. Qui, affacciata sul Mediterraneo accolta dalle colline rocciose e ventose della Côte Vermeille, si sviluppa la tradizione dei “vins doux naturels”, i celebri vini nati dall’intuizione dell’alchimista e medico Arnaud de Villeneuve, che nel 1270 mise a punto la tecnica del mutage — ovvero l’aggiunta di alcol durante la fermentazione per bloccarla e preservare gli zuccheri naturali dell’uva. La denominazione Banyuls, che oggi contempla ben dodici categorie ufficiali, rappresenta un patrimonio enologico unico: terrazze impervie sorrette da muretti a secco, ingegnose strutture a “zampa di gallo” per contrastare l’erosione e pratiche di vinificazione spesso estreme, come la maturazione ossidativa in damigiane all’aperto, sotto il sole, la pioggia e il vento di Tramontana. Il Domaine Vial Magnères, oggi alla quinta generazione, è uno dei pochi a portare avanti con rigore e passione questa tradizione. I suoi vigneti si estendono seguendo le curve della costa. Il suolo, composto da scisti e ardesie scure, antichissimo e poverissimo, insieme al vento costante, contribuiscono a creare condizioni dure ma favorevoli alla produzione di vini di grande intensità. L’azienda lavora principalmente con la grenache in tutte le sue declinazioni — noir, gris e blanc — accanto a piccole parcelle di carignan e syrah. Il vino in degustazione è la Cuvée André Magnères Banyuls Grand Cru, dedicata al nonno fondatore. Prodotta solo nelle annate migliori da vigne di grenache blanc di circa 70 anni, è una rarità assoluta. Il Grand Cru, nel disciplinare della denominazione, non indica una zona specifica ma garantisce una selezione delle uve di qualità superiore e un affinamento minimo di 30 mesi in legno. 

Cuvée André Magnères Banyuls Grand Cru - Domaine Vial Magnères 

Una straordinaria lucentezza accompagna le sfumature calde del mogano. Al naso, si apre un bouquet ricco e avvolgente, dove si intrecciano delicati aromi di lavanda, fichi secchi e cedro candito, arricchiti da note di mallo di noce, caramello e miele di castagno. Al palato, la dolcezza è sapientemente equilibrata, con una struttura vellutata che conferisce morbidezza e pienezza, senza mai risultare opprimente. Il sorso è fresco, goloso e ben armonizzato, mentre la chiusura pulita e fragrante lascia un retrogusto persistente di perfetta eleganza. Un vino che incarna la tradizione vinicola del Roussillon, un autentico riflesso della passione e dell'impegno che lo rendono capace di sorprendere e conquistare in ogni singolo sorso.

Giunti al capolinea, inevitabile pensare che quei calici, tra le luci soffuse della sala, non sono stati solo vino: sono stati pellicola che scorre, memoria che affiora, tempo che si fa presente. Il 1995 era lì, e noi lo abbiamo bevuto.