Foradori: territorio, biodinamica e tradizione familiare

Racconti dalle delegazioni
18 febbraio 2025

Foradori: territorio, biodinamica e tradizione familiare

Un viaggio nel territorio e nella filosofia di Elisabetta Foradori, tra teroldego e nosiola, con la guida d’eccezione di Andrea Gualdoni, Miglior Sommelier d’Italia 2024.

Maria Luisa Costa

La Delegazione AIS Cremona-Lodi ha organizzato un evento esclusivo a Crema, dedicato alla viticoltura d’eccellenza. Protagonisti della serata, Elisabetta Foradori e Andrea Gualdoni, Miglior Sommelier d’Italia 2024, capaci di condurre i presenti in un percorso sensoriale e culturale di rara intensità.

Il Trentino vitivinicolo si distingue da anni per autenticità e rigore espressivo e l’azienda Foradori ne è un esempio emblematico. Situata nella Piana Rotaliana, l’azienda ha saputo raccontare il territorio attraverso il teroldego, vitigno autoctono che, grazie a Elisabetta Foradori, ha trovato nuova linfa vitale. Inoltre, il percorso dell’azienda si intreccia con un’evoluzione profonda che va ben oltre la viticoltura tradizionale, arrivando alla biodinamica come filosofia di vita e di lavoro.

L’incontro è stato un’occasione per approfondire un percorso di ricerca, passione e trasformazione, raccontato attraverso i vini in degustazione. Un racconto che affonda le radici nella terra, nella sua fertilità e in un approccio agricolo rispettoso, capace di rivoluzionare non solo l’azienda, ma anche la comunità agricola e il paesaggio circostante.

Teroldego e nosiola: due identità del Trentino

Il Trentino è una terra di contrasti e di straordinarie biodiversità viticole. Tra i suoi vitigni più rappresentativi, il teroldego e la nosiola emergono come due facce di una stessa medaglia: il primo, un rosso potente e radicato nella tradizione, il secondo, un bianco raffinato e in via di riscoperta. Entrambi profondamente legati al territorio, questi vitigni raccontano una storia antica, fatta di tradizione, evoluzione e, negli ultimi decenni, di una nuova consapevolezza produttiva.

Il teroldego, vitigno a bacca rossa simbolo del Trentino, è coltivato soprattutto nella Piana Rotaliana, un’area alluvionale tra i fiumi Adige e Noce. Il nome potrebbe derivare da "Tiroler Gold" (oro del Tirolo), segno del prestigio che lo accompagna da secoli. Citato ufficialmente già nel 1383, ha radici medievali e una parentela genetica con Lagrein e Marzemino, legandolo alla viticoltura alpina. Dopo il declino causato dalla fillossera nel XIX secolo, è stato recuperato tramite selezione massale. Grazie a produttori come Elisabetta Foradori, dagli anni ’80 ha riconquistato fama internazionale con un approccio qualitativo più rigoroso.

La nosiola, unico vitigno autoctono a bacca bianca del Trentino, è oggi coltivata su meno di 40 ettari. Il nome richiama il suo caratteristico aroma di nocciola (nosela in dialetto). Predilige le colline della Valle dei Laghi e i dintorni di Trento, su suoli morenici e calcareo-argillosi. Il clima, mitigato dall’Ora del Garda, ne favorisce la lenta maturazione, esaltandone freschezza e acidità. Documentata sin dal Medioevo, è usata per vini secchi e per il Vino Santo Trentino. Minacciata dall’affermazione di vitigni internazionali, è stata salvaguardata da piccoli produttori e oggi riscoperta grazie all’interesse per i vitigni autoctoni.

Dalla tradizione alla biodinamica: la svolta di Elisabetta Foradori

La storia dell’azienda Foradori è legata indissolubilmente a Elisabetta, che a soli vent’anni si trovò a gestire la tenuta di famiglia, portando avanti un vitigno allora poco considerato: il teroldego. «All’epoca le varietà locali erano state dimenticate, il mercato si concentrava sui vitigni internazionali. Ma io ho sentito il bisogno di recuperare un’identità, di un contatto diverso con la terra, di ridare valore a una terra che meritava rispetto”, racconta Foradori​.

Prima però seguiva un modello più convenzionale, focalizzato sul recupero del teroldego e sulla selezione massale delle viti. Ma mancava qualcosa. La vera rivoluzione arriva negli anni ’90, grazie all’incontro folgorante con la biodinamica. «Non si trattava solo di cambiare metodo di coltivazione, ma di trasformare l’intero organismo agricolo, di ricollegare la terra all’uomo. L’agricoltura industriale ha scisso il contadino dalla terra, ma in realtà dovrebbero essere un’unica cosa» spiega la produttrice trentina. Questa trasformazione non è stata priva di ostacoli: «Mi guardavano come quella che faceva cose strane» racconta con una risata che tradisce anni di determinazione, «ma quando vedi la terra che riprende vita, le piante che rispondono, capisci che sei sulla strada giusta». Inoltre, «Il passaggio alla biodinamica non è stato solo una scelta agronomica, ma un’evoluzione interiore, una necessità di ristabilire un legame più autentico con la natura – continua. È un viaggio che non finisce mai, un processo di continuo apprendimento» rievocando il momento in cui ha deciso di rivoluzionare il proprio approccio alla viticoltura​, sottolineando come la biodinamica abbia restituito centralità all’osservazione e all’ascolto della natura​.

La biodinamica ha portato Foradori a sperimentare affinamenti in anfore di terracotta – le tinajas – per valorizzare al massimo il legame tra il vino e il suo terroir. Un approccio che ha rivoluzionato lo stile della cantina, dando vita a vini dal carattere autentico, profondamente espressivi.

Dal convenzionale alla biodinamica: un cambio radicale

C'è una rivoluzione silenziosa nei vigneti di Foradori, dove ogni filare racconta una storia di coraggio e innovazione. Mentre il sole accarezza le viti di teroldego, i vecchi pergolati trentini - testimoni di secoli di tradizione - stanno lasciando spazio al più snello sistema guyot. Non è stato un addio facile alla tradizione, ma una scelta dettata dall'amore per il vino e dalla volontà di esaltarne l'essenza. Come un sarto che modella con precisione il suo tessuto, il guyot permette alle mani esperte dei viticoltori di "cucire su misura" la gestione di ogni pianta, orchestrando con maestria la danza della maturazione.

Ma il cuore della tradizione continua a battere forte nei vigneti di nosiola. Qui, le antiche pergole resistono orgogliose, come nonne sagge che proteggono i loro nipoti. Sotto la loro ombra protettrice, i grappoli maturano con pazienza, al riparo dalla furia del sole estivo, custodendo gelosamente i segreti di un'arte millenaria.

«La vera magia, però, accade sotto i nostri piedi. Il passaggio alla biodinamica ha risvegliato l'anima sopita della terra. Ho visto subito una reazione», sussurra Foradori con gli occhi che brillano, come chi ha assistito a un piccolo miracolo. I preparati biodinamici e i sovesci hanno trasformato ogni vigneto in un universo brulicante di vita. È nato così un organismo vivente e pulsante, dove nulla è lasciato al caso e tutto è interconnesso in un abbraccio naturale. Una sinfonia perfetta dove la terra, le piante e l'uomo collaborano in armonia.

Un lavoro a quattro mani: il ruolo di Emilio

Negli ultimi anni, l'azienda ha vissuto una transizione generazionale. Il lavoro in cantina è passato sempre più nelle mani di Emilio, figlio di Elisabetta. Il dialogo tra madre e figlio si traduce in vini che mantengono la visione originaria, ma con una sensibilità moderna, attenta alla territorialità e alla sostenibilità.

«Sono annate fatte a quattro mani, un percorso condiviso, abbiamo lavorato insieme e ci siamo anche divertiti a creare queste espressioni del territorio con la mia esperienza e la sua precisione. Io vado d'istinto, lui è più metodico. È proprio questo dialogo tra due approcci diversi che rende i nostri vini speciali." confessa lei, “è bello vedere come queste due anime si incontrino nei vini»​, ha raccontato, sottolineando come il confronto tra due visioni diverse abbia arricchito il processo produttivo. Il loro lavoro ha contribuito a definire con maggiore precisione le espressioni territoriali dei vini Foradori, puntando su purezza e profondità. L’utilizzo delle anfore per l’affinamento, il rispetto dei cicli naturali e l’idea di un vino che sia espressione autentica del luogo sono principi che continuano a guidare l’azienda.

La degustazione: tra verticali di Teroldego e l’eleganza della Nosiola

La degustazione è stata un viaggio nell’essenza più autentica del territorio trentino. A guidare la serata, con enorme entusiasmo, è stato Andrea Gualdoni, che per la prima volta ha vestito i panni di relatore. I partecipanti hanno avuto modo di esplorare l’evoluzione del Teroldego attraverso una straordinaria verticale delle etichette Sgarzon, Morei e Granato, oltre alla delicata raffinatezza della Nosiola.

  • Vigneti delle Dolomiti IGT – Fontanasanta Nosiola 2018

Nosiola 100% 

Un bianco che sfida il tempo, vinificato sulle bucce in anfora per otto mesi. Annata caratterizzata da un’estate calda e asciutta, con vini di grande concentrazione. Andrea inizia con la descrizione “Il colore dorato, brillante e molto luminoso introduce all’olfatto un bouquet complesso di frutta gialla matura, sfumature agrumate, di limone, pompelmo ma anche delicatamente floreale e vegetale, ricordando rispettivamente i fiori di camomilla e la felce di montagna e nocciola, anice e finocchietto, con un sottile richiamo balsamico. Un naso per niente scontato” spiega. Al gusto è piacevole, gioca tanto fra acidità e sapidità, “un centro bocca che richiama la frutta, ricco di struttura, e un tannino finemente integrato e di grandissima persistenza” racconta.

Sgarzon

Il termine "Sgarzon" significa "tralcio" nel dialetto locale anche se ad Elisabetta piace chiamarla “la vigna spettinata, nervosa”. Le viti di questo vigneto beneficiano di un clima più fresco, che conferisce al vino una particolare freschezza. Il suolo è di origine alluvionale con prevalenza di sabbia. La fermentazione e l'affinamento avvengono in anfore (tinajas) spagnole per otto mesi a contatto con le bucce, esaltando la diversità del Teroldego. La verticale dello Sgarzon rivela l'evoluzione di questo Teroldego coltivato su suoli sabbiosi. Tutti accomunati da una trama tannica fine e un'acidità piacevole.

  • Vigneti delle Dolomiti IGT – Teroldego Sgarzon 2019

100% teroldego

Un colore rosso rubino intenso e un leggerissimo riflesso amaranto. “Questa 2019 ha poco da dire,  urla nel calice, è di una bellezza disarmante” racconta Andrea Gualdoni; gioca all’olfatto su frutti rossi che sono acidi e freschi, una nota di succo di melograno e ribes nero. La parte floreale ed erbe balsamiche spiccata, note di spezie soprattutto pepe bianco. Lo Sgarzon è un vino rosso di buon corpo e grande eleganza. Al gusto “un vino molto espressivo, nervoso che dimostra tutto il potenziale e le sfaccettature di questo vitigno, succoso, dinamico, con tannini fini e buona acidità”.

  • Vigneti delle Dolomiti IGT – Teroldego Sgarzon 2018

100% teroldego

Annata calda. Questa 2018 enfatizza le intense note fruttate ed una struttura piena e robusta, ma vellutata all'assaggio. Vino straordinario che sta crescendo in complessità nell'invecchiamento. Di un colore rosso rubino brillante. All’olfatto arriva subito la nota di frutti rossi, in particolar modo la ciliegia, lampone e mirtillo rosso, seguiti da profumi di viole fresche e note balsamiche che si aggiungono al frutto. Coltivato nel clima fresco delle Dolomiti, nella parte gusto olfattiva il vino è particolarmente avvolgente, con struttura equilibrata, tannini morbidi e note di spezie.

  • Vigneti delle Dolomiti IGT – Teroldego Sgarzon 2017

100% teroldego

Il 2017, è il più maturo, nella sua verticale. Di un colore rosso granato con leggeri riflessi aranciati. All’olfatto spiccano note terrose, sviluppa sentori terziari di tabacco e sottobosco “molto simile alla 2019 per la parte fruttata, una bacca acida e fresca” ci racconta Andrea. Al gusto intenso, complesso e nervoso, con un finale lungo e pulito. Un vino che esprime bene il territorio sabbioso e freddo.

Morei

"Morei" significa "moro" o "scuro" in dialetto trentino, riflettendo la profondità e l'intensità di questo vino. “Le viti di questo soldatino affondano le radici in terreni alluvionali ricchi di ciottoli, che donano al vino una struttura solida” spiega Elisabetta. Anche in questo caso, la fermentazione e l'affinamento si svolgono in anfore per otto mesi, permettendo al vino di sviluppare una complessità distintiva. 

  • Vigneti delle Dolomiti IGT – Teroldego Morei 2019

100% teroldego

Il 2019 presenta un colore rubino impenetrabile, la parte olfattiva esprime profumi intensi di mora e mirtillo, arancia amara di scorza, una nota netta di violetta e balsamica, mentuccia, note di pepe nero. Al gusto una struttura interessante, torna la frutta rossa, la viola, un tannino appena più accentuato, fresco, evidente acidità e grande persistenza.

  • Vigneti delle Dolomiti IGT – Teroldego Morei 2018

100% teroldego

Il 2018 aggiunge sfericità rispetto al vino precedente. Di colore rosso rubino, all’olfatto si nota subito una frutta matura, fragola, frutti rossi macerati, nota balsamica. Al gusto “il vino è completo e si esprime su ottimi livelli nonostante l’annata difficile” ci racconta Andrea. Ha una buona complessità con note di pepe nero e liquirizia.

  • Vigneti delle Dolomiti IGT – Teroldego Morei 2017

100% teroldego

Il 2017 di colore rosso granato intenso. La parte olfattiva evoca frutti neri maturi, tamarindo, sentori di cuoio e spezie orientali, accenno di tostatura, note di cacao e liquirizia. Al gusto di buona complessità con struttura solida, tannini maturi e lunga persistenza.

Vini di grande profondità, che riflettono le caratteristiche climatiche delle rispettive annate, con variazioni in concentrazione e finezza. La verticale del Morei esprime potenza e profondità. Al palato, tutti mostrano struttura importante ma equilibrata.

Granato

Il Granato è molto più di un vino: è l’essenza più profonda e autentica del Teroldego, un racconto di territorio e tradizione. Nasce a Mezzolombardo, nel cuore del Campo Rotaliano, da tre vecchie pergole che affondano le radici in una terra vocata da secoli alla viticoltura. Il suo nome non è casuale. Deriva dal melograno, frutto antico e simbolico, che condivide con l’uva non solo la provenienza mediterranea, ma anche la bellezza, l’intensità e il fascino. "Da questa unione nasce il nome Granato che ha portato il teroldego nel mondo, un vino nato dall’amore fra me e mio marito", racconta Elisabetta Foradori. Viene eseguita una vinificazione in tini aperti, con una parte di uve intere a seconda delle annate proprio perché c’è una buona maturità anche del raspo. Se un tempo l’affinamento avveniva in barrique, oggi il Granato riposa in botti di rovere da 30-40 ettolitri per circa un anno e mezzo.

  • Vigneti delle Dolomiti IGT – Granato 2021

100% teroldego 

Di colore rosso rubino. Un olfatto intenso, fruttato con nota di succo di mirtillo appena spremuto, di amarena, speziato, si sente l’anice stellato, si lega alla nota balsamica, mentolata e di grafite. Sulla parte gusto olfattiva si riscontra un centro bocca pieno, sferico, risalta molto la frutta, con un piacevolissimo finale, un tannino presente ma equilibrato, un vino sapido, risulta elegante, vino con ottimo potenziale evolutivo.

  • Vigneti delle Dolomiti IGT – Granato 2016: 

100% teroldego 

Di colore rosso granato. Un olfatto intenso, fruttato con nota di ciliegia sotto spirito, frutta rossa matura, arancia, pepe nero, un accenno di tostatura, tabacco, liquirizia, grafite. Sulla parte gusto olfattiva il vino risulta caldo e di una rotondità piena, anche in questo caso risalta molto la frutta, con una piacevolissima persistenza, un vino sapido, risulta elegante ed equilibrato, con una qualità gusto olfattiva ottima e armonica.

Questa degustazione verticale ha dimostrato non solo l'eccezionale lavoro di Elisabetta ed Emilio, ma anche come la biodinamica possa esaltare l'espressione più autentica del territorio e dei suoi vitigni autoctoni.

Guardando al futuro, Elisabetta Foradori ha espresso il desiderio che i valori alla base dell’azienda rimangano saldi, pur lasciando spazio all’evoluzione naturale delle nuove generazioni. “Abbiamo costruito la nostra carta dei valori come famiglia, perché il rispetto della terra e delle persone è la base su cui tutto si regge. È un modo di vivere, non solo di lavorare”.

La sala è rimasta colpita dal modo in cui Elisabetta ha parlato dei suoi vini: non semplici bottiglie da analizzare, ma capitoli viventi di una storia che parla di terra, di scelte coraggiose, di rispetto per la natura. I suoi occhi si illuminavano mentre raccontava il suo percorso, e noi, abituati a concentrarci su note olfattive e analisi gustative, ci siamo ritrovati a riflettere su quanto il vino possa essere un potente veicolo di cambiamento culturale. Quella di Elisabetta è stata una lezione di vita sulla potenza della passione e sulla capacità di sognare in grande, pur mantenendo i piedi ben piantati nella propria terra.