Fascino e potenza nella grandezza dei Blanc de Noirs

Una vivace immersione, con Guido Invernizzi, nel mare degli champagne ottenuti da uve a bacca nera, i Blanc de Noirs. Nel bicchiere sei grandi interpreti di questa tipologia

Mauro Garolfi

Come una bottiglia di spumante che, dopo preparazione adeguata e palpabile attesa, viene stappata con gioia e trasporto in un’occasione da ricordare, così, in un inizio pirotecnico, Guido Invernizzi, spaziando tra George Best e gli adorati Beatles, le Sette Meraviglie del mondo antico e quelle del mondo moderno, prepara un uditorio fervente per stappare un'altra meraviglia della vita dell’uomo: lo champagne. Per l’occasione, quello ottenuto da uve a bacca nera.

In un concentrato di storia, società e cultura generale, dalle prime testimonianze della vitis sezannensis, passando per Giulio Cesare e le sue descrizioni delle abitudini alimentari dei Galli, il viaggio è senza sosta sul sentiero del tempo di questo territorio, che ha saputo diventare, nel corso dei secoli, soprattutto gli ultimi, da terra per lo più di passaggio per vini provenienti dal sud in direzione Fiandre o Inghilterra, ad essere oggi così ricco, prestigioso, blasonato. 

A breve distanza e facilmente raggiungibile dalla capitale francese, la Champagne – una sola vera città, Reims, un “paesone”, Epernay, e tanti minuscoli villaggi di campagna – rappresenta, insieme con la Borgogna, la zona vitivinicola più famosa al mondo. L’etimologia è incerta, forse latina, la campagna felix, cioè fertile, può essere tragga invece origine dal cam pan celtico, ovvero “terra bianca”, con più di qualche ragione, dato il colore dei suoli soprattutto in alcune zone.

Si passa così, nel nostro racconto, dal battesimo di Clovis (Clodoveo), re dei Franchi, ad opera di Saint Remi (San Remigio) a Reims – città che diventa e rimane per secoli luogo dell’incoronazione dei re di Francia -, al Medioevo dei monaci, che, qui come altrove, sono fondamentali per il vino, la sua produzione e la sua diffusione, per affrontare poi il ruolo centrale ricoperto dagli inglesi nella storia del vino francese, qui come a Bordeaux.

Si possono leggere passi della Bibbia (Deuteronomio e Numeri), l’Iliade (diciottesimo libro) e il racconto del vino “titillans atque spumescens” delle nozze tra Cesare e Cleopatra, arrivando ai consigli della Scuola Medica Salernitana nel Medioevo, giungendo agli italici Scacchi e Conforti, per comprendere pienamente come il vino spumante non sia nato in Champagne.

Pure in Francia, la prima bollicina non ha origine in questo territorio, ma risale al Cinquecento ed è la blanquette de Limoux, nel Roussillon, a base del vitigno mauzac.

Vin fou, vin du demon, vino folle, del diavolo, quello con le bolle, per il quale scoppiavano tre quarti delle bottiglie –  almeno fino alla metà del Seicento, quando gli inglesi Mansell e Digby misero a punto e realizzarono bottiglie in vetro scuro e resistenti alle pressioni - era vino peccaminoso, concesso solo ai preti, gustato dai nobili e bevuto con voluttà nei bordelli.

E proprio questo connubio tra vino e religione, fa sì che sia un abate, Dom Pérignon, figura mitica e leggendaria della Champagne, ad essere eretto a riferimento, responsabile di innumerevoli progressi, dalla gestione della vigna, alla selezione dei grappoli, all’ordine e alla pulizia in cantina, al concetto di “assemblaggio”, alla rifermentazione in bottiglia - per citarne solo alcuni - che incarnano un punto fermo nel ruolo di questo territorio per i vini spumanti nei secoli successivi.

Da qui si spazia, in un turbine appassionante, ai giorni nostri, dall’uso delle gyropalette – inventate dagli spagnoli per rendere più comodo e uniforme il lavoro certosino del remuage, alla temperatura di servizio di uno champagne, a studi sul ruolo dell’anidride carbonica come possibile vettore di sostanze chimiche contenute nel vino, che si traducono poi in aromi di bocca. 

Anche qualche numero, oltre alla storia, ci dà la misura dell’importanza dello champagne, di come rappresenti il primo export del vino francese e di come, qualche anno fa, gli Stati Uniti siano stati in grado di sopravanzare, nelle importazioni, il Regno Unito, storico leader in questa particolare voce di mercato. 

Nel parlare di champagne sono necessarie anche alcune informazioni sulle sigle che compaiono sull’etichetta, da RM, récoltant manipulant a NM, négociant manipulant, alle altre, che definiscono da chi è prodotto e commercializzato, per giungere poi allo Special Club, gruppo di RM nato nel 1971, che si è dato regole ben precise da seguire per commercializzare uno champagne sotto la sua insegna. 

Posizione, clima, suolo

In Champagne, il ritirarsi delle acque di un mare presente fino a 70 milioni di anni fa, ha lasciato tracce: la craie, carbonato di calcio, bucherellato, in grado di accumulare acqua e calore, ricco di fossili marini.

Al di là di tante altre variabili, a seconda del tipo di fossile presente nel terreno, possiamo ritrovare poi nel calice evidenti differenze. Così sappiamo, ad esempio, che nella Montagne de Reims e nella Côte de Blancs il fossile caratteristico è la belemnita quadrata, in Vallée de la Marne è il micraster, in Aube l’ammonite dentata.

La Montagne de Reims presenta gesso profondo, la Vallée de la Marne argilla e calcare in uguali proporzioni, la Côte des Bars o Aube marne kimmeridgiane, come a Chablis, mentre Côte des Blancs e Côte de Sézanne presentano gesso affiorante, tanto da essersi meritate il soprannome, in inglese, di chalk plain – pianura del gesso.

Il clima in Champagne è nota dolente. Oceanico continentale, insiste su una zona completamente aperta, non protetta da catene montuose o altro e sferzata in alcuni frangenti dal micidiale vento freddo denominato bise noire. Scene e immagini di stufe in vigna, atte a proteggere le viti dalle gelate, sono piuttosto comuni.

Una delle zone di Francia con meno ore di sole all’anno, vede l’altitudine variare dai 120 m slm della Vallée de la Marne ai 300 m slm dell’Aube. Anche la piovosità varia: l’Aube, particolarmente piovosa, fa parlare gli inglesi di wet champagne – champagne bagnato, mentre in Montagne de Reims si parla di dry champagne - champagne asciutto. In estate il rischio grandinate è forte e quando queste si presentano pregiudicano i raccolti, quando non li rovinano completamente.

Anche questa variabilità e questa sostanziale fragilità concorrono a definire cura e maniacalità dei produttori come necessarie, ma anche prezzi alti ai vari livelli della filiera dello champagne.

Zone e vitigni

Abbastanza equamente suddivisi per ettari vitati, i tre grandi vitigni della Champagne vedono la predominanza del pinot noir con il 38%, seguito dallo chardonnay e dal meunier, con il 31% ciascuno.

Meno di un punto percentuale è appannaggio di vitigni “minori”, quali arbanne, petit meslier, pinot blanc, pinot gris, alcuni dei quali riscoperti di recente, soprattutto in Aube, dove si affiancano a pinot noir e chardonnay.

Mentre quest’ultimo è dominante in Côte des Blancs e in Côte de Sézanne, è la Montagne de Reims il regno del pinot noir. Vitigno dal grande blasone, ma “capriccioso”, “dispettoso” dalla pianta al bicchiere. Poco produttivo, ma in grado di raggiungere vette di qualità eccelsa. Molto probabilmente nato da viti selvatiche della Borgogna preromana, è genitore o progenitore di tante varietà d’uva, tra cui, ad esempio, syrah, gamay e chardonnay.

Celebre nella storia del pinot noir e per il suo affermarsi, la figura di Filippo l’Ardito, duca di Borgogna che, nel suo ducato, nel 1395, decise il suo dominio totale nei confronti del gamay, definito “infame”.

Dal colore instabile e dal numero non elevato di terpeni, si caratterizza per una grande nota di frutto rosso, una notevole potenza espressiva e per la sua capacità di dare, nelle opportune condizioni, eccellente qualità. In Vallée de la Marne ha un posto di rilievo il meunier, vitigno che dona in genere morbidezza, velluto, rotondità a vini che solitamente evolvono più rapidamente rispetto a quelli ottenuti da pinot noir.

La degustazione

Champagne “Les Riceys” Brut SA – Alexandre Bonnet
Marne giurassiche kimmeridgiane; clima semicontinentale; altitudine 250 m slm; selezione di diversi pinot nero; età media delle vigne 30 anni; vendemmia manuale, perfetta maturazione delle uve, raccolta per trie; pressatura soffice; débourbage (decantazione statica a freddo); malolattica svolta naturalmente; basso contenuto di solfiti; leggera filtrazione a freddo; almeno 36 mesi di permanenza sui lieviti; 3 g/L residuo zuccherino. Pinot noir 100%.   

Paglierino vivace con sfumature leggermente ramate, finissime bollicine e numerose catenelle. Croccante di piccolo frutto rosso, ribes, mora, mirtillo, lampone, il naso è nitido, cesellato su un fragrante floreale e fruttato e sentori di panificazione, mollica di pane. Sorso pulito, caratterizzato da evidente sapidità; di corpo discreto e grande persistenza. Elegante.

Champagne Select Réserve Brut SA – Roger-Constant Lemaire 
Da suolo argilloso-calcareo; malolattica non svolta; acciaio; nessuna filtrazione, nessuna chiarifica; almeno 48 mesi di permanenza sui lieviti; 7–9 g/L di residuo zuccherino. Meunier 100%.

Dorato pieno, dal pérlage fine e persistente. Naso evoluto e d’impatto, è complesso nell’incastro di profumi variegati, dal frutto rosso macerato, ciliegia, alla scorza d’arancia, all’arancia sanguinella, virando sulla pesca noce, il pinolo, la frutta secca e note quasi mielate. Evolve su sentori di pâtisserie, panettone e croissant, per chiudere con ricordi di sottobosco, funghi e castagne. Gusto pieno, in cui la nota alcolica è perfettamente gestita. Di grande corrispondenza gusto-olfattiva, è completo, di corpo, vinoso, a definire un quadro dalla marcata piacevolezza di beva.

Champagne Grand Cru Ay Loiselu Extra Brut 2018 – Christian Gosset
Da un’unica parcella di vigna del 1963; terreno argilloso-siliceo-gessoso; fermentazione alcolica in barrique nuove e usate da 228L; malolattica svolta; 40 mesi sui lieviti; 1 g/L di residuo zuccherino. Pinot noir 100%.

Oro rosa antico dal fine pérlage. All’olfatto finezza ed evoluzione, in un ventaglio di profumi, da accenni di ciliegia sotto spirito, sottobosco, funghi, frutta secca, noci, a sentori mielati, torrone, poi effluvi di erbe officinali essiccate e un ricordo balsamico per tornare sul fungo e sul legno bagnato nel sottobosco. Una carbonica ben disciolta impreziosisce un sorso completo, giocato su aromi di spezia dolce, leggero boisé, lievi tostature, tabacco e dulce de leche. Lunghissima persistenza a suggellare un quadro di perfetta corrispondenza gusto-olfattiva e piena, strepitosa, armonia.

Champagne Grand Cru Verzenay Brut 2015 – Guerin et Fils
Fermentazione alcolica in acciaio; malolattica svolta; minimo 72 mesi sui lieviti; almeno 6 mesi in bottiglia dopo la sboccatura; 7 g/L di residuo zuccherino. Pinot noir 100%.

Dorato accennato. Naso di fieno, paglia, sottobosco, fungo e tartufo, prato bagnato, erbe aromatiche, ricordi di rabarbaro e caramella alle erbe di montagna; evoluto e complesso, chiude su note di austera nonché timida boulangerie. Grande freschezza alla beva, croccante negli aromi di ribes e mora. Elegante sapidità in impressionante e magnifico equilibrio tra morbidezze e durezze. Lunga persistenza a definire un profilo potente, dalla muscolatura ben cesellata.

Champagne Gran Cru Ay Cuvée Blanc de Noirs Brut 2015 – Henri Goutorbe
Maturazione solo in acciaio; malolattica svolta; 9 g/L di residuo zuccherino. Pinot noir 100%.

Oro rosa, bollicine fini, numerose, persistenti. Profilo olfattivo giocato su frutta secca, noce, miele, torrone, arachide, poi piccolo frutto rosso ed erbe officinali essiccate, genziana, erbe alpine. Dal nitore impressionante, rivela sentori di pâtisserie, fetta biscottata e confettura di fichi. Sorso fresco e sapido, quasi agrumato, con aromi di ribes non particolarmente maturo. Di notevole persistenza, chiude su mallo di noce.

Champagne Premier Cru Avenay-Val-d’Or Blanc de Noirs Brut Nature SA – Gabriel-Pagin Fils
Maturazione solo in acciaio; 36 mesi sui lieviti; 24 mesi in bottiglia dopo la sboccatura. Pinot noir 100%.

Dorato con leggere, tenui sfumature ambrate, dal finissimo pérlage di bollicine numerose e persistenti. Naso verticale e tagliente, definito da noci e spezie, curry e agrume candito. Complesso, completo, mielato con ricordi di crema catalana e poi di piccolo frutto rosso macerato. Fresco e decisamente sapido, ma di una sapidità non prevaricante, sebbene imponente, giocata su aromi di alghe marine, ricordi di mare, di sale e minerali marini, poi souvenir di fetta biscottata.

Si chiude così, tra gli applausi prolungati e scroscianti, una serata in cui è stato esplorato il mondo dello champagne, in una specifica veste in particolare, quella dei vitigni a bacca nera, e con la consapevolezza che, come sostiene Thierry Gasco, ex Chef de Cave di Pommery, per dare vita a grandi bollicine, tre elementi, tra gli altri, sono quelli che hanno il peso maggiore e più determinante: terroir, histoire, passion…e non c’è bisogno di traduzione per capirsi, in certi casi.