Dal 40° parallelo al Nuovo Mondo: in viaggio con Luisito Perazzo

Racconti dalle delegazioni
01 dicembre 2025

Dal 40° parallelo al Nuovo Mondo: in viaggio con Luisito Perazzo

Un itinerario che attraversa continenti e filosofie produttive, dal rigore del Vecchio Mondo all’audacia del Nuovo. Dieci vini, dieci storie, per scoprire come terroir, vitigno e tecnica si intrecciano in un racconto che è insieme cultura e piacere.

Paola Lapertosa

Un viaggio tra latitudini e terroir: dieci vini, dieci storie, un unico filo conduttore: la voce di Luisito Perazzo, Miglior Sommelier d’Italia 2005, relatore tra i più amati per la capacità di intrecciare tecnica e narrazione. «Il vino è cultura, emozione, identità», ricorda Perazzo mentre accompagna i partecipanti in un percorso che attraversa latitudini e filosofie produttive.

Il tema della serata è chiaro: il vitigno come chiave di lettura del territorio. Dal Riesling allo Chenin blanc, dal Fiano alla Ribolla, ogni calice diventa un esercizio di analisi sensoriale e memoria.

Ma il vitigno è solo il punto di partenza: ciò che fa grande un vino è la capacità di adattarsi al territorio. «Un vino nobile deve esaltare il territorio, non il vitigno: se il profilo è solo varietale, manca la profondità che il terroir conferisce», sottolinea Perazzo, invitando a cogliere i marcatori senza dimenticare il ruolo delle tecniche colturali e dell’annata. Lo dimostrano i Sauvignon blanc: quelli della Nuova Zelanda sono esplosivi, con aromi tropicali e vegetali, mentre nella Loira, dallo stesso vitigno, si ottiene un vino che si fa più sottile, minerale, quasi austero. Due interpretazioni opposte che raccontano quanto il luogo - più dell’uva - definisca l’identità del vino.

Il viaggio prosegue oltre l’Europa, dove il vino riscrive le regole. Negli ultimi 25 anni la superficie vitata è diminuita nel Vecchio Mondo mentre è cresciuta in Sudafrica, California, Argentina e Cina, oggi primo Paese per ettari coltivati. Qui domina la filosofia dei vini varietali: il nome del vitigno ben in evidenza in etichetta, per facilitare la scelta del consumatore. Un approccio opposto rispetto al modello europeo, dove la denominazione di origine è il fulcro – dal Barolo ai cru di Borgogna – e il vitigno resta in secondo piano. Due mondi, due visioni: ma in entrambi il vitigno è solo il punto di partenza. La sua grandezza si misura nella capacità di adattarsi al territorio, come dimostra lo chardonnay, da cui si ottengono espressioni abissalmente diverse tra la mineralità gessosa della Côte des Blancs, la freschezza aromatica della Nuova Zelanda, la ricchezza fruttata della California e la sapidità del Sudafrica.

Latitudini bianche: eleganza e tensione

Deutscher Qualitätswein Riesling Mosel Dajoar 2023 - Andreas Bender (Germania)

Il riesling è il vitigno simbolo della Germania, capace di esprimere eleganza e longevità come pochi altri. I suoi marcatori varietali sono chiari: agrumi, mela verde, lime, con quella nota di idrocarburo che compare quando l’uva matura in condizioni di calore. È un vitigno che riflette il terroir in modo straordinario: sottile e delicato in Mosella, più denso e potente nel Rheingau.

Con questo primo vino siamo in Mosella, regione di pendenze vertiginose e suoli di ardesia devoniana che immagazzinano calore e regalano mineralità. Siamo nel cuore del 50° parallelo, dove il clima fresco e le escursioni termiche scolpiscono l’acidità e la finezza del Riesling. Qui i vigneti migliori sono quelli verticali, dove l’insolazione è ottimale. Andreas Bender, giovane viticoltore con vigne di famiglia, ha scelto di valorizzare il terroir con uno stile autentico: fermentazione spontanea con lieviti indigeni, affinamento in acciaio e una piccola parte in botte grande, l’halbstück.

Dajoar è un vino “come una volta”, traduzione del nome del vino e omaggio ai Riesling storici della Mosella. Giallo paglierino brillante, come luce riflessa sull’ardesia. Il profumo intreccia pesca e agrumi, con sfumature floreali e la tipica nota di idrocarburo che racconta la maturità. Il sorso è agile, con dolcezza appena percettibile (feinherb) e una lama acida che scivola sul palato, chiudendo con freschezza limonata. Verticale, minerale, essenziale: pura Mosella.

WO Coastal Region Seaward 2023 - Spier (Sudafrica)

Lo chenin blanc è un vitigno trasversale che, come lo chardonnay, cambia volto a seconda della latitudine; il vino omonimo è zuccherino e fresco nella Loira, profumato e vibrante in Nuova Zelanda, più morbido e sapido in Sudafrica.

Questo secondo calice ci porta lontano, dove l’oceano incontra le colline di Tygerberg e Stellenbosch. Qui, a circa 34° di latitudine sud, la luce intensa e il vento oceanico regalano tensione e sapidità ai bianchi. Siamo in Sudafrica, terra di contrasti e di viticoltura antica, oggi cuore pulsante di innovazione. Qui nasce Spier, storica cantina fondata nel 1692, oggi simbolo di sostenibilità.

Lo Chenin blanc Seaward, nasce da una vendemmia manuale, breve macerazione pellicolare, fermentazione in barrique da 400 litri e affinamento in rovere francese. Il primo impatto è il colore: giallo dorato, intenso, come un raggio di sole africano. Al naso agrumi e fiori bianchi si intrecciano a zenzero e pietra bagnata, con un soffio salmastro che evoca l’oceano. Il sorso è teso, vibrante, con sapidità decisa e un accenno affumicato, quasi polvere da sparo. Eleganza e carattere in perfetto equilibrio, prova che lo Chenin blanc sa reinventarsi quando incontra il vento di Stellenbosch.

Derrière la Cabane Extra Brut - Hélène Beaugrand (Francia)

Lo chardonnay è il vitigno più camaleontico: dalla freschezza minerale dei vini della Côte des Blancs alla ricchezza fruttata della California, fino alla sapidità del Sudafrica. In Champagne diventa sinonimo di eleganza e tensione, soprattutto quando si tratta di un Blanc de Blancs.

Siamo a Montgueux, definito il “Montrachet dello Champagne”: colline di gesso turoniano che si sgretola, esposizioni sud-orientali e vecchie vigne di oltre 45 anni. Siamo nel nord della Francia, sotto il 49° parallelo, in una zona dove il clima continentale temperato dona freschezza e precisione. Qui Hélène Beaugrand, erede di una famiglia storica, produce cuvée sostenibili, senza pesticidi, con fermentazione in acciaio, lieviti indigeni e affinamento di 36 mesi sui lieviti. La base è del 2018, con sboccatura a giugno 2022.

Un perlage finissimo danza nel calice, riflessi dorati che catturano la luce. Il naso è puro champagne: scorza d’agrumi, nocciola, mandorla tostata, con sfumature minerali che richiamano il gesso di Montgueux. Il sorso è cesellato: fresco, sapido, con struttura armoniosa e una chiusura che sussurra eleganza. Non cerca di impressionare, conquista con la sua discrezione.

Fiano di Avellino DOCG Riserva Colle dei Cerri 2008 - Agricola di Meo (Italia)

Il fiano è uno dei vitigni bianchi più nobili d’Italia, capace di evolvere nel tempo con una complessità sorprendente. Il suo profilo tipico include miele, frutta tropicale, erbe aromatiche e una spiccata mineralità che lo rende unico tra i bianchi campani.

Siamo in Irpinia, terra di colline e microclimi, nel cuore del Mediterraneo, a circa 40° di latitudine nord, dove il fiano respira luce e calore mitigati dalle altitudini irpine trovando qui la sua massima espressione. Agricola di Meo interpreta questo vitigno con rigore e pazienza: la Riserva Colle dei Cerri 2008 è frutto di una lunga maturazione che esalta la profondità del vino.

Si presenta con un colore dorato intenso. I profumi richiamano miele, passiflora, acacia, spezie dolci e vaniglia, con accenni di zolfo e mela matura, fino alla confettura e alle erbe aromatiche. Il sorso è ampio, strutturato, ancora fresco e sostenuto da una persistenza che racconta il tempo. Un bianco che sfida gli anni con grazia mediterranea.

Ribolla Gialla Konde 2009 - Kabaj (Goriška Brda, Slovenia)

La ribolla gialla è un vitigno antico, capace di trasformarsi in vini di grande personalità quando incontra la filosofia delle macerazioni lunghe. I suoi tratti distintivi sono freschezza e acidità, che diventano complessità estrema nelle versioni orange.

Siamo a Goriška Brda, tra le colline slovene al confine con il Friuli. Una fascia collinare sospesa tra Alpi e Adriatico, dove il clima continentale incontra influssi mediterranei. Qui, l’enologo francese Jean-Michel Morel ha portato la tradizione delle qvevri georgiane e delle lunghe macerazioni. Il Konde è un vino radicale: sei mesi di contatto con le bucce, affinamento in barrique per oltre dieci anni sotto un velo di lieviti filmogeni a ricordare lo sherry.

Il colore è ambrato luminoso. I profumi raccontano il tempo: fiori secchi, frutta sciroppata, smalto, cera d’api, caramello, note resinose e balsamiche, accenni di vin brulé e legna arsa. Il sorso è carnoso, potente, con tannino presente, sapidità marcata e una persistenza che sembra infinita. Un vino radicale, sintesi di territorio e filosofia.

Sherry Amontillado En Rama – Bodegas Faustino González (Spagna)

Il palomino fino è il vitigno che regge l’intera tradizione dello sherry: neutro in origine, diventa straordinario grazie ai metodi di invecchiamento. La sua identità si costruisce tra due venti opposti: il levante, caldo e asciutto, e il poniente, fresco e umido, che favorisce la formazione della flor. Da questa alternanza nascono le diverse tipologie: fino (con flor), oloroso (ossidativo), e amontillado, che inizia come fino e prosegue con metodo ossidativo.

Con questo sherry siamo a Sanlúcar de Barrameda, nel cuore della Denominación de Origen Jerez-Xérès-Sherry. Siamo nella Spagna meridionale, vicino al 36° parallelo, dove sole e venti oceanici plasmano la magia della flor. Qui il suolo di albariza e il clima atlantico creano le condizioni ideali per la flor. Bodegas Faustino González lavora con metodo tradizionale: fermentazione in piccole botti, soleras storiche e nessuna filtrazione. Questo Amontillado en Rama nasce da palomino fino 100%, con 6 anni di crianza biologica sotto flor e 6 anni di crianza ossidativa, per un totale di dodici anni di evoluzione.

Il colore ambrato intenso è preludio di emozioni. I profumi evocano il camino acceso, legno bruciato, mandorla secca e sfumature saline che parlano di oceano. Il sorso è secco, profondo, con una struttura che avvolge e una persistenza che sembra non finire mai. Non è solo vino: è storia liquida, un racconto di tempo, vento e luce racchiuso in ogni goccia. Unico, irripetibile.

Tra tradizione e rivoluzione: il cuore rosso del viaggio

Rioja Reserva Viña Pomal 2018 – Bodegas Bilbaínas (Spagna)

Il vitigno protagonista è il tempranillo, simbolo della Spagna e della Rioja. I suoi tratti iconici – frutti rossi e neri, note speziate, tannino fine – sono riconoscibili, ma il territorio ne modella profondamente l’espressione. In Rioja il tempranillo dà vini più ricchi e fruttati, mentre in Ribera del Duero lo stesso vitigno si traduce in eleganza e longevità: una differenza che racconta quanto il terroir e la denominazione siano determinanti.

Con questo vino siamo in Rioja DOCa, la prima denominazione spagnola a ottenere la qualifica nel 1991. Un territorio di circa 60.000 ettari suddiviso in tre zone: Rioja Alta, più fresca e vocata all’eleganza; Rioja Alavesa, con suoli calcarei e vini strutturati; Rioja Baja, più calda e generosa. Una regione tra Atlantico e Meseta, a cavallo del 42° parallelo, con clima continentale mitigato da correnti oceaniche. Qui il calcare è ovunque, elemento chiave per la finezza dei rossi.

Bodegas Bilbaínas, storica cantina di Haro, è sinonimo di tradizione e qualità. La Riserva Viña Pomal 2018 nasce da una buona annata, con affinamento in barrique nuove per 12 mesi e successivo riposo in bottiglia. Il risultato è un vino che unisce classicità e precisione.

Il colore è rosso rubino intenso con riflessi granato, preludio di profondità. I profumi raccontano frutti rossi maturi, prugna, vaniglia e spezie dolci, con accenni di cuoio e tabacco che evocano il tempo. Il sorso è vellutato, con tannino setoso, freschezza viva e una persistenza che richiama il frutto e il legno in un abbraccio perfetto.

Mendoza Gran Reserva – Bodega Séptima (Argentina)

Il vitigno simbolo dell’Argentina è il malbec, originario di Cahors, nel sud della Francia, ma oggi bandiera di Mendoza. Si riconosce per colore intenso, frutto nero maturo, note di violetta e tannino morbido. Ma il territorio cambia tutto: in Cahors il Malbec è austero e tannico, mentre in Mendoza diventa opulento, solare, con freschezza data dall’altitudine. In questo blend il malbec si affianca a cabernet sauvignon e tannat, per dare complessità e longevità.

Siamo in Uco Valley, cuore della viticoltura argentina, a oltre 1.300 metri di altitudine. Siamo a circa 33° di latitudine sud, nel cuore delle Ande, dove il sole intenso e le notti fredde scolpiscono il carattere del malbec. L’altitudine è la chiave: più si sale, più il malbec acquista freschezza e finezza. Le vigne di Uco Valley sono tra le più alte al mondo per la viticoltura di qualità. Qui il clima è secco, con 3.000 ore di sole all’anno e forti escursioni termiche. I suoli sono alluvionali, con argilla e calcare, perfetti per vini di grande struttura e acidità. Il vento Zonda, proveniente dalle Ande, contribuisce a mantenere le vigne sane e a concentrare gli aromi.

Bodega Séptima, parte del gruppo Codorníu, è una delle cantine più innovative della regione. La Gran Reserva nasce da vecchie vigne, vendemmia manuale con tre selezioni in vigna e maturazione di 18 mesi in barrique di rovere francese.

Nel calice è rosso rubino profondo con riflessi violacei. Al naso esplode la forza delle Ande: frutti neri maturi, violetta, carruba, cacao e spezie scure. Il palato è una sinfonia di potenza e freschezza: tannino vellutato, corpo imponente, acidità che slancia il sorso e lo rende vibrante. Finale lunghissimo, con ritorni di frutta e note balsamiche. Un vino che non si limita a raccontare Mendoza: la celebra con energia pura.

Sorprese finali: due vini che sfidano le regole

Oltrepò Pavese Rosso Riserva Cavariola 2015 - Bruno Verdi (Italia)

L’assaggio è stato alla cieca, per tutti – Luisito incluso – con un obiettivo: capire se dai tanti profumi e caratteri varietali riuscivamo a indovinare almeno il vitigno. Dopo i primi sentori, la certezza: è un grande vino. Le ipotesi sono volate alte: dall’Italia qualcuno ha chiamato a gran voce il Brunello e quindi il sangiovese grosso, altri il nero d’Avola, e abbiamo persino escluso i grandi delle nostre terre come il nebbiolo. Solo alla fine è arrivata la conferma: siamo in Oltrepò Pavese, e in questa nostra terra il nome che tutti avevamo in mente era uno solo: il Cavariola di Bruno Verdi.

Il cuore di questo vino è un blend di croatina e barbera, due vitigni che raccontano l’Oltrepò Pavese: la croatina porta colore intenso, tannino e note di frutta nera; la barbera aggiunge freschezza e acidità. Sono varietali che, pur condividendo marcatori comuni, cambiano volto in base al territorio: qui, nel cuore della Pianura Padana, intorno al 45° parallelo, dove il clima temperato favorisce rossi di struttura e freschezza, si esprimono con potenza e struttura.

Nel Cavariola la filosofia è chiara: qualità senza compromessi, con ossigenazione lenta in stile bordolese. Il cru più prestigioso di Bruno Verdi, prodotto solo nelle annate migliori, con rese basse e affinamento lungo.

Rosso rubino fitto con riflessi granato, quasi velluto liquido. Il bouquet è profondo e stratificato: cioccolato fondente, carruba, fiori secchi, prugna matura, tè nero, con sfumature di chinotto e cola. Emergono note terrose e di sottobosco, accenni affumicati e speziati che ricordano il grande stile bordolese. Il sorso è potente ma elegante: tannino levigato, freschezza viva e una persistenza interminabile che lascia in bocca ricordi di frutta scura e spezie. Un vino che non si limita a raccontare l’Oltrepò: lo eleva a icona.

Maury 20 ans – Mas Amiel (Francia)

Il protagonista è il grenache noir, vitigno che ama il sole e regala vini generosi. La firma varietale frutto maturo, calore, dolcezza naturale. Ma in Maury, nel cuore del Languedoc-Roussillon, questo vitigno diventa qualcosa di unico grazie alla tecnica del vin doux naturel: un vino dolce fortificato che nasce dal mutage, l’aggiunta di alcol durante la fermentazione per preservare gli zuccheri.

Siamo nel sud della Francia, vicino ai Pirenei, a circa 42° di latitudine nord, con clima mediterraneo e venti asciutti che concentrano gli aromi. Una terra di contrasti: colline scistose, clima caldo come nel Sud Italia, ma con il Mistral che asciuga le vigne e preserva la sanità delle uve. Le vigne di Mas Amiel sono allevate ad alberello, esposte al sole e al vento. Dopo la fermentazione in cemento e il mutage di 30 giorni, il vino riposa un anno in bonbonnes au soleil, piccole damigiane lasciate all’aperto, e poi vent’anni in grandi botti di rovere da 350 hl. Una pratica antica che concentra aromi e struttura.

Colore mogano brillante, denso come velluto liquido. Il naso è un mosaico di aromi: frutta sotto spirito, cacao amaro, spezie dolci, con tocchi di liquirizia e scorza d’arancia candita. Il sorso è caldo e avvolgente, con dolcezza mai stucchevole, bilanciata da una vena sapida che dona tensione. Persistenza interminabile, con ritorni di frutta secca e cioccolato fondente. Un vino che è pura meditazione: vent’anni di sole e silenzio racchiusi in ogni goccia.

Non solo piacere: queste serate sono geografia liquida. «Ogni calice è un racconto. Sta a noi leggerlo con attenzione».