I Tre TENOri: le voci del vino incontrano il vino che “parla”

Qual è il senso della degustazione Tre TENOri? Non è dedicata a una zona, non ha un unico esperto, potrebbe essere la scusa per assaggiare vini famosi e costosi.

Ilaria Ranucci

Invece il tema c’è, eccome, visto che ogni vino e ogni relatore presenti alla serata sono noti per il loro timbro e il loro carattere, e anche per la loro grande qualità. 

Proprio questo l’obiettivo: far capire cosa vuol dire conoscere e amare davvero il vino, dedicargli la propria vita professionale raggiungendo l’eccellenza. E far capire anche cosa è un vino eccellente, perché la qualità che non ha bisogno di lunghe spiegazioni: ti parla subito, con una forza espressiva che non dipende dalla mera potenza, perché si può essere agili e potenti allo stesso tempo.

È stato bello vedere come molti, ancora impegnati nei corsi o appena diplomati, abbiano preso parte alla serata, chiosa intelligentemente il “tenore” Armando Castagno. Perché serve fissare nella memoria i riferimenti di qualità, e questo richiede l’esperienza diretta attraverso certe referenze non sempre facili da assaggiare.

Per altri versi, una delle note più suggestive, è stato percepire il senso, quasi di comunione, che i degustatori più esperti hanno condiviso nel sentir commentare con trasporto, e da relatori espertissimi, i vini nel bicchiere. Una condivisione di emozione (o di ENOzione).

Nel viaggio di quest’anno siamo partiti da uno champagne che di eleganza, agilità e potenza ha molto da insegnare: la Cuvée Louise di Pommery. A descrivercelo Nicola Bonera, che conosce bene la “allegra leggerezza” dei vini della Maison e anche l’ampio respiro e la freschezza dei terroir di Avize e Cramant. Di pesante c’è solo la bottiglia, formato magnum. Di importante l’annata, l’eccellente 2002.

Sempre 2002, sempre champagne di prestigio, sempre emozionante, ma dal punto di vista gustativo agli antipodi, l’R.D. 2002 di Bollinger. Un vino che mostra come l’uso di legno, la rifermentazione con tappo in sughero e quindi una ragionata, ma non modesta esposizione all’ossigeno, possano tradursi in un vino maestoso, vibrante. Samuel Cogliati tiene a sottolineare come sia importante non avere pregiudizi nei confronti dell’impatto sul vino del legno e dell’ossigeno. Una considerazione, questa, emersa anche in altre degustazioni di Enozioni 2019. E un concetto che difficilmente avrebbe potuto trovare un testimonial migliore dell’R.D., almeno in Champagne.

Il passaggio alla batteria dei bianchi ci sorprende, con vino che Armando definisce “immobile turbolenza”: un naso trattenuto e quasi avaro, un’acqua cheta. Una bocca debordante, potente, espressiva, lunga. Insieme enigmistico e meraviglioso, il Sancerre Clos La Nèore 2012, un toponomastico dei Monts Damnée, di appena un ettaro, che Edmond Vatan e sua figlia Anne interpretano con grande rispetto. Un sauvignon blanc, vitigno non sempre timidissimo, ma pienamente domato dal terroir.

Ha come interprete un grande vigneron, sia pure molto meno introverso di Vatan, l’autore del secondo bianco: Nicolas Joly. A presentarci il suo Coulée de Serrant, annata 2015, Samuel, che da tempo conosce l’uomo e il prodotto. Vino dalla forte personalità, che si presenta già alla vista luminoso e concentrato. Maturo e potente al naso e all’assaggio. Esprime un terroir importante, lo chenin blanc, un vitigno di forte personalità, e un approccio produttivo, la biodinamica, di cui Joly è un noto pioniere.

Solo un riesling, forse, poteva venire in sequenza dopo i due giganti della Loira. Nicola ci presenta quello che è forse il più esclusivo dei riesling alsaziani, il Clos S.te Hune di Trimbach, annata 2008. Proviene da una parcella di 1,67 ettari del Grand Cru Rosacker, che la famiglia Trimbach possiede da poco più di duecento anni: Si «ostina a non volersene andare», unico modo per descrivere un finale importante e davvero lungo, e una struttura opulenta portata con leggerezza. Oleoso, ma non grasso.

Il passaggio ai rossi porta in Borgogna, e precisamente in una vigna, Les Malconsorts, situata accanto a La Tâche, nel comune di Vosne Romanée. Il vino è il Les Malconsorts 2011 di Domaine de Montille. La mano che lo ha guidato è quella di uno dei migliori interpreti della Borgogna, Etienne de Montille, che normalmente si esprime, come il Les Malconsorts conferma, con vini gourmand e vellutati, non sempre accoglienti in gioventù, ma portentosi nell’evoluzione e che non si piegano alle mode del momento. Di «principesca raffinatezza», nelle parole di Armando.

Dalla Borgogna, il passaggio al Bordeaux è facile, con un vino simile nella classicità, nel potenziale di evoluzione e nel contegno. Il Cos D’Estournel 2000, da Saint Estephe, ha «tutto quello che deve avere un grande Bordeaux»”, nelle parole di Samuel. Ci incanta con il suo equilibrio tra opulenza e contegno. Splendidamente austero, e fin troppo giovane nonostante la maggiore età.

Con un poco di dovuto campanilismo e grande orgoglio, Borgogna e Bordeaux lasciano spazio al Barolo, con la carta di un interprete fenomenale, il Monprivato 2009 di Giuseppe Mascarello. Altra espressione di classicità, che Armando definisce “archetipico” e di “debordante personalità”, indimenticabile nei profumi.

A un vino che ha «vissuto il legno e ne è uscito appagato» l’onore e l’onere del finale. Quasi 80 anni per il Rivesaltes Château Sisqueille 1941. Ancora si percepisce la buona maturità delle uve da cui è stato prodotto, in piena Seconda Guerra Mondiale. Ha completamente domato non solo il legno, ma anche lo zucchero, pienamente integrato nel vino. Come ben integrata è l’acidità che, come fa notare Nicola, «non è fine a sé stessa». Un concetto non banale alla luce della moda attuale di considerare un’acidità elevata come un valore a prescindere.

«L’esperienza diretta dei grandi vini è insostituibile», conclude il magnifico trio. Grazie, grazie e ancora grazie!