Di quando il Montepulciano d’Abruzzo di Emidio Pepe attraversò le stagioni
Racconti dalle delegazioni
22 ottobre 2024

Sandro Sangiorgi, uno dei più importanti critici enologici italiani, è stato ospite di AIS Monza e Brianza per una serata emozionante, dedicata alle sessanta vendemmie di Emidio Pepe, festeggiate con una degustazione sensoriale, assolutamente unica.
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«Il vino è un mezzo straordinario, strano, per viversi la realtà, per viversi la propria vita. E il vino di Emidio Pepe, sin dal 1964, in particolare il montepulciano d’Abruzzo - ma poi dopo alcuni anni anche il trebbiano - hanno rappresentato questo mezzo, questo mezzo formidabile per esplorarci». Esordisce così Sandro Sangiorgi, gettando il seme di una serata che si annuncia fuori dal comune, a partire dai vini in degustazione, selezionati in modo da poter restituire non solo la figura del produttore e il suo lavoro, ma anche il cambiamento dei tempi e del clima.
“Ustì”, chi è costui?
Forse nessuno meglio di Sangiorgi può guidarci nell’universo di Emidio Pepe, avendone già nel 2014 raccolto i ricordi e le gesta nel libro Manteniamoci giovani – vita e vino di Emidio Pepe. La storia di Pepe è quella di un semplice contadino d’Abruzzo: nasce il 27 luglio del 1932 e il suo nome è Agostino, Ustì nel dialetto di Torano Nuovo, ma all’anagrafe - per una bizza del segretario comunale - viene registrato come Emidio. Il padre, e ancora prima il nonno, vinifica le uve di terzi per fare un vino da uso domestico. Negli anni Sessanta, per la precisione nel 1964, a questo giovane contadino - con la quinta elementare e senza studi di enologia o viticoltura - venne l’idea di imbottigliare il “suo” vino con le uve delle “sue” colline, un terroir allora sconosciuto. È convinto di poter fare dei vini eccellenti, vuole dimostrare al mondo che il montepulciano d’Abruzzo può invecchiare e rivelare il suo carattere e la sua eleganza.
Oggi è indiscutibile affermare che i vini di Emidio Pepe siano una leggenda del mondo enologico italiano, ma non è sempre stato così. Nel corso degli anni si scontrò con tutti coloro che sostenevano - Regione Abruzzo compresa - che il montepulciano fosse un vitigno da bere giovane, non adatto all’invecchiamento, incapace di sopportare lo scorrere del tempo. È così che questa storia ha assunto sempre più il sapore di qualcosa di epico, visto che proprio il vino e il tempo hanno dato ragione a Emidio. Lui è andato avanti con costanza e passione, supportato dalla bontà di ciò che stava facendo e di come lo stava facendo: voleva fare vini di altissima qualità, che fossero soprattutto genuini, senza utilizzare sostanze chimiche né nel vigneto né in cantina.
Continuità e tradizione
Pepe ha sempre messo al centro del suo lavoro i valori della tradizione e del rispetto per la natura. Le sue vendemmie sono frutto di pratiche biologiche e biodinamiche, che ha adottato ben prima che diventassero comuni. Dal 1964 a oggi, il metodo di vinificazione in casa Pepe non è cambiato: trebbiano e montepulciano vengono vinificati e affinati in vasche di cemento vetrificato, poi imbottigliati senza chiarifiche o filtrazioni, motivo per cui nella fase di invecchiamento può formarsi un deposito. Una parte delle bottiglie è messa sul mercato e una parte viene conservata nella cantina d’invecchiamento e sarà rilasciata come Riserva solo nel momento in cui la famiglia deciderà che sarà pronta.
Le sessanta vendemmie di Emidio Pepe non solo segnano una carriera straordinaria, ma rappresentano anche un tributo alla vinificazione autentica e alla resilienza delle tradizioni italiane. Il suo lavoro continua a ispirare enologi e appassionati di vino, ricordando a tutti l’importanza della pazienza, della passione e del rispetto per la terra. Oggi, le figlie e i nipoti di Emidio continuano la sua opera nel solco della sua eredità.
La degustazione con Sandro Sangiorgi
Descrivere la degustazione di questa serata sarebbe incompleto senza raccontare qualcosa anche di Sandro Sangiorgi: filosofo del vino, educatore, critico e formatore, fondatore della rivista Porthos - punto di riferimento per gli appassionati di vini naturali e di qualità - ha influenzato in modo significativo la cultura del vino e l’arte della degustazione sensoriale. Attraverso i suoi corsi, seminari e degustazioni, Sandro spinge i partecipanti a sviluppare un legame profondo e personale con il vino.
«Il vino è vivo! È una forma d’arte che si esaurisce e che trasforma il nostro gusto, è un’esperienza emotiva personale per esplorare ciò che amiamo».
E quindi ci prepariamo - seguendo i consigli di Sangiorgi - a metterci in una condizione di dialogo e a lasciare che il vino ci parli: «nessuno ha l’obbligo di riconoscere fiori, frutti erbe, perché tutto quello che ognuno di noi sente in un vino, c’è. Alla fine ci si potrà confrontare e aiutare, perché c’è in fondo una grande diversità nell’economia dell’esperienza personale».
Trebbiano d’Abruzzo – 2020
Il primo vino in degustazione accompagna un arancino ripieno di risotto alla monzese: accostamento molto appropriato. La crosta croccante dell’arancino lascia spazio alla morbidezza e alla dolcezza del riso che si sposano con le note di frutta e fiori secchi del trebbiano. Il vino è elegante, maturo «con un’anima ancora sotto controllo. Spontaneo, va lasciato esprimersi, senza briglie, accettando quello che dà». È un vino “overture” che ci dispone ad accogliere l’arrivo della batteria tanto attesa di montepulciano d’Abruzzo.
La degustazione prosegue, i vini sono serviti a bottiglie coperte. Si spengono le luci, solo una candela resta accesa per osservare un po’ più da vicino la limpidezza del colore del vino. Avvolti dalle musiche di Andrea Laszlo De Simone, passano in un baleno venticinque minuti, di silenzio e note. A tu per tu con sette calici, ripensando ai consigli di Sandro e cercando di metterli in pratica: «Il vino va trattato con delicatezza! Rinunciate al vortice, fate entrare l’aria, ma non frullate il vino… date una prima lettura del colore e poi eventualmente una valutazione alla fine, dopo che si è bevuto, per capire bene cosa ci ha raccontato il colore… ma il naso e la bocca sono una cosa sola … non perdiamo mai l’unità… lasciate che il vino sia come è, come ci viene consegnato, più che perdere tempo e consumare energie a pensarlo diverso, godetevi la sua multiformità mentre si apre nel calice, mentre sboccia nella nostra bocca… È il primo assaggio che muove tutto dentro di noi…».
E così è stato. Ognuno dei presenti si è lasciato trasportare dal vino, dalla musica e dal proprio mondo personale e si è messo in ascolto di ciò che ogni calice comunicava, si è confrontato con le emozioni, le sensazioni, le impressioni che nei vini ha saputo cogliere, vivendo questo momento come parte di un’esperienza più ampia.
Al termine Sandro Sangiorgi ha completato questa peculiare degustazione presentando i sette vini che «rappresentano tre mondi diversi, tre condizioni diverse, tre facce di compiuta evoluzione: i primi tre vini sono tra loro collegati, mentre il quarto e il quinto hanno una relazione quasi incestuosa, si appartengono… il numero 5 ha la pazienza del mondo, la pazienza femminile per accogliere tutto quello che il numero 4 gli porta, gli rovescia dentro… il numero 5 è il vino più eclatante, fino all’arrivo degli ultimi due che giocano una partita difficilissima… anche loro si appartengono moltissimo perché si appartengono le annate».
Montepulciano d’Abruzzo – 2003
Per Sandro questo è «uno dei migliori, se non il miglior rosso del 2003 mai bevuto». Il vino che apre la degustazione, è il modello del montepulciano e mette subito in chiaro che questo vino porta con sé sempre un po’ di caffè. Asciutto e fresco. Si sente l’annata calda, ma con un equilibrio «in cui la concentrazione non ha riguardato solo la struttura, ma anche l’acidità e quindi si ha una concentrazione del sapore che non ha escluso nulla, che ha la generosità dell’alcol come uno degli elementi guida, quando lo si lascia il tempo giusto sulla lingua, si sente benissimo, molto piacevole, di aiuto, di contributo al vino».
Montepulciano d’Abruzzo – 1983
Questo vino «è la poesia del vino». Delicato, soave, integro e perfetto ci trascina nella maturità e nella realizzazione del suo ideale di eleganza. «Un vino emotivo che porta in una dimensione fatta di spirito, di spirito alcolico… il profumo mi faceva sembrare di essere nella vasca di vinificazione, di fermentazione, immerso nell’alcol tra la buccia e la polpa che si toccano, con la buccia che cede al liquido, al succo, che sta diventando vino. Uno dei migliori di Pepe che abbia mai bevuto, in una condizione spettacolare con una ricchezza e una concentrazione paragonabili al 2001, paragonabili alle annate di maggiore carica, di maggiore ricchezza, munificenza». Una fiamma che non si spegne.
Montepulciano d’Abruzzo – 2007
Secondo Sangiorgi è forse il meno emozionante della serata, forse proveniente da un vigneto non a tendone. Un vino ottimo, rigoroso, sulla lingua si stende diritto, è meno tattile, meno sensibile. Un vino da seguire nel tempo.
Montepulciano d’Abruzzo – 2020
È il montepulciano da manuale, il modello a cui si ispirano tutte le cantine sociali d’Abruzzo, soprattutto nella zona meridionale. Il naso è pulito, l’approccio è morbido. «È un vino generoso, in attesa di potersi trasformare, che non si sottrae alle proprie responsabilità … ma non propone il suo potenziale di complessità gli serve tempo per ricomporlo, articolarlo, esprimerlo con un altro grado di ricercatezza, di eleganza. Ora lui dà la sua parte generosa, la sua parte calda, concentrata, ricca… Per salvarsi si butta nelle braccia del vino successivo».
Montepulciano d’Abruzzo – 2022
Il secondo vino emotivo della serata. «Siderale, giovane, da lasciare lì per vedere cosa succede». Un vino a cui Sandro Sangiorgi dedica una poesia di Yehuda Amichai:
Lega pure il tuo pianto alla catena e resta dentro di me,
resta dentro con me nella casa a metà di Ruth, sola abita la luce,
si fanno con le tenebre stoviglie di finissimo argento per un’ultima cena
le mie labbra, il tuo capezzolo, due bocche di pesce unite nella notte,
poi la notte fu ricolma di luna più bianca del Kippur,
il tuo pianto ha strappato la catena è fuggito lontano.
Montepulciano d’Abruzzo – 2010
Superata la giovinezza dei due vini centrali, ne affrontiamo due che non hanno né la maturità del 2003 e del 2007, né la giovinezza del 2020 e del 2022. Questo montepulciano del 2010 «è un vino che potremmo definire interlocutorio, nel senso che la sua struttura, la sua bellezza, la sua profondità non sono in discussione. Tuttavia è come se la sua trasformazione abbia cambiato strada… oggi esprime dei profumi che ricordano in parte, e questo è sorprendente e bello, questa interessante ossidazione che si percepisce per esempio nel 1983. Un’ossidazione carezzevole, di un’eleganza non comune, rara. È un vino che consegna intatto il patrimonio del montepulciano».
Montepulciano d’Abruzzo – 2015
Il terzo vino emotivo della serata. Un vino che, chiosa Sangiorgi, vuole dimostrare di essere all’altezza del 2010, un vino potente. Al naso ha una gentilezza matura, di frutta matura. «È il vino più libero della serata, quello più libero di esprimersi come se avesse raggiunto un punto di maturità che chiaramente è intermedio, perché sappiamo che il vino affronterà anche altri anni, altre strade, però lui ha il suo punto di maturità e dice ‘posso permettermi di essere me stesso fino in fondo’ e cosa c’è in fondo, forse solo alla mia bottiglia? Un sentore di buccia di salame andato a male, quello che i francesi chiamano “souris”».
La serata si conclude con il Primo Inno degli Inni alla notte di Novalis e con l’auspicio che quella che Novalis chiama la «Luce giocondissima» possa sempre essere la luce che ogni vino buono ci dà:
Qual mai vivente dotato di sensi
non ama,
sovra tutte le splendide apparenze
dello spazio che intorno gli dilaga,
la Luce giocondissima
con le sue tinte, i raggi, i flutti;
e con la dolce onnipresenza sua,
squillante giorno?
Come la più riposta
anima della Vita,
la respira il cosmo immane
delle insonni costellazioni
che nuotano danzando
in quell’azzurro oceano…