Dall’antipasto al dolce. A cena con la Nocciola Tonda Gentile di Langa

L’Alta Langa e le sue famose nocciole protagonisti della rassegna SENSO, guidati dai sommelier Davide Garofalo e Alessandro di Venosa, in compagnia della Confraternita di Tutela e valorizzazione di un’eccellenza italiana.

Susi Bonomi

Ci si stupisce ogni volta quando AIS Milano propone un intero menu dedicato a un solo prodotto, dall’entrée al dolce, passando attraverso tutte le declinazioni che questo può offrire. Questa è la volta della Nocciola Tonda Gentile di Langa (NTGL, d’ora in avanti), la migliore nocciola del mondo, quella più ricercata dall’industria e dalla pasticceria, ma che trova una collocazione anche nella cucina “salata”, con un ritorno alle origini.

Siamo a Cortemilia, in provincia di Cuneo, cittadina della Val Bormida di origine romana, là dove il nocciòlo e la vite convivono da sempre, in una delle zone più povere del Piemonte la cui economia, basata sull'attività commerciale, artigianale e industriale, ha trovato la sua grande fortuna nell'agricoltura. Cortemilia è la capitale della trasformazione della nocciola inizialmente tostata e commercializzata da una piccola azienda, Casa Fratelli Caffa, che a metà nell’800 forniva tutte le tavole di Casa Savoia.

Poco distante Torino, capitale del cioccolato, si trova a dover far fronte all’embargo che Napoleone aveva imposto al blocco continentale e che vieta l’importazione di cacao dall’Inghilterra, principale fornitrice d’Europa di fave grazie ai suoi possedimenti oltreoceano. Così, come spesso succede, il bisogno aguzza l’ingegno e la produzione del “cibo degli dei” cambia ricetta grazie al pasticciere Michel Prochet che prova a sostituire parte del cacao con le nocciole finemente tritate, elaborando la ricetta di quello che diventerà noto come gianduiotto. Prodotto per la prima volta dalla nota società dolciaria torinese Caffarel e presentato al pubblico durante il carnevale del 1865 dalla maschera torinese Gianduja, da cui prende il nome, fu subito un grande successo.

Iniziano così a nascere le grandi case cioccolatiere piemontesi, ma è con la Ferrero, fondata ad Alba nel 1946, che la richiesta di nocciole di Alta Langa decolla. Grazie alla tenacia di Giovanni Ferrero, che offre alla popolazione del luogo ormai allo stremo e decisa a migrare verso la grande città per lavorare in fabbrica, la possibilità di rimanere noelle Langhe a patto di piantare noccioleti e fornirgli la materia prima di cui ha bisogno nel proprio stabilimento. Tanto è l’attaccamento al territorio e alle sue genti che, non solo predispone un servizio di autobus per andare a prendere gli operai a casa, portarli nello stabilimento a lavorare e riportarli indietro la sera, per consentire loro di lavorare nei campi, ma addirittura concede loro lunghi periodi di ferie pagate durante il periodo di raccolta delle nocciole.

Tutto questo lo apprendiamo dalla viva voce di Ginetto Pellerino, Gran Maestro della Confraternita della Nocciola Tonda Gentile di Langa, costituita nel 2000, che ha come scopo il recupero, la valorizzazione e la promozione delle antiche tradizioni dell’Alta Langa e dei suoi prodotti tipici al fine di contribuire allo sviluppo socio-economico-culturale del territorio. Con lui sono presenti altri membri della Confraternita che indossano il caratteristico mantello color nocciola con bordi verdi e il collare con medaglione del marchesato di Cortemilia: Giacomo Ferreri, Vice Gran Maestro; Giovanna Burdese, Cerimoniera e Maestra di Credenza; Laura Spini, ambasciatrice e sommelier di AIS Milano.

Dopo la lunga introduzione - che ci ha messo un gran appetito - iniziamo a immergerci nella tradizione con una entrèe di Crostino ai cereali con crema di NTGL, acciughe e cacaoaccompagnato da Champagne Brut Premier Cru Noir Tentation di Raineteau Grimet. La crema spalmabile di nocciole con acciughe altro non è che un’antica ricetta della Val Maira, lembo di terra in provincia di Cuneo, famosa per le acciugaie. Nonostante si trovi in montagna, questa valle è stata famosa in passato per il commercio delle acciughe: durante la stagione estiva gli uomini partivano per la Liguria per rifornirsi di acciughe, le conservavano e le commercializzavano nell’entroterra rifornendo Piemonte, Lombardia, Emilia. Nel piatto troviamo una rivisitazione dell’antica merenda dei bambini che ben si accompagna con il Blanc de Noir, ottenuto da pinot noir in purezza, proveniente da singola parcella. Ottima la liaison dell’acciuga con la nota iodata e un po’ salmastra di questo champagne che apre la cena e scende con piacere.

Proseguiamo con l’antipasto, Gambero rosso marinato, hummus di NTGL tostata e nuvola di bufala che accompagniamo con un Langhe Rosato DOC Birbetta 2018 dell’Azienda Vitivinicola Canonica. Appassionato del mondo del vino di Alta Langa, Lorenzo Novelli, enologo e sommelier, ha iniziato a lavorare in azienda con il suocero, Cesare Canonica, sindaco e amministratore comunale di Torre Bormida per 50 anni, morto da un paio d’anni fa lasciando l’azienda nelle mani della figlia Emanuela e del genero. La cantina produce vino biologico su un terreno di proprietà di 2 ha gestendo in totale 12 ha di vigneto in affitto o comprando l’uva da altri viticoltori della zona.

Il Langhe DOC rosato, ottenuto da nebbiolo in purezza da uve acquistate, ha un colore affascinante che si ottiene da una notte e mezza giornata del mosto a contatto con le bucce, in pressa sotto N2, raffreddata con CO2 secca. Dopo la pressatura, ottenuto il mosto fiore, si mette in vasca condizionata a 8°C; sfecciato e illimpidito fa una fermentaziogne lunga di 1 mese e mezzo a 13°C.

Il nebbiolo è vitigno versatile, quasi “condannato” a invecchiare, a evolvere per esprimere al meglio la sua nobiltà, ma nella fermentazione sprigiona una profusione di profumi di frutta fresca, come la pesca, che non si ha mai occasione di cogliere. Lo facciamo con Birbetta (dedicata a Ludovica, la figlia di Lorenzo, la cui impronta di una mano decora l’etichetta), una versione rosata del nebbiolo, conviviale, croccante e leggiadra, di una dolcezza e un’acidità garbata, proporzionata.

Passiamo al primo piatto con una proposta culinaria che prevede un risotto: Carnaroli al sedano verde, gel di camomilla e NTGL in abbinamento a un Orvieto Classico Superiore DOC - Lunata 2017 - Tenuta Le Velette. L’Orvieto è un vino millenario, apprezzato dagli artisti del ‘500, ma che oggi versa in cattive acque pur essendo un prodotto straordinario. Come spesso accade il problema è da imputare a una gestione del marketing obsoleta e a un Disciplinare di produzione troppo permissivo. Le Velette è un’azienda storica che fa vino da prima dell’Unità d’Italia: il padre degli attuali proprietari è stato colui che, negli anni ’50, ha creato uno dei primi consorzi a tutela del vino tipico di Orvieto e che ha poi portato a istituire la DOC.

Ottenuto dalla più storica area di produzione, frutto di un uvaggio di grechetto, procanico, malvasia, drupeggio e verdello, con un tocco di sauvignon blanc che si percepisce al naso, è un grande vino per la tavola: umile, versatile, che si presta a tantissimi abbinamenti anche nella versione con residuo zuccherino da abbinare, per esempio, alla cucina etnica. Le note vegetali particolarmente spiccate e anche un po’ pungenti di ortica, nepetella, aneto, entrano in consonanza dialettica con il sedano presente nel risotto. Dotato di un corredo floreale, agrumato, e un po’ amarognolo, di albedo di pompelmo, è un vino ricco, con un bel potere calorico, ma al tempo stesso dotato di ottima sapidità e mineralità - dovute anche ai terreni vulcanici su cui i vitigni sono coltivati -, una bella spinta acida e una spiccata propensione gustativa.

Con il secondo piatto ritorniamo a un abbinamento territoriale che suscita subito scalpore: Rana pescatrice, zuppetta di NTGL, crescione e salicornia abbinata a Dolcetto d’Alba DOC - Surì Vignazza 2017 - Azienda Vitivinicola Canonica. La storia del dolcetto in Alta Langa merita un approfondimento che ci racconta, ancora una volta, Lorenzo Novelli. Nella prima metà del ‘900, periodo in cui imperversavano le grandi malattie come fillossera, peronospera e oidio, il nocciòlo, pianta più robusta della vite, la va parzialmente a sostituire nei terrazzamenti dell’Alta Langa. Poi, come avviene spesso, l’abbandono prende il sopravvento e solo negli ultimi anni si è deciso di riprendere la coltivazione del dolcetto che in Val Bormida beneficia di un habitat ideale, anche grazie alla presenza di terreni calcarei-marnosi esposti a sud. Oggi sono quattro i produttori che hanno scommesso sulla ripresa di questo vitigno, in una terra dove non è più di moda, portando avanti con fatica e tanta passione la coltivazione del dolcetto sulle terrazze della Val Bormida, una tradizione che rischiava di scomparire, ora tutelata - insieme al vino stesso -, da un Presidio Slow Food.

Lorenzo è uno dei quattro “cavalieri” del dolcetto. Lo coltiva in biologico con inerbimento, adottando il sovescio ogni 2-3 anni per apportare azoto al terreno. Rispetto all’imperiosità del Dogliani o all’austerità di quello di Ovada, questo dolcetto non ha particolare struttura ma sicuramente sfodera personalità ed eleganza. Vino leggiadro, soave, pulito, dalla grandissima bevibilità, scorrevole e dinamico in bocca. Le note vegetali di ravanello, geranio, bulbo di fresia arrivano al punto di convergenza con la salicornia e il crescione nel piatto; segue un fruttato gentile di susine, ciliegie e una florealità di glicine. È un vino cadenzato, con una musicalità in bocca, una merlettatura con un’impuntura acida che ha una certa metrica. Irrora la bocca di freschezza, di fragranza ed è l’ennesima dimostrazione di come il dolcetto sappia mettersi a disposizione della tavola anche con la pescatrice, pesce dalla trama fin troppo serrata e leggermente grasso.

E prima di passare al dolce, un momento di commozione per Giuseppe Conte (sì, proprio un omonimo!) fedelissimo delle cene di Senso a cui non è mai mancato neppure una volta. Con sua grande sorpresa riceve dalle mani della delegata di AIS Milano, Francesca Provenzi, un meritato attestato di partecipazione accompagnato dagli applausi degli astanti.

La cena volge al termine con il dessert: Terra di cacao e NTGL, melanzana e caffè, accompagnato da un classico Ron Zacapa Ediciòn Negra che rende tutti molto soddisfatti.

Insomma, una cena che ha risvegliato la curiosità di molti che d’ora in avanti andranno alla ricerca della nocciola più buona del mondo e sapranno trovarla, ad esempio, presso Nocciole d’Elite® a Cravanzana o da Altalanga Bio, ad Alba, le due aziende che hanno fornito la materia prima per i deliziosi piatti realizzati con maestria dall’Executive Chef del Westin Palace Hotel, Augusto Tombolato, e dalla sua squadra a cui va il nostro sentito ringraziamento.