Henri Jayer raccontato da Jacky Rigaux

«Non era predestinato ad essere vignaiolo». È una certezza marmorea la frase con cui Jacky Rigaux sembra voler riassumere la vita del più celebre tra i vignaioli di Borgogna e che dà inizio a una serata memorabile organizzata da AIS Milano: un’intervista, un dialogo ricchissimo tra Rigaux e Samuel Cogliati Gorlier su Henri Jayer e la Borgogna.

Valeria Mulas

Alla ricerca di Jayer

Ci sono storie che solo con lo sguardo rivolto al passato rivelano la loro grandezza; miti che si nascondono tra le pieghe delle mani e che spesso si scoprono solo nel fare del tempo. Così appare la vita di Henri Jayer, l’uomo che a Vosne-Romanée sognava di diventare aviatore e che la Storia (proprio quella con la S maiuscola) mise con le mani nella terra. Fu, infatti, lo scoppio della guerra del 1939 a far naufragare i desideri del giovane Henri. I suoi due fratelli maggiori furono arruolati e fatti prigionieri fino al 1945. La vigna di famiglia non poteva reggersi sulle sole spalle del padre e Henri fu, quindi, chiamato a fare la sua parte.

Giovane brillante e curioso, fu notato da un vicino, il professore e vignaiolo René Engel che chiese il suo aiuto per preparare la sua automobile a gasogeno, una tecnologia che richiedeva un’attenta preparazione per funzionare. Siamo nel 1942 e Engel sta avviando il primo corso di enologia in Borgogna: lo scambio di favori permette a Henri la frequenza delle lezioni a Digione. Con lo sguardo dal futuro ora sappiamo che questi due eventi segnarono il destino di Henri Jayer, che forse avrebbe potuto essere un ottimo pilota, ma di certo fu il più illustre dei vignaioli di Borgogna.

Tra i primi diplomati in enologia, Jayer iniziò a unire il sapere dei libri e degli scambi con Engel al fare in vigna e in cantina. Nel frattempo, il ritorno dei fratelli segnò la sua indipendenza. Nel 1950 arrivò l’occasione, grazie alla vendita di alcune vigne a Vosne-Romanée, in categoria Village. Unico interessato all’acquisto, firmò l’atto notarile per le due vigne Village e un piccolo terreno, chiamato Cros Parantoux, che durante la guerra era stato destinato alla coltivazione di topinambur. La restante parte della vigna apparteneva al Domaine Méo, cui propose di occuparsi dell’intero terreno come mezzadro.

Sono anni di lavoro e di silenzio, in una Borgogna che inizia a produrre grandi quantità di un vino mediamente mediocre, a causa anche di un uso sempre più invasivo della chimica in vigna. Ma Jayer ha una sua strada visionaria, che lo farà diventare leggenda alla presentazione al mondo della prima annata del suo Cros Parantoux nel 1978 (proprio da quelle vigne impiantate nel 1950). Il vino fu accolto con entusiasmo, segnando l’inizio del mito e consacrando Cros Parantoux a Premier Cru.

Risale agli anni Settanta anche l’inizio dell’amicizia con Jacky Rigaux, autore, fine degustatore e formatore dell’Università di Digione, che a Henri Jayer ha anche dedicato il libro “Ode aux grands vins de Bourgogne: Henri Jayer, vigneron à Vosne-Romanée”, ora disponibile anche in italiano edito da Possibilia Editore (Ode ai grandi vini di Borgogna. Henri Jayer, vignaiolo a Vosne-Romanée, Possibilia Editore). Un’amicizia che è cresciuta nel tempo e che solo la morte di Jayer nel 2006 ha interrotto.

Gli insegnamenti di Jayer

Molti sono i vignaioli che si sono ispirati a Jayer e che ne sono stati allievi. Aveva, infatti, tra i suoi pregi quello di non voler tenere segregata la conoscenza: questo ha permesso una diffusione del sapere e del fare che ha contribuito in modo evidente alla rinascita della Borgogna come terroir. Non solo, Jayer credeva fortemente nell’arte della degustazione dando priorità alla bocca come mezzo imprescindibile per la diffusione della conoscenza del vino. Un metodo ancestrale, sostituito solo di recente da quello che parte dall’olfazione, con l’invenzione dell’analisi sensoriale negli anni Sessanta. Questa metodologia è stata seguita anche durante la serata e accompagna, quindi, la descrizione dei vini che abbiamo degustato.

Nel secondo dopoguerra, quando la chimica iniziava a produrre uve perfette, ma vuote e mediocri, Jayer iniziò a farsi portavoce del motto, ora del tutto scontato, «tutto comincia in vigna», fino ad arrivare, negli anni Ottanta del secolo scorso, ad aprire le riflessioni sulla biodinamica.

La messa al bando di prodotti chimici, la potatura maniacale in vigna - per ottenere rese basse e di altissima qualità -, seguita da un’altrettanta attenta selezione della raccolta (fu il primo ad acquistare il tavolo per la cernita delle uve), la macerazione a freddo prima della fermentazione, la diraspatura totale e la non filtrazione sono tutte innovazioni visionarie di una filosofia i cui principali protagonisti sono il tempo, la natura del terroir e l’approccio etico di cura dell’ambiente. A tutto questo si aggiunge l’estrema attenzione alla selezione dei cloni del pinot noir da utilizzare. Fu il primo a individuare, nella selezione clonale e quindi nella ricerca ossessiva basata sul parametro della produzione, una possibile degradazione del vitigno. All’invito lanciato da Jayer per salvare i pinot fin la Romanée-Conti rispose salvaguardando l’espianto fino al 1945 e procedendo da lì in poi solo con le selezioni massali di quelle vigne. Quest’azione congiunta di Jayer e de Villaine, i due vignaioli più celebri di Vosne-Romanée, ha dato ulteriore lustro alla straordinarietà di questo piccolo ma intenso terroir.

La degustazione

Come già accennato, la degustazione dei vini, condotta da Jacky Rigaux e Samuel Cogliati Gorlier, si è svolta seguendo la regola dei primi gourmet (predecessori dei sommelier). Jayer sosteneva, infatti, che il vino fosse, prima che una sostanza odorosa e aromatica, una sostanza tattile, che si mastica e si sente attraverso la bocca, e dove un 20% di “cellule tattili” la rende una valida alternativa alle nostre mani. Cercando di seguire tale approccio abbiamo cercato di gustare il vino “sentendo” la sua trama, la consistenza e la sua energia senza lasciarci influenzare dagli aspetti visivi e olfattivi che tendono, a deviarci e condizionarci rispetto all’organo principale preposto al gusto. «Se vuoi capire un vino e un terroir, la dimensione è la bocca! Sùbito la bocca». Ed è con questo insegnamento di Jayer che ci siamo approcciati ai vini scelti da Rigaux e Cogliati Gorlier tra i vignaioli che hanno avuto rapporti più o meno diretti con Jayer e le cui mani sono state influenzate dal rapporto di amicizia con lui.

Precedono ogni vino degustato, citazioni tratte dal libro Jacky Rigaux e Henri Jayer, Ode ai grandi vini di Borgogna. Henri Jayer, vignaiolo a Vosne-Romanée - Possibilia Editore, 2024 - con i pensieri vivi e illuminanti di Henri Jayer.

«Ma se il vino è sinonimo di sogno e di piacere, ai miei occhi non è mai sinonimo di certezza. Seguendo ciecamente questi “guru del vino” corriamo lo stesso rischio che entrando in una setta: smarriamo la nostra personalità, ci mettiamo in una logica di dipendenza, rinunciamo al nostro gusto e alla sua capacità di essere unico.»

Bourgogne Passetoutgrain Vieilles Vignes 2022 - Bruno Clavelier

pinot noir 90%, gamay 10%

Bruno Clavelier è tra i grandi seguaci che meglio hanno introiettato gli insegnamenti di Jayer. Assaggiamo un vino molto particolare, perché proveniente da un territorio pianeggiante nel fondovalle di Vosne-Romanée, al di là della ferrovia, da cui provengono i vini più modesti e dove è stato ammesso l’impianto di gamay. Siamo comunque nella prima fascia di denominazione Bourgogne, ma con la possibilità di assemblaggio tra i due vitigni. Il gamay dà un vino ordinario sui terreni calcarei di Borgogna, dove è stato conservato in quanto riserva dei vin de soif, vini leggeri destinati agli operai e agli impiegati che ne facevano un alto consumo.

La bocca appare fresca, con una salivazione sul finale che sottolinea questa caratteristica e che ci rivela la capacità di Bruno Clavelier di estrarre un vino di personalità e di grande terroir anche in zone più ordinarie.

«Se il vino ti piace durante l'affinamento in botte e al momento dell'imbottigliamento, allora ti piacerà per sempre! O un vino è buono fin dal principio, oppure non lo diventerà mai!»

Bourgogne Rouge Les Rouges Champs 2022 - Domaine Gérard Mugneret

pinot noir 100%

L’unico vino appena fuori dalla denominazione di Vosne-Romanée arriva dal climat Les Rouges Champs a Flagey-Echezeaux, da vigne di circa 55 anni. Pascal Mugneret, oggi alla guida del Domaine, è un discepolo di Bruno Clavelier. Siamo sempre nella denominazione Bourgogne, ma in un lieux-dit che avrebbe meritato perlomeno una denominazione Village.

Qui la bocca guadagna in concretezza, con una trama più consistente e un “calore” che mette in evidenza la presenza più massiccia di calcare nel terreno. Puro, lungo e dalla grande ricchezza aromatica retronasale.

«Se per l'analista scientifico il vino possiede dei meriti solo a patto che non abbia difetti e sia tecnicamente ben fatto, per il degustatore edonista poco importa un difetto, se dà un grande piacere, intenso e in linea con le sue aspettative.»

Vosne-Romanée Aux Vigneux 2022 - Domaine Gérard Mugneret

pinot noir 100%

L’annata 2022, che fa da filo conduttore a questi primi tre calici, è stata ottima in Borgogna, secondo Rigaux, regalando un grande equilibrio tra soavità e vivacità e per la quale si prevede un andamento simile alla 2002: grande espressività in gioventù, probabilmente una chiusura tra 2-3 anni, per vederla sbocciare nuovamente tra una decina d’anni.

Il vino che degustiamo esce dalla classificazione Bourgogne per entrare in quella Village, con la specifica della vigna, e con una dimensione tattile nuova. Il velluto è la cifra stilistica di questo assaggio, che evolve con una salivazione a metà bocca per chiudere con una parte salina e minerale.

«Un giornalista deve giudicare il vino in base alla sua tipicità e alla sua qualità, prescindendo dalle relazioni personali che ha con il produttore! Questo non accade mai quando la degustazione non si svolge alla cieca.»

Vosne-Romanée 2020 - Maison Joseph Drouhin

pinot noir 100%

Véronique Boss-Drouhin è stata discepola di Henri Jayer e il vino che assaggiamo proviene da uve di Vosne-Romanée e Flagey-Echezeaux. Un calice che inizia a rivelare un movimento di chiusura su sé stesso, più difficile da degustare, e che ci indica la possibilità ancora breve di godere della 2020, prima di dimenticarla in cantina per altri 10-15 anni in attesa di una sua riapertura. In bocca la trama tannica, con la sua risalita gengivale, mostra proprio questo processo di abbottonatura del vino. Finale contratto e meno soave rispetto ai vini del 2022.

«Anche dare un voto al vino è una cosa che mi turba. Il potere di incensare o di criticare che si intestano i giornalisti, facendo leva sui voti, mi indigna. Non dimentichiamoci che ogni valutazione del vino è frutto di un dato luogo e di un dato momento. Si tratta di un giudizio transitorio, che non può pretendere di essere definitivo!»

Vosne-Romanée Les Barreaux 2018 - Domaine Anne Gros

pinot noir 100%

Siamo in una vigna appena sopra il Cros Parantoux. Eppure, risentendo in maniera più importante dell’aria fredda della Combe, rientra in classificazione Village. L’annata 2018 è nella sua fase di chiusura da qualche anno e solo ora mostra i primi segni di un iniziale rilassamento. Le Barreaux è un vino segnato da grande vivacità che comincia a indurre nuovamente la salivazione. Sarà un vino di grande evoluzione, pur nella sua dimensione di Village.