Gattinara e Ghemme, le perle dell’Alto Piemonte
Un viaggio alla scoperta del nebbiolo dell’Alto Piemonte, nei comuni di Ghemme e Gattinara, separati solo dal fiume Sesia, ma in grado di dare il nome a due DOCG dalle caratteristiche distintive.
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Le denominazioni dell’Alto Piemonte, Gattinara e Ghemme, frequentemente citate insieme e non a caso spesso accomunate, rappresentano le grandi aree vinicole piemontesi da nebbiolo alternative alle Langhe.
Alternative e non certo in competizione, poiché qui il vitigno, chiamato localmente spanna, si esprime con caratteristiche completamente diverse rispetto a un Barolo o un Barbaresco. E, come scopriremo durante la giornata, anche tra questi due comuni tra loro confinanti e separati solo dal fiume Sesia, che divide da un punto di vista amministrativo anche le province di Novara e di Vercelli, le differenze sono tante e di rimarcabile importanza.
In un soleggiato sabato mattina, ci ritroviamo in un bel gruppo di 40 persone, alla partenza da Milano, destinazione: Alto Piemonte. La prima tappa della giornata è a Gattinara, presso l’azienda Travaglini. A darci il benvenuto Cinzia Travaglini e il marito Massimo Collauto che ci accompagnerà durante la visita in cantina. Il pensiero di Massimo non può che partire dal ricordo del suocero Giancarlo. Quando cominciò la sua avventura di giovanissimo vignaiolo ventenne, la produzione era molto piccola. A lui si deve la grande svolta del sistema di coltivazione a filari, che andò a sostituire il precedente a maggiorina, tradizionale sistema di impianto formato da tre o quattro viti piantate vicine fra di loro, al centro di un quadrato di circa 4 m per lato, che si sviluppano allungandosi verso i quattro punti cardinali.
All’epoca, questa fu considerata una scelta visionaria, quasi folle, ma il tempo e la qualità dei risultati ottenuti gli diedero ragione. Nei primi anni i sesti di impianto erano caratterizzati da filari piuttosto larghi; poi, Travaglini si rese conto che era necessario infittire il vigneto per aumentare la competizione tra le piante e, conseguentemente, la qualità. Attualmente il vigneto consta di una densità media di impianto di circa 4500 piante per ettaro.
L’altra svolta epocale che si deve a Giancarlo Travaglini fu la creazione, nel 1958, della caratteristica e iconica “bottiglia storta”. Travaglini si rese conto, in un’epoca in cui non era facile reperire i decanter, della necessità di realizzare una bottiglia particolare, da lui stesso progettata, che consentisse una separazione per sedimentazione di un eventuale residuo. Il primo vino messo in questa bottiglia particolare fu quello della vendemmia 1955, e da allora tutto il Gattinara dell’azienda è sempre stato imbottigliato in questo caratteristico contenitore, autentico e inconfondibile marchio di fabbrica.
La realizzazione di un vino da uve nebbiolo sottoposte ad appassimento (Il sogno, uscito per la prima volta con l’annata 2004) era il grande sogno di Giancarlo, ispirato da un viaggio in Valtellina e che purtroppo non fece in tempo a vedere realizzato; l’ultima novità di casa Travaglini è invece il Nebolé, un metodo classico da nebbiolo.
Al termine di una lunga, appassionata e partecipata visita alla cantina e alla bottaia, arriva finalmente la degustazione. Si parte dal più semplice ma perfettamente equilibrato Nebbiolo Coste della Sesia per arrivare a Il Sogno. Un percorso caratterizzato da vini di corpo, dal tannino vibrante, ma mai sopra le righe e con un denominatore comune dato dalle note ematiche e ferrose, tipici marcatori dei vini di Gattinara.
In degustazione
- Coste della Sesia Nebbiolo DOC 2018
- Gattinara DOCG 2015
- Gattinara Riserva DOCG 2013
- Gattinara DOCG 2013 Tre Vigne
- Il Sogno 2011
Dopo raffinato pranzo ristoratore presso il ristorante Villa Paolotti di Gattinara, ci rimettiamo in marcia per la visita del pomeriggio. Il tragitto in realtà è molto breve, basta attraversare il fiume Sesia e rapidamente si arriva nel vicinissimo comune di Ghemme.
È un entusiasta Alberto Arlunno ad accoglierci presso l’azienda Antichi Vigneti di Cantalupo. Alberto non è solo un vigneron, è un vero e proprio custode del territorio di Ghemme, di cui è un profondo conoscitore e un instancabile narratore. «In quella parte di Africa in collisione con quella piccola porzione di Europa chiamata Valsesia, c’era un grande vulcano fossile, attivo fino a 280 milioni di anni fa, ormai spento: il supervulcano. A Varallo troviamo la camera magmatica; lungo la Sesia, per 25 chilometri, c’è il camino; a Gattinara e a Boca la caldera, con i porfidi».
In Valsesia si è in presenza una gran varietà geologica, tra rocce del Monte Rosa, della Valsesia, africane e quelle dei tre strati del supervulcano. Qui, il nebbiolo è un po’ diverso da quello di Gattinara: se al di là della Sesia il vitigno si esprime in modo più severo, a Ghemme lo stile è invece più borgognone, maggiormente teso verso note di finezza ed eleganza. Entriamo quindi nella cantina interrata, letteralmente scavata nel porfido. È l’infernot, il cuore dell’azienda, dove avanziamo lentamente in fila indiana, uno dietro l’altro, stando ben attenti a non picchiare la testa! In questo piccolo angolo di paradiso riposano le bottiglie dei grandi vini di Cantalupo, pronte per uscire sul mercato quando sarà arrivato il loro momento. Perché, come sottolinea Alberto, «il tempo di stazionamento in vetro è un po’ come l’università, ma guai a non avere fatto prima un buon liceo, ossia un imprescindibile passaggio in legno».
Risaliti in superficie e giunti in un’ampia ed elegante sala degustazione, arriva il momento di scoprire la finezza del Ghemme nei nostri calici. La degustazione parte da un interessante metodo Charmat da uva nebbiolo per poi entrare nel vivo con due annate del celeberrimo Collis Breclemae e chiudere poi con Abate di Cluny.
In degustazione
- Spumante Brut Mia Ida
- Ghemme DOCG 2011 Anno Primo
- Ghemme DOCG 2011 Collis Breclemae
- Ghemme DOCG 2007 Collis Breclemae
- Colline Novaresi DOC 2011 Abate di Cluny
Pronti per il rientro a Milano, l’ultima sorpresa della giornata ce la fa di nuovo Alberto, che sale sul pullman a salutarci ricordando, a noi che veniamo dal capoluogo lombardo, che i vini di Ghemme nel XV secolo piacevano a Francesco Sforza, il quale ne acquistò ben 25 plaustre (approssimativamente l’equivalente di 20000 bottiglie dei giorni nostri). Ma il gemellaggio storico tra Milano e la Valsesia non finisce qui. Sempre da queste parti – prosegue Arlunno - nel XVII secolo fu trovata la Diatreta Trivulzio, ora esposta presso il Museo Archeologico di Milano, una coppa da vino finemente lavorata e recante l’incisione “bibe et vivas multis annis”, ovvero:
Bevi e vivrai molti anni!!!