I vini di Tokaj

La storia, il territorio, la muffa nobile e le cantine storiche: Mariano Francesconi ci guida alla scoperta della regione Tokaji e del “Più grande vino dolce del mondo”.

Gabriele Merlo

 

Ais Milano Tokaj BottiglieLa sua unicità deriva dal fatto che è il vino dolce, ottenuto da uve botritizzate, più antico al mondo ed è prodotto in un territorio che per primo, già dal 1772, ha classificato ufficialmente i propri vigneti, ha ottenuto la denominazione ed è diventato Patrimonio dell’Umanità nel 2002. Il vino Tokaji affonda dunque lunghe radici nella storia e le numerose testimonianze in cui viene citato testimoniano l’importanza di questo nettare e dell’angolo d’Ungheria che lo produce. Il primo documento ufficiale è un atto notarile del 1571 in cui si legge “Assú Szölö Borakhoz”, ossia “vino da uve essiccate”. L’epoca d’oro del Tokaji inizia successivamente, tra il XVII e il XVIII secolo, grazie alla dinastia Rákóczi, principi di Transilvania. Per opera di Ferenc II Rákóczi il vino viene conosciuto e apprezzato nelle corti europee; il condottiero patriota lo utilizza infatti come strumento di diplomazia per ottenere i favori dei regnanti e garantire libertà e diritti per la sua patria. Fu Luigi XIV a coniare la frase “Vinum Regum, Rex Vinorum” e Caterina La Grande creò un comitato che si occupava dell’acquisto e del trasporto del prezioso vino. Ma nubi scure si affacciarono all’orizzonte: prima la fillossera, che distrusse numerosi vigneti, poi il Trattato di Trianon, del 1920, che ridusse il territorio ungherese e limitò la commercializzazione del vino. Il colpo di grazia venne dato dal regime comunista che con la collettivizzazione compromise la sua qualità. Dal 1990 la speranza sembra essere tornata con la liberalizzazione e la privatizzazione dei vigneti, accompagnate da investimenti che hanno permesso il reimpianto di vigne abbandonate ed un deciso ritorno alla qualità.

Mariano Francesconi, Presidente di AIS Trentino, è il portavoce ideale del vino Tokaji; sorridente e preparato, dalle sue parole traspare il grande amore per questo territorio che conosce e visita da oltre vent’anni. Riuscendo a coinvolgere l’attenta platea, ci conduce in una gita virtuale tra i vigneti e le cantine centenarie, attraverso un’appassionante degustazione terminata con il leggendario Eszencia.

Il suo amore inizia dal basso, dalla terra e dal territorio: la Tokaj-Hegyalja. La piccola regione si trova nel nord-est ungherese; punto di confluenza di due corsi d’acqua, Tisza e Bodrog, presenta un microclima ideale per lo sviluppo della muffa nobile. L’umidità necessaria è apportata dai fiumi e dalle frequenti piogge, con la formazione di caratteristiche nebbie, ma viene bilanciata dai venti provenienti dai monti Zemplén e dal terreno particolarmente drenante. Il riscaldamento globale sta tuttavia mettendo a repentaglio anche questo delicato ecosistema, per la conseguente diminuzione delle piogge e quindi minore formazione della botrite. Il suolo è l’altro fattore che rende unici i vini Tokaji: un terreno argilloso e sabbioso, con sottosuolo vulcanico ricco di sostanze minerali.

Questo terroir tipico esplode prepotentemente nel primo vino degustato, ilTokaji Furmint Betsek 2008 di Orosz Gábor, un vino bianco secco ottenuto dal vitigno furmint che ha la capacità di esaltarsi se coltivato in terreni vulcanici, un vero interprete del territorio; profumi di erbe aromatiche, di pesca, fumo e pietra focaia sono preludio ad un assaggio in cui l’estratto e la spiccata acidità tipica del vitigno colpiscono con forza le papille gustative.

Il furmint è il principe dei circa 6000 ettari di vigneti coltivati nella Tokaj-Hegyalja, ma condivide il suo regno con altri vitigni: l’hárslevelü, è il suo complementare e dona ai vini maggiori morbidezze, il sárgamuskotály o moscato bianco, lo zéta, un ibrido tra furmint e bouvier, e altri, molto più rari, come il kövérsz, il kabar e il gohér. Un esempio di vino dolce ottenuto unicamente da uve hárslevelü è stato fornito dal Tokaji Aszú 5 Puttonyos 2002 di Lenkey Pincészet che si presenta di un bell’oro antico con riflessi ramati; al naso offre note dolci di miele di tiglio, albicocca, frutta candita, smalto e botrite, all’esame gustativo si percepisce un grande equilibrio tra morbidezze e durezze.

Ais Milano Tokaj RocceLa vendemmia dei diversi vitigni può durare parecchi mesi, da settembre a dicembre a seconda dello sviluppo della botrite, ed avviene in condizioni climatiche difficili, al freddo o sotto la neve. L’ultima grandissima annata per il notevole sviluppo della muffa nobile è stato il 1993; Mariano Francesconi ha voluto portare in assaggio un vino proprio di questa vendemmia, il Tokaji Aszú 5 Puttonyos 1993 di Pajzos Pincészet. Osservandolo appare di un ramato brillante, anche i profumi che emana sono tipici di un Tokaji maturo: albicocca caramellata, cannella, zafferano, cipria, tabacco, un bagaglio olfattivo stupefacente, in bocca è lunghissimo e ben equilibrato. Durante la vendemmia i grappoli d’uva possono subire destini diversi: quelli sani vengono vinificati per produrre vini bianchi secchi (Száraz Bor), i grappoli solo parzialmente attaccati dalla muffa nobile vengono selezionati per produrre gli Számorodni, letteralmente “così come viene”, un equivalente delle nostre “vendemmie tardive”. I grappoli botritizzati migliori vengono invece raccolti, acino per acino, in diversi passaggi ed andranno a produrre il gioiello di questa terra, il Tokaji Aszú. Una pasta di questi preziosi e durissimi acini viene fatta reidratare nel mosto o nel vino in fermentazione che cede così il proprio estratto e i sentori peculiari. Un tempo la quantità di pasta di acini da aggiungere era determinata riempiendo una gerla di legno, la Puttony, mentre quella del mosto era stabilita utilizzando il Gönci Hordó, una botte dalla capienza di 136 litri in rovere ungherese. Oggi la quantità di acini botritizzati viene calcolata attraverso analisi chimiche, ma va comunque da 3 a 6 Puttonyos, il minimo ed il massimo per legge, e permette la produzione di vini con quantità di residuo zuccherino sempre maggiore che devono essere successivamente affinati in legno ed in bottiglia.

Gli ultimi due Tokaji degustati sono degli esempi di come vini qualitativamente simili sulla carta, possono essere totalmente diversi all’assaggio. Il Tokaji Aszú 6 Puttonyos 2006 di Dobogó Pincészet possiede un bellissimo color oro lucente e all’esame olfattivo si esprime con sentori dolci e giovani di purea di pera, pesca bianca, ananas e canditi; anche l’assaggio è giocato sulle note di una giovanile eleganza. L’altro vino il Tokaji Aszú 6 Puttonyos 2006 di Szepsy István è diverso sin dal colore, tendente al ramato, mentre l’olfatto è giocato su eleganti nuances di albicocca disidratata, pesca sciroppata, spezie, cioccolato e legni balsamici; l’impatto gustativo è potente e di grande complessità, difficile da dimenticare.

A fine serata, nel buio della sala, catapultati dal nostro relatore nelle storiche cantine Tokaji, costituite da più di un centinaio di chilometri di cunicoli ricoperti dal fungo Cladosporium, ecco arrivare l’ultimo bicchiere, il Tokaji Eszencia 2000 Úri Borok Pincészete di Gergely Vince. Il liquido rossastro-ramato contenuto nel calice non è più un vino bensì un dolcissimo sciroppo di uva botritizzata, un puro concentrato zuccherino da 720 g/L di residuo e 0,6% di titolo alcolometrico, ottenuto recuperando, per gravità, la pasta di acini Aszù dal fondo dei tini di decantazione e lasciato riposare per decenni in grosse bottiglie nelle cantine. L’equilibrio è completamente spostato sulle morbidezze, anzi, sulla dolcezza e il suo finale non è lungo, è infinito! In questo modo, con il gusto dell’Eszencia indelebilmente stampato nei ricordi, termina degnamente un’emozionante serata.

 

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