I viticoltori Piwi di Lombardia si presentano

Interesse, curiosità ma a volte anche qualche perplessità quando si parla dei vitigni Piwi: chi meglio di Nicola Bonera e dell’esperienza sul campo di quattro aziende lombarde per approfondire il mondo dei vitigni resistenti?

Stefano Vanzù

Grande affluenza, con oltre 80 partecipanti, all’evento dell’8 Maggio organizzato dalla Delegazione AIS di Bergamo e dedicato alla scoperta dei vitigni pilzwiderstandsfähige rebsorte (Piwi) e dei vini prodotti con questi vitigni ibridi, capaci di opporsi in maniera spontanea a oidio e peronospora, senza quasi la necessità di trattamenti.

Quattro aziende lombarde da vari anni allevano questi vitigni e producono “nuovi” vini estremamente interessanti sia per le loro caratteristiche organolettiche che per alcune particolari tecniche produttive: vitigni e vini raccontati da Alessandro Sala (Presidente dell’Associazione Piwi Lombardia ed enologo titolare dell’Azienda Nove Lune di Cenate Sopra in provincia di Bergamo), Maurizio Herman (titolare dell’Azienda Hermau Vini di Chiavenna, in provincia di Sondrio), Matteo Zanolari (Casa Vinicola Marcel Zanolari di Bianzone, provincia di Sondrio) e dalla Società Cooperativa Agricola Alpi dell’Adamello di Edolo in provincia di Brescia.

Nicola Bonera esordisce chiarendo subito che i vitigni Piwi non sono una moda del momento per attrarre nuovi consumatori bensì uno strumento per risolvere situazioni problematiche, come la proliferazione di funghi nel vigneto, senza ricorrere a fitofarmaci o a ripetuti trattamenti a base di rame e zolfo, che a lungo andare risultano estremamente invasivi sia per il terreno (il rame è un metallo pesante che si accumula nel sottosuolo) che per l’ambiente circostante il vigneto stesso. L’utilizzo di vitigni Piwi consente, in ultima analisi, di lasciare la terra migliore di come, in genere, la si è trovata.

La ricerca sui vitigni resistenti inizia verso il 1880 in seguito all'arrivo in Europa dell'oidio e della peronospora, anche se esistevano già vitigni ibridi: l’idea di base era, ed è ancora oggi, quella di incrociare fra loro specie di vite diverse ma geneticamente affini per ottenere naturalmente dei nuovi vitigni dotati della resistenza ai funghi di alcune specie americane e asiatiche e le qualità organolettiche della vite europea.

Alessandro Sala sottolinea che i Piwi sono vitigni resistenti ottenuti da polline e pertanto non sono OGM, come alcuni, erroneamente, ritengono: parliamo infatti di vitigni intraspecifici, paragonabili, in frutticoltura, alla clementina (ibrido fra mandarino e arancia dolce) ma non a ibridazioni come ad esempio il mapo che è interspecifico essendo ottenuto dall’incrocio fra mandarino e pompelmo. Incrociando specie extraeuropee (Vitis Labrusca, Vitis Riparia...) con la vite europea (Vitis Vinifera Sativa) si ottengono, dopo 7/8 generazioni e centinaia di incroci multipli, in cui i primi ibridi vengono incrociati, in sequenza, con altre specie del genere vitis per ottenere varietà il più possibile simili alla Vitis Vinifera, viti resistenti alle malattie fungine che richiedono trattamenti chimici minimi (magari solo due trattamenti a base di rame al posto di dieci…) o addirittura nulli.

I vitigni Piwi maturi danno uve perfettamente sane da cui derivano vini naturali, il cui gusto varia di anno in anno rispecchiando di fatto l’annata di produzione e che si propongono all’attenzione dei consumatori attenti alle tematiche ambientali e consapevoli che un vino “vero” non può avere ogni anno le stesse identiche sensazioni organolettiche. Secondo Alessandro Sala i Piwi non sostituiranno i vitigni autoctoni ma potrebbero costituire un’importante risorsa per la pratica di una viticoltura non inquinante in zone dove i vigneti sono molto vicini agli insediamenti umani; questo concetto viene ripreso da Nicola Bonera che evidenzia come la filosofia Piwi permetta di arrivare ad una conduzione virtuosa della vigna, evitando in particolar modo l’accumulo di rame nel terreno. Bonera cita un dato preoccupante a questo riguardo: in Europa solo il 3% della superficie destinata all’agricoltura è vitata ma la viticoltura consuma da sola ben il 65% degli anticrittogamici venduti. Inoltre, se consideriamo che alcuni famosi ibridi, come ad esempio il müller-thurgau, sono stati creati per crescere nei climi freddi di Germania e Svizzera, avrebbe senso pensare a vitigni Piwi in grado di adattarsi meglio a climi più caldi come il nostro o in generale a Piwi ottimizzati per crescere in particolari fasce climatiche.

Dal punto di vista normativo, la legislazione della Comunità Europea permette di produrre vini a denominazione d’origine solo da varietà di Vitis vinifera ma, in deroga, ogni stato membro può autorizzare l’impianto di ibridi intraspecifici. Nel nostro Paese alcune regioni hanno autorizzato l’impianto di vitigni Piwi (17 su tutto il territorio nazionale, di cui 7 in produzione in Lombardia e 10 vitigni Piwi in osservazione in Friuli Venezia Giulia) per produrre vini comuni e IGT mentre sono esclusi per ora vini DOC e DOCG.

Per concludere, un accenno a Piwi International, cui aderiscono oggi circa 500 cantine, e a Piwi Lombardia, organizzazione no-profit costituitasi il 19 Novembre 2017 e presieduta da Alessandro Sala: dal sito www.piwilombardia.com leggiamo che “L’associazione si è regolamentata con un ristrettissimo disciplinare che impone la conduzione dei vigneti col metodo biologico oltre a limitare le rese e a comprendere solo zone altamente vocate alla viticoltura” Sollecitate a dovere curiosità e voglia di assaggiare i “vini Piwi”, passiamo poi alla degustazione delle sette proposte della serata.

Magy 2018, uno Spumante Metodo Classico dell’Azienda Hermau Vini di Chiavenna (SO): un dosage zero da uve Piwi a bacca bianca souvigner gries (prevalente), bronner, solaris e johanniter, 11,5% vol., torbido per scelta produttiva (non viene effettuata la sboccatura) e senza solfiti aggiunti. Giallo limone scarico, profumo intenso, lieviti in sospensione ben visibili ed avvertibili al naso, è fresco, fragrante, immediato, piacevole, abbastanza sapido e di ottima bevibilità con una struttura mediamente esile ma densa. Darà il meglio di sé dopo alcune settimane durante le quali si depositeranno i lieviti presenti. Ne vengono prodotte circa 2000 bottiglie l’anno.

Idol 2017, bianco secco della Società Cooperativa Agricola Alpi dell’Adamello di Edolo (BS): un bianco 100% solaris, 13,2% vol., brillante, giallo paglierino con riflessi dorati, al naso è intenso, fine e complesso con aromi di pesca bianca matura, mango, ananas ed una leggera nota di salvia data dal moscato presente nell’incrocio solaris [merzling x ( zarya severa x muscat ottonel)]. In bocca è fresco, morbido, sapido, di ottima beva, da provare in abbinamento a verdure cotte o a formaggi di capra.

310 2017, bianco secco dell’Azienda “Nove Lune” di Alessandro Sala, dove 310 significa 3 vitigni (solaris, bronner e johanniter), 1 vino e 0 trattamenti: meno complesso dell’Idol, è un vino da 12,5% vol, “tondo” ed equilibrato, fresco, di corpo pieno e buona morbidezza, da abbinare ad esempio ad un piatto di filetto di salmone caldo alle erbe.

Vagabondo Bianco 2018 della Casa Vinicola Marcel Zanolari di Bianzone (SO): ottenuto da 15 uvaggi diversi con prevalenza di solaris, 12,5% vol., vinificato in vasca inox, ogni clone è vinificato separatamente e viene assemblato solo dopo la malolattica. Fermentazione senza aggiunta di lieviti. Aggiunta minima di solforosa solo prima dell’imbottigliamento. Non filtrato. Semplice ma gradevole, al naso evidenzia note fruttate e vegetali, in bocca è ricco e gradevole. Da abbinare a carni bianche.

Orange 2017 un Orange Wine (bianco macerato sulle bucce) dell’Azienda Hermau Vini di Chiavenna (SO): 13,5% vol., gewürztraminer (60%) e mix di Piwi per il restante 40%, macerazione sulle bucce per 120 giorni in anfore di argilla dopo circa 20 giorni di fermentazione, affinamento e stabilizzazione a freddo in ambiente esterno durante l'inverno e imbottigliato senza filtrazione. Giallo ramato, al naso presenta note agrumate e sentori di frutta appassita (dovuti alla peronospora che nel 2017 aveva attaccato il vigneto) ma non è dolce bensì secco, sapido, scorrevole. Da provare abbinato ad un’anatra all’arancia.

Rukh 2017 un Orange Wine (bianco macerato sulle bucce) dell’Azienda “Nove Lune” di Alessandro Sala: uvaggio bronner (50%) e johanniter (50%), fermentazione sulle bucce in anfore di terracotta a 17 °C con frequenti follature manuali, 2 mesi di macerazione sulle bucce con controllo della temperatura, dopo la separazione dalle bucce il vino continua l’affinamento per 8 mesi nelle anfore fino all’imbottigliamento. Note agrumate dovute al vitigno bronner, secco, intenso e complesso, sapido con retrogusto leggermente tannico. Vino da meditazione ma anche abbinabile a formaggi saporiti leggermente piccanti, tonno, salmone, anguilla.

Vagabondo Rosso 2009 della Casa Vinicola Marcel Zanolari di Bianzone (SO): 12,5% vol., uvaggio da differenti incroci Piwi (fino a 69) di Pinot Nero e Cabernet, appassimento parziale in vigna vinificazione in vasca inox, macerazione a freddo per circa 7 giorni e fermentazione di 30 giorni. Dopo la malolattica, invecchiamento parziale in anfora di argilla-cemento e barriques di 2°- 3° passaggio. Fermentazione con lieviti naturali. Non filtrato. Rosso rubino carico, al naso sentiamo tanti piccoli frutti rossi aspri e note di spezie, miele, erbe aromatiche e un carattere vegetale dovuto, come nei tagli bordolesi, alle pirazine. Tannino ancora ruvido ma buona succosità, può evolvere ulteriormente. Da abbinare a carni a cottura lunga, stracotti, selvaggina.

Una rapida sintesi delle opinioni emerse durante la degustazione ci permette di individuare un parametro comune a tutti i vini assaggiati, ovvero la scorrevolezza in bocca, comune a tutti i prodotti che è ancora più evidente in particolare nei bianchi secchi, probabilmente in considerazione della relativa giovinezza della viticoltura Piwi che, come da teoria, si esprime meglio all’inizio nei vini bianchi, più semplici dei rossi.