I colori del vino

Nella tecnica della degustazione, l’esame visivo occupa un arco temporale contenuto, ma analizzando attentamente il colore si possono trarre informazioni importanti sul vino. Con Luisito Perazzo impareremo ad interpretarlo per correlarlo al vitigno da cui deriva, al territorio di provenienza e alla evoluzione del vino che lo tratteggia e persino alle tecniche di cantina adottate.

Susi Bonomi

Nella degustazione di un vino almeno tre dei nostri sensi – la vista, l’olfatto e il gusto – sono coinvolti nel delinearne il profilo organolettico e valutare la qualità. La vista è senz’alcun dubbio quello che più si è sviluppato nel corso dei secoli e che oggi, in un’epoca in cui siamo letteralmente bombardati da stimoli visivi, ci viene sempre più facile usare.

Ma facile non vuol dire semplice. E “vedere” non significa affatto “osservare”, come Luisito Perazzo ci insegna attraverso una lezione approfondita sul colore che diviene sempre più complessa e coinvolgente, a partire dalla teoria che di semplice non ha proprio nulla. E scopriremo che non è affatto banale mettere in pratica i concetti illustrati, per l’infinità di domande - dalle molteplici risposte - che ci si deve porre difronte al colore di un vino, prima ancora di poter avvicinare al naso e alle labbra il calice che lo contiene. Ma, se svolto bene, l’esame visivo è in grado di fornirci «dal 20 al 35% di informazioni utili», come spiega Luisito, soprattutto durante un servizio detto paradossalmente “alla cieca”, che in questo caso vuole dire, “a bottiglia coperta”.

Come spesso Luisito ripete durante le sue lezioni, «non siamo dei maghi» e quindi non si tratta di indovinare che vino abbiamo nel bicchiere solo guardandolo, ma di interpretare quello che può rivelarci, fatto salvo che poi, la «verità» si otterrà solo procedendo con l’esame olfattivo e, soprattutto, con quello gusto-olfattivo.

Nel procedere con l’analisi visiva non si devono trascurare, ad es., gli effetti “esterni” che hanno un’influenza non trascurabile sul colore del vino stesso, come la temperatura di servizio, la tipologia di luce (naturale o artificiale, schermata, al neon o a led), l’ordine di presentazione dei vini nonché, ovviamente, la capacità e l’esperienza del degustatore. In particolare, per i vini rossi dotati intrinsecamente di una elevata quantità di materiale colorante, è preferibile effettuare l’esame visivo con luce artificiale, mentre vini bianchi, rosati o spumanti beneficiano della luce naturale che riflette bene la loro luminosità.


Il relatoreMa perché una degustazione alla “cieca” permette di cogliere molti più aspetti di una effettuata a bottiglia scoperta? Perché anche il più abile dei degustatori sarà sempre influenzato da fattori che possono falsare la capacità nell’identificare una cromìa rispetto a un’altra. Fra questi abbiamo il prezzo, il prestigio, la rarità, l’ambiente, le abitudini alimentari, l’esperienza e il giudizio del degustatore, nonché il “prototipo” che questi si è costruito della tipologia, ma soprattutto di “quel” vino. Paradossalmente più si conosce un prodotto o un produttore, più le aspettative e lo schema mentale che abbiamo memorizzato sono così consolidati che i processi percettivi tentano di ricostruire quella descrizione di prodotto che meglio si adatta alle conoscenze e alla memoria, sviluppando "inferenze (ipotesi) inconsce". Per questi motivi è sempre da preferire una degustazione alla cieca che possa svincolarsi da queste influenze interne.

Addentrandosi nella teoria, il colore è la percezione visiva delle varie radiazioni elettromagnetiche comprese nel campo dello spettro visibile che hanno lunghezze d’onda tra i 380 e i 770 nm. Partendo da questo concetto perlopiù “oscuro” alla maggior parte della gente, è interessante capire che vi sono linguaggi differenti a seconda della categoria di persone che ne fa uso. Così, a seconda che si abbia come interlocutore un tecnico o un sommelier, si parlerà di sensazione o valutazione cromatica, costituita da tre componenti. Il primo è la lunghezza d’onda dominante o tonalità (tinta), il colore puro, costituito da un ristretto spettro o singola linea d'emissione all'interno dello spettro visibile. In base a questo i vini si distinguono in bianchi (con 4 sfumature di giallo: g. verdolino, g. paglierino, g. dorato, g. ambrato), rossi (con 4 sfumature di rosso: r. porpora, r. rubino, r. granato, r. aranciato) e rosati (rosa tenue, cerasuolo o chiaretto). Si ha poi la purezza o la saturazione per il tecnico, che si traduce in intensità cromatica per il sommelier, che sta a indicare quanto la tinta si diluisce con il bianco, cioè quanto “scarico” è il colore. Infine si ha la brillanza, luminanza o luminosità che altro non è che la vivacità cromatica per il sommelier.

Dal punto di vista qualitativo i primi due componenti dipendono dal vitigno, dal terreno, dalla maturazione delle uve e dalle tecniche colturali e di cantina, dall’evoluzione, ma anche da “incidenti tecnici” che talvolta portano a nuove interpretazioni dei metodi produttivi che vanno a modificare soprattutto tonalità e intensità rendendo impossibile il “riconoscimento” del vino se non ci si tiene aggiornati sulle “mode” in corso o sui movimenti che hanno luogo in un determinato periodo storico(si pensi, ad es., alla nouvelle vague per Barolo e Barbaresco, che ha creato un nuovo modo di interpretare il vitigno, portando a una contrapposizione tra tradizionalisti e innovatori). Per quanto riguarda, invece, la vivacità cromatica, non c’è dubbio che questa deve essere sempre presente affinché il prodotto possa essere qualitativamente interessante.

Appare ovvio che se nella valutazione di un vino di considera solo il colore, si può tracciare solo un profilo parziale che potrà essere completato solo utilizzando nella degustazione anche gli altri sensi. Ciò sarà tanto più preciso nel caso di vini monovarietali. Nel caso non lo fossero sarà il vitigno “portante”, e non necessariamente quello percentualmente presente in maggiore quantità, ad essere determinante nella valutazione di un vino, poiché sarà quello che meglio si esprime in un determinato territorio, a marcare indelebilmente il vino.

Vini che hanno fatto solo acciaio esaltano il varietale rendendo più semplice il riconoscimento. Il passaggio in botte, grande o piccola, di primo/secondo/terzo passaggio, di legni differenti, con tostature più o meno spinte, andranno ad alterare il colore del vino rendendo sempre più complicato il riconoscimento.

Riassumendo, tonalità, intensità e vivacità del colore in un vino dipendono dal vitigno, dal pedoclima, ma anche dalla resa per ceppo, dalla presenza di muffa, dalle tecniche di cantina e dall’evoluzione in acciaio/botte/bottiglia. In particolare il legno partecipa in modo efficace alla stabilizzazione dei pigmenti. I tannini del legno, - i cosiddetti tannini ellagici -, si combinano con gli antociani conferendo più struttura al vino che manterrà un colore stabile e uniforme. Inoltre, indipendentemente dalla loro origine, i tannini proteggono la materia colorante dall’ossidazione e dalla degradazione e perciò un vino che fa legno evolve più lentamente di uno che vede solo acciaio. Il colore del vino varierà, inoltre, molto più velocemente se la materia colorante è scarsa e se la macerazione è stata breve.


I viniAnche la composizione del terreno incide sul colore del vino: ghiaia, marna, argilla conferiscono più struttura, più polifenoli, più pigmenti alle uve rispetto a terreni chiari, alluvionali, sabbiosi, fertili e umidi. Uve molto colorate si ottengono da terreni in cui c’è presenza di ossidi di ferro e manganese; i vini che si ottengono, oltre ad avere un colore compatto, hanno una spiccata sapidità e tannini più morbidi, meno serrati, più gentili. La maggiore quantità di argilla favorisce l’intensificazione del colore; i terreni calcareo-marnosi conferiscono ai vini colori intensi, profumi persistenti, una buona struttura generale, una ricchezza in alcool, bassa acidità e finezza.

Pratiche di cantina che fissano il colore sono la follatura, l’alcool (che è un solvente), la temperatura e la durata della macerazione, i rimontaggi, l’anidride solforosa e l’utilizzo di vin de reserve e vino torchiato. In particolare i vini naturali che non si avvalgono di solforosa aggiunta sono anche quelli in cui il colore muta rapidamente nel tempo.

Infine, le variabili da considerare sono anche lo stile produttivo, il clima, l’annata, la resa e l’età della vigna.

Perciò, quando osserviamo un vino dobbiamo cercare di ricordarci che dietro l’aspetto visivo ci sono una miriade di variabili che possono intervenire.

Terminiamo la lezione approfondendo l’esame olfattivo e andando ad applicare la teoria alla pratica con la degustazione e l’identificazione di sette vini. Alla fine, quello che tutti hanno capito, è che la prossima volta che osserveremo un vino, lo faremo con molta più attenzione cercando di ricordarci tutte le nozioni che Luisito ci ha trasmesso. Non sarà facile, ed è per questo che l’unico approccio da adottare che ci permetterà di apprendere, sarà continuare a fare degustazioni alla cieca.

Vini degustati:

Soave Classico DOC Calvarino 2016 – Pieropan
(garganega 70%, trebbiano romano 30%)

Alto Adige DOC Chardonnay Vigna Maso Reiner 2010 - Kettmeir
(chardonnay 100%)

Toscana IGT Fontalloro 2011 – Fèlsina
(sangiovese 100%)

Rossese di Dolceacqua DOC Posaù Biamonti 2017 – Maccario Dringenberg
(rossese 100%)

Barbera d’Asti DOC Superiore Nizza Romilda 2007 – Arbiola
(barbera 100%)

Aglianico del Vulture DOC Titolo 2015 – Elena Fucci
(aglianico 100%)

Campoleone 2004 – Lamborghini
(sangiovese 50%, merlot 50%)

Primitivo di Manduria Raccontami 2012 - Vespa
(primitivo 100%)