Grandi Maison: le colonne portanti della Champagne

Sono solo sfumature quelle che vanno colte per distinguere i grandi vini tra loro. Eppure, ogni dettaglio assume straordinaria importanza nel definire un’identità precisa a ognuno degli straordinari champagne prodotti da grandi Maison e degustati sotto la sapiente guida di Nicola Bonera.

Giovanni Sabaini

Se è vero che l’abitudine del consumatore si sta sempre più spostando verso la ricerca di piccoli produttori e di prodotti di nicchia, è altrettanto vero che l’economia di ogni territorio vinicolo si regge sulle grandi aziende e sull’indotto che sono in grado di generare. Ma sarebbe oltremodo ingeneroso confinare l’importanza delle grandi Maison in Champagne a una mera questione economica; non solo perché i grandi nomi (che piaccia o meno) sono spesso quelli che fanno la storia di una denominazione e ne tracciano il percorso, ma anche perché la qualità dei vini è spesso eguale, se non superiore a quella delle piccole aziende.

La Champagne, oltre a essere la prima denominazione del mondo in termini di fatturato, è un territorio particolare, dove la dicotomia tra grandi Maison e piccoli vigneron è tema sensibile da molto prima che in qualsiasi altro territorio del mondo. E come spesso capita, è il principio di Pareto che ci viene in soccorso per capire il rapporto tra i due elementi in questione: le grandi Maison rappresentano circa il 20% delle aziende e generano circa l’80% del fatturato. Va da sé che i piccoli vigneron generano numeri esattamente opposti. In questo contesto si è creato un equilibrio in cui le due entità hanno ruoli ben distinti: il vignaiolo si concentra sulla cura del luogo e sulla sanità del vigneto, mentre il négociant si impegna per far conoscere il territorio e il vino che ne scaturisce, il tutto nel pieno rispetto delle norme arrivate sino a oggi a seguito di una lunga storia.

Nicola BoneraStoria della Champagne moderna che ha il suo punto di svolta nella rivolta del 1911, quando Maison e vigneron concordano che il prezzo delle uve non dovesse essere più figlio dell’annata, bensì del territorio, e da qui nasce la scala dei Cru. Non bisogna, però, fare l’errore di pensare che la classificazione in Cru sia una decisione obbligata dalla rivolta, perché la realtà è che i motivi della sua creazione sono strettamente legati alla protezione della qualità dei vini della Champagne. È più corretto, infatti, pensare che la scala dei Cru sia una sorta di reazione a un periodo poco proficuo per l’intera regione, che tra il 1907 e il 1910 vive quattro vendemmie particolarmente sfortunate, anche per colpa della fillossera, e decide di ripartire meglio di come si era fermata. Vale la pena ricordare che quando si parla di Cru in Champagne si fa riferimento ad un intero comune (unico caso in Francia). Nello specifico, 17 Grand Cru (per circa 4000 ettari), 42 Premier Cru e 260 Cru.

Un altro degli elementi che hanno portato oggi la Champagne a vivere un momento di grande splendore è la ricerca, principalmente condotta dalle grandi Maison, sulle migliori tecniche di spremitura possibili. Grazie al contributo delle straordinarie presse Coquard, si è arrivati a capire quali sono le frazioni di mosto più indicate per la spumantizzazione e a stabilire che, in relazione a 4.000 kg di uva, la resa deve essere di circa 2.550 litri, pari al 63%, così gestiti:

  • I primi 150 litri vengono scartati in quanto contenenti metalli pesanti, residui dei trattamenti sulle bucce degli acini;
  • I 2.050 litri, per così dire, “centrali”, vengono ottenuti in 3 spremiture, ognuna che dà risultati leggermente differenti per aromaticità e freschezza;
  • I 350 litri finali vengono trattati come mosto da taglio.

Ma a quale scopo? Quello di conservare il giusto livello di acidità e polifenoli, e di decidere cosa si vuole o non vuole estrarre dalle uve con la pigiatura, con l’obiettivo di avere il mosto migliore possibile, con le minori correzioni possibili, per fare la miglior fermentazione primaria e la miglior presa di spuma possibile.

La degustazione

Sorangeron Brut Nature 2018 – Christian Gosset
100% chardonnay, sboccatura 04/2022, Grand Cru, vigna di oltre 50 anni.

Vino parcellaire, ovvero ottenuto da una sola piccola vigna capace di fare un grande vino prima ancora che un ottimo champagne. La veste è paglierina brillante. Al naso è capace di esprimersi in note di mandarino e banana, figlie di uno splendido Chardonnay, e in note tostate derivanti dalla vinificazione in legno. Ottima la cremosità in bocca e finale piacevolmente amaricante.

Gentilhomme 2013 -A.R. Lenoble
100% chardonnay, 20% vinificato in legno, dosaggio 2 g/l, 80 mesi sui lieviti

Alla vista le bollicine sono leggermente più grossolane rispetto al vino precedente, ma si vanno ad alleggerire dopo pochi minuti pur rimanendo molto numerose. Naso esplosivo, di frutta tropicale, scorza d’arancia, olio di argan, fico e uva passa. Enorme per struttura in bocca, sapidità e mineralità dominanti e persistenza infinita, grazie anche ad un retronasale che ricorda un liquore ottenuto da erbe di montagna.

Saint Vincent 2021 - R.L. Legras
100% chardonnay, dosaggio 4 g/l, vigne vecchie

Prodotto solo 2 o 3 volte in un decennio. Paglierino luminoso. Il bouquet olfattivo è da perfetta interpretazione dello chardonnay, grazie alle note che navigano tra il floreale e il fruttato di banana, seppur con un importante spostamento verso toni vanigliati, burrosi e leggermente affumicati. Straordinaria la corrispondenza naso-bocca, pulizia di sorso e perfetto equilibrio morbidezze-durezze insieme ad una incalcolabile persistenza.

Cristal 2014 - Louis Roederer
Pinot nero 60%, chardonnay 40%. 32% della massa fermenta in legno. Dosaggio 7 g/l.

Qualche bagliore dorato si fa spazio in un manto paglierino. Il naso è giocato sulle sfumature della mandorla, il torroncino, il confetto. Bocca semplicemente perfetta, ineccepibile in ogni sua componente, dal perlage cremosissimo alla freschezza che segue il sorso per tutta la sua durata svelando una parte agrumata non facilmente percettibile al naso. L’impressione è che tradisca eccessiva giovinezza, l’evoluzione non potrà fare altro che svelare tutti i lati ancora celati di questo straordinario vino.

Millesime 2012 - Henriot
Chardonnay 54%, pinot nero 46%. Blend di 6 differenti crus, divisi tra premier e grand cru.

Non dissimile alla vista dalle tonalità del Cristal. Naso più complesso e netto, con sentori di frutta a polpa gialla più fresca, ma soprattutto la parte speziata e di erbette del pinot nero che vuole fare la parte del leone. Gusto che rispetta l’olfatto ed evidenzia la predominanza delle note fruttate su quelle da evoluzione del lievito e del legno.

Non c’è e non ci sarà mai un modo preciso per capire se la qualità di un vino abbia un rapporto direttamente o inversamente proporzionale alle dimensioni dell’azienda che lo produce. Noi, però, continuiamo ad indagare con l’aiuto della sempre attiva delegazione AIS di Brescia e della sua impeccabile squadra servizi.