Gin, una ricetta tutta da bere
Cos’è il gin? Perché è così di moda? Come si capisce se un gin è buono? Marco Bertoncini e Vanessa Piromallo hanno condotto una serata nella sede di AIS Monza che ci ha aiutato a rispondere a queste domande e a capire un po’ meglio la Gin Craze che stiamo vivendo
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Secondo il Regolamento (UE) 2019/787 «il gin è la bevanda spiritosa al ginepro ottenuta mediante aromatizzazione con bacche di ginepro (Juniperus communis L.) di alcole etilico di origine agricola. Il titolo alcolometrico volumico minimo del gin è 37,5% vol. Nella produzione del gin possono essere impiegate soltanto sostanze aromatizzanti o preparazioni aromatiche, in modo che il gusto di ginepro sia predominante (…)».
Se ne deduce che gli ingredienti fondamentali per fare il gin sono: alcol di origine agricola, bacche di ginepro, acqua, e a piacere, oltre a questi tre elementi possono essere aggiunti altri aromi. Sul mercato, troviamo migliaia di tipologie e sapori, una proposta che non solo si è ampliata esponenzialmente negli ultimi anni ma che ha seguito e spesso indirizzato il gusto, un’onda che abbiamo il piacere di esplorare.
«Il gin è un profumo commestibile, una tela da dipingere a piacere, una ricetta pensata e poi realizzata per dare determinate sensazioni» esordisce Marco Bertoncini, cofondatore di That’s The Spirit e Mosaico Spirits, esperto conoscitore e comunicatore del mondo del gin, dalla sua produzione alla mescita e miscelazione.
Tipi di gin
Compound-Bathtub gin
È un gin la cui aromatizzazione avviene per infusione. Si prendono gli elementi scelti - in gergo (e a breve anche nei dizionari) botaniche - e si procede all’estrazione aromatica nell’alcol. Queste botaniche possono essere fiori, piante, frutta ed erbe, e di recente si sono fatte molte prove con animali, per lo più pesci.
Distilled - Gin distillato
È ottenuto attraverso la ri-distillazione di alcol etilico di origine agricola di qualità adeguata, avente le caratteristiche organolettiche appropriate e con un titolo alcolometrico iniziale di almeno 96% vol., utilizzando i tradizionali alambicchi da gin, in presenza di bacche di ginepro e di altri prodotti vegetali naturali, a condizione che il gusto di ginepro sia predominante; oppure la miscela del prodotto di tale distillazione con alcole etilico di origine agricola di uguale composizione, purezza e titolo alcolometrico. Per l’aromatizzazione del gin distillato possono essere impiegate anche sostanze aromatizzanti naturali e/o identiche a quelle naturali e/o preparazioni aromatiche.
Si tratta quindi di un prodotto che subisce una seconda distillazione per amalgamare alcune botaniche ma che prevede comunque la possibilità di aggiungere altri preparati. Va considerato che la distillazione dà sì persistenza all’estrazione aromatica, ma spesso penalizza l’ampiezza dell’estrazione non riuscendo a portar fuori tutte le particelle aromatiche a causa dell’alta temperatura.
London dry
È obbligatoria una seconda distillazione che comprenda tutte le botaniche, le quali vengono distillate insieme e in questo modo assemblate. Il disciplinare è più rigido, il nome London non va inteso come localizzazione geografica ma come metodo produttivo.
Vale la pena, per completezza, accennare ad altri due sistemi di estrazione delle botaniche e di produzione: la distillazione sottovuoto, che permette di estrarre sostanze aromatiche a temperature molto inferiori rispetto alla distillazione; e l’estrazione a ultrasuoni nella quale gli aromi si estraggono a freddo, sfruttando le onde d’urto causate dagli ultrasuoni a bassa frequenza.
La seconda Gin Craze
Con il termine "Gin Craze" si definisce un periodo della storia inglese, la prima metà del XVIII secolo, caratterizzato da un'enorme crescita del consumo di gin nella società britannica. La bevanda era popolare tra i poveri, specialmente nella popolazione indigente di Londra e l’aumento della sua produzione e del suo consumo è stato in parte causato dalla necessità di finanziare la guerra contro la Francia, vietando l'importazione di distillati francesi e aumentando le tasse sui distillati inglesi. La popolarità del gin era tale che, si è stimato, nel 1733 il consumo di gin legale nella sola Londra era di 47 milioni di litri, corrispondente a circa 53 litri per persona all'anno.
Questo periodo è stato segnato da problemi sociali come povertà, criminalità e instabilità sociale, nonché da questioni di salute pubblica, anche perché il gin era di bassa qualità, spesso tagliato con ingredienti tossici come la trementina, l'acido solforico e l'allume.
La Gin Craze ha portato anche a una regolamentazione più rigorosa sulla produzione e sul consumo di gin, con l'approvazione di leggi come il Gin Act del 1736 e il Gin Act del 1751, che cercavano di limitare la produzione e la vendita di gin attraverso tasse e regolamenti più severi.
Certamente non si può fare un parallelo con la qualità e la quantità del consumo di oggi, eppure è innegabile che da una decina d’anni a questa parte il gin abbia vissuto un notevole aumento della popolarità e della rilevanza come distillato: usato in miscelazione come gin tonic spopola infatti in ogni serata, aperitivo, o chiacchierata tra amici; anche la produzione, i sapori e le tipologie sono aumentate considerevolmente, un po’ seguendo il gusto, un po’ dettandolo, a volte con sperimentazioni ardite.
L'avvento della Gin Craze moderna è stato guidato da diversi fattori. Uno dei primi passi cruciali è stato il lancio di Bombay Sapphire London Dry Gin nel 1987, con un packaging e un marketing che hanno evidenziato la qualità e l'unicità del prodotto. Successivamente, il gin scozzese Hendrick's ha introdotto nuove tecniche di produzione e ingredienti insoliti: il cetriolo e la rosa, aprendo così la strada alla reinvenzione del gin e alla premiumizzazione del settore.
Un altro fattore decisivo è stato l'avvento dello "Spanish Serve" del gin tonic: ovvero un servizio accurato, in un bicchiere balloon, con ghiaccio e garnish specifici, in un dosaggio accettabile e non troppo forte. Di fatto è nata una categoria merceologica che prima non esisteva.
Questa rinascita del gin ha portato a un'esplosione della produzione - negli ultimi dieci anni un aumento del 7% ogni anno -, e un mercato che si prevede arriverà a 20 miliardi nel 2027.
Il governo britannico ha incentivato l'apertura di distillerie di gin per sfruttare il suo potenziale commerciale, portando a un aumento esponenziale delle distillerie in tutto il Regno Unito, in modo analogo ha agito la Spagna che ha fatto massicci investimenti sul Beefeater. L’ondata si è poi spostata in Italia, i progetti di grappa sono onerosi e per alcune distillerie aggiungere un gin alla produzione significa fare “cash flow” in quanto il gin è un prodotto che il consumatore vuole ed è disposto a pagare.
L’idea del gin che fa da spalla ad altri distillati meno di moda è interessante, perché permette di portare avanti la produzione di distillati tradizionali che magari hanno costi più alti (per metodo produttivo, materia prima o invecchiamento) ma meno richiesta, basti pensare alla grappa, allo whisky, a una serie di distillati “locali” che godono di meno fortuna. Cina e Giappone hanno cominciato con ottimi risultati a buttarsi in questo mondo. Secondo Bertoncini la prossima frontiera del gin sarà il Brasile, che lo affiancherà alla produzione di cachaca.
La moderna Gin Craze si distingue per la sua portata globale, l'attenzione al branding e al marketing, e l'innovazione nella produzione che ha generato una vasta gamma di sapori e stili. Questo fermento ha rivoluzionato il mondo del bar e l'atteggiamento dei consumatori verso gli alcolici, con un mercato del gin in continua crescita e una proliferazione di cocktail di alta qualità.
Come capire se un gin è buono?
La parola passa a Vanessa Piromallo, co-fondatrice di That’s The Spirits e Mosaico Spirits, giudice internazionale in numerose spirits competition nonché fondatrice e caporedattrice di ilGin.it, che prova a spiegarci i criteri e i parametri per capire la qualità di un gin e che ci inizia alla degustazione con un monito: non mettere il naso nel bicchiere!
I parametri di valutazione riguardano soprattutto la complessità, l’equilibrio, la durata e la potenzialità di miscelazione. La complessità si riferisce alla ricchezza aromatica al naso e in bocca, l’equilibrio alla piacevolezza di beva, alla riuscita coerenza o contrapposizione tra gli elementi interni al gin e alle parti della degustazione, la durata o persistenza degli aromi è un indice di qualità così come la potenzialità in miscelazione, va infatti sempre considerato che il gin, oggi, è soprattutto consumato in miscelazione.
Nelle competizioni, ci racconta Vanessa, le degustazioni avvengono in gruppo e sono basate sul confronto tra i giudici, il gin è culturale e nelle gare internazionali è importante avere altre chiavi di lettura sui sapori e sulle botaniche; inoltre: il gin viene degustato liscio per capire meglio il prodotto, e tra le categorie viene distinto tra classico e moderno.
Degustazione
I gin sono stati serviti e nessuno di noi ha messo il naso, Vanessa racconta che il metodo di degustazione è diverso da quello cui noi sommelier siamo soliti: tanto per cominciare non esiste un linguaggio condiviso per descrivere i gin, si va per macro categorie: fruttato, speziato, floreale, erbaceo, balsamico… raccontare un gin, suggerisce, è raccontare una storia, anche perché le variabili sono moltissime: il titolo alcolometrico influenza l’espressione aromatica, cambia la base agricola usata, cambiano le botaniche scelte e il sistema di estrazione.
Fondamentale è che si senta il ginepro, la vista non ha particolare importanza e non le si lascia spazio nella valutazione, il profilo olfattivo viene rilevato avvicinando piano piano il naso al bicchiere e l’analisi gusto olfattiva, allo stesso modo, si compie per piccoli sorsi, il primo per “avvinare” il secondo e i successivi per analizzare aromi e sensazioni tattili.
I gin che andiamo a degustare sono didattici, creati appositamente per enfatizzare una macrocategoria e prendere dimestichezza sull’espressione aromatica di determinate direzioni aromatiche, la base di tutti è composta da ginepro e angelica. La degustazione si fa divertente momento di confronto, su alcuni sentori siamo tutti d’accordo, su altre percezioni si spazia qua e là, di gin in gin sembriamo abituarci all’analisi e affiniamo, almeno un pochino, le doti di identificazione, pur sempre ricordando che non necessariamente ciò che si sente è ciò che c’è, i profumi si sviluppano in modo spesso autonomo rispetto alle botaniche scelte per aromatizzare. In sequenza constatiamo le seguenti direzioni: agrumato il primo gin, fruttato - fragola soprattutto, il secondo, che al palato regala comunque un retrogusto floreale. Il terzo ci ha stupiti, chi diceva citronella, chi liquido antizanzare, chi eucalipto… si è rivelato a base floreale, le botaniche più difficili da gestire. Il quarto gin suggeriva legni e babà al rum, si è rivelato essere composto da erbe aromatiche, infine l’ultimo ci ha stupiti per la piccantezza al palato e la speziatura all’olfatto, un riuscito mix di zenzero e pepe nero.
L’esperienza si rivela utile non solo per capire le direzioni aromatiche di un gin, ma anche per testare il proprio gusto personale e identificare cosa ci aggrada di più.
La serata volge al termine, ma dopo tutto questo parlare di gin tonic si brinda proprio con un cocktail, e nel berlo ci si confronta un po’ sul servizio perfetto:
- una parte di gin e quattro parti di tonica (o a piacere più forte)
- tanto ghiaccio, così che lo stesso non si sciolga annacquando il cocktail
- la tonica migliore è neutra, ricordiamo che il gin è una ricetta fatta su misura, toniche insaporite potrebbero far deragliare l’intento di chi quel gin l’ha ideato
- guarniture: vanno limitate per la stessa ragione della neutralità dell’acqua tonica, a piacere qualche bacca di ginepro o del ghiaccio aromatizzato al limone (preparato in precedenza).