Coteaux-champenois. Nel profondo dell’anima della Champagne

Non c’è solo il metodo tradizionale in Champagne. Per secoli il territorio ha prodotto soprattutto vini tranquilli. Oggi questa tradizione sopravvive nelle AOP Coteaux-champenois e Rosé-des-Riceys. Ce ne ha parlato Samuel Cogliati, uno dei massimi esperti di queste denominazioni.

Florence Reydellet

La Champagne, territorio settentrionale della Francia, è la patria degli spumanti più famosi al mondo. Però, «i vini tranquilli della Champagne custodiscono più di un motivo di sincero interesse: innanzitutto sono la testimonianza viva di un passato glorioso; in secondo luogo, offrono talora bottiglie di originale e sorprendente stilistica, nonché di autentico valore gustativo ed estetico» (Samuel Cogliati, Champagne. I vini fermi: rossi, rosati, bianchi, Possibilia, 2018).

È dunque d’uopo rammentare che per secoli i vini fermi costituirono l’identità della Champagne. Vini che già nel Trecento si erano fatti apprezzare: ad esempio, essi furono scelti per l’incoronazione a re di Francia di Filippo VI (1328). L’inversione di tendenza iniziò ben più avanti, attorno al 1730. Interessanti sono i dati: la produzione di vini spumanti passò da circa 20.000 bottiglie nel 1730 a 500.000 nel 1800. Verso la fine dell’Ottocento la produzione di vini tranquilli conobbe un repentino declino vuoi per il successo delle bulles, vuoi per la concorrenza dei vini di altre regioni francesi che divennero più facilmente disponibili con lo sviluppo della rete ferroviaria.

Samuel CogliatiNonostante il crollo produttivo, grazie alla caparbietà di alcuni vignaioli, i vini fermi della Champagne ottennero nel 1936 l’appellation “Vin Originaire de la Champagne Viticole”; nel 1953 il nome divenne “Vin Nature de la Champagne”; per assumere infine, dal 1974, l’odierna dicitura, più semplice ed efficace di “Coteaux-champenois” (cioè “Colli della Champagne”). Ai giorni nostri, non si può dire che la ferita si sia rimarginata: benché l’appellation copra tutti i 34.000 ettari vitati della regione, la produzione di Coteaux-champenois (circa 100.000 bottiglie) - che si distribuisce prevalentemente tra la Grande Vallée de la Marne e gli areali a sud della Montagne de Reims - non rappresenta nemmeno lo 0,05% della produzione regionale annua. Stando ai dati, i vini rossi sono cinque volte più diffusi rispetto ai bianchi (e infinitamente più interessanti sul piano qualitativo), mentre la produzione di vini rosati (se si eccettua il Rosé-des-Riceys) è del tutto trascurabile.

Dal punto di vista ampelografico, possono entrare nella composizione dei Coteaux-champenois le medesime cultivar dell’appellation Champagne (ossia pinot noir, chardonnay, pinot blanc - anche detto blanc vrai -, pinot gris - fromenteau -, arbanne e petit meslier) vinificate da sole o in assemblaggio. Qualora il vino sia ottenuto da un’unica varietà, la stessa può comparire in etichetta ed è anche possibile rivendicare la menzione geografica aggiuntiva assieme alla classificazione gerarchica dei Cru. Il disciplinare di produzione prevede rese massime di 12.400 kg/ha (aumentabili in deroga a 15.500 kg/ha); vendemmia obbligatoriamente manuale; un affinamento minimo fino al 15 agosto successivo alla vendemmia (mentre la commercializzazione non deve avvenire prima del 15 ottobre); da ultimo, un titolo volumico alcolometrico totale minimo di 9%.

Parlando dei vini fermi della Champagne, è doveroso soffermarsi sul Rosé-des-Riceys. L’appellation, creata nel 1947, comprende solo vini rosati fermi le cui uve provengono dal comune di Les Riceys, ubicato nel dipartimento dell’Aube (il plurale si deve al fatto che il comune si spartisce in tre areali: Ricey-Haut, Ricey-Bas e Ricey Haute-Rive). Il suo disciplinare di produzione prevede l’impiego di sole uve pinot nero, l’obbligo di millesimo. La manualità della vendemmia e un affinamento perlomeno fino al primo luglio dopo la vendemmia. Infine, si fa presente che la produzione media annua si aggira attorno alle 41.000 bottiglie.

Dell’unicità dell’appellation è affidabile testimone la degustazione che segue. 

Degustazione

Coteaux-champenois Riceys blanc En Valingrain 2017 – Horiot
Si veste di un giallo paglierino luminoso. Il naso è restìo, stringato. Abbisogna di tempo per svelarsi: inizialmente con sentori sulfurei, poi con sensazioni vegetali di brodo. E, a sorpresa, quasi di punto in bianco, vi si intromette la colatura di alici. L’ingresso in bocca è glicerico - potrebbe ricordare l’untuosità del midollo - mentre lo sviluppo sposa la causa della sapidità. In chiusura, i cenni marini duellano ad armi pari con una mineralità di grafite.

Coteaux-champenois rosé pinot noir – Fleury
Riflessi rubini, persino cerasuoli. Intensi sono i rimandi di frutta (gelatina di ribes in primis) che precedono note che rammentano la buccia di salame. Lo sviluppo è a dir poco austero, sebbene la sapidità aiuti a indirizzare il quadro gustativo. Finale leggermente scomposto, con ricordi di humus e cera d’api.

Coteaux-champenois Mareuil-le-Port rouge Troissy La Croix Joly 2018 – Dehours et Fils
Rubino tendente al granato. A tutta prima è scontroso (un qualcosa di «astringente, financo tannico»). Con l’aria si rivela, di momento in momento, cangiante: propala l’assenzio, poi l’uva sultanina, il rosolio, il cuoio e via dicendo. Il suo è un gusto generoso, fresco e sapido, dal tannino appena polveroso. Finale, ahinoi, titubante. Un Coteaux-champenois evidentemente in divenire.

I viniCoteaux-champenois rouge Confiance 2018 – Franck Pascal
Profilo olfattivo simile al precedente, e anch’esso scorbutico: ha la volatile, l’animale, il salmastro e un «ricordo rugginoso da autofficina». Con il passare dei minuti vi sono anche i semi di anguria. Insomma, un vino scoordinato che sembra non saper come organizzarsi. Al sorso s’incrociano invece, con convinzione, la freschezza e una giovane tannicità. Stando a Samuel: «Quando si aprirà il tannino, vi saranno più margini di azioni per la sapidità». Del resto, questo vino di nome fa “Confiance”. Occorre pertanto essere fiduciosi.

Coteaux-champenois rouge Chères vignes 2018 – Jacques Lassaigne
Granato dall’unghia leggermente aranciata. «Che tisana in bocca!», esclama Samuel: malto, brodo di carne, semi di lino e liquirizia. Buona la progressione dove la sapidità gioca il ruolo da protagonista, mentre l’epilogo ha vaste risonanze di mineralità.

Coteaux-champenois rouge Permission 2018 – Drappier
Veste paglierina con tracce dorate. Peculiare il naso che risulta essere un compendio di riduzioni: il gorgonzola da una parte, la testa di fiammifero dall’altra (si fronteggiano fino a urtarsi). Il gusto - dal passo nervoso e al contempo vellutato - conferma le sensazioni aromatiche. Si congeda lungo e coerente con il quadro gusto-olfattivo.

Se alcuni di noi - fin qui - si sono mostrati sordi ai vini fermi della Champagne, risulta impossibile dopo questa serata non tendere l’orecchio. Il pensiero corre al numero 22 della rivista Viniplus di Lombardia, nel quale Samuel ha scritto: «I Coteaux-champenois mostrano […] una fisionomia gusto-olfattiva peculiare, costruita sulla leggiadria, una virtù troppo spesso trascurata o sottovalutata nel mondo del vino».