Il Buttafuoco Storico e le sue sottozone. Le ghiaie

Racconti dalle delegazioni
15 dicembre 2023

Il Buttafuoco Storico e le sue sottozone.  Le ghiaie

Guidati dal sommelier Simone Bevilacqua, AIS Pavia ha organizzato un master di approfondimento dedicato a un iconico vino dell’Oltrepò Pavese: il Buttafuoco Storico. Ecco la prima tappa del nostro viaggio per conoscere le caratteristiche dei differenti terroir e gli stili produttivi di questo vino identitario del territorio oltrepadano.

Margherita Bruciamonti

Di “storico” sono rimasti il nome e la tecnica viticola, ma il Buttafuoco Storico oggi rappresenta un’importante realtà produttiva e una grande espressione di un preciso territorio. Il Buttafuoco storico si può produrre in una zona ben precisa, l’Oltrepò Pavese orientale, compresa tra le valli Scuropasso e Versa, divisa in tre sottozone di produzione, che prendono il nome di ghiaie, arenarie e argille.

Attualmente il Club del Buttafuoco Storico, associazione nata nel 1996, annovera 17 vignaioli, proprietari di 20 vigne: ognuno produce il proprio Buttafuoco e nel 2013 è nato anche il progetto di creare un prodotto consortile, che si chiama “I vignaioli del Buttafuoco Storico”. Il primo incontro ha visto la presenza di Davide Calvi, presidente del Club del Buttafuoco Storico, di Armando Colombi, direttore del Club, e Flavia Marazzi, produttrice.

La nascita del Club del Buttafuoco Storico

Dal dopoguerra e fino agli anni ’80, Milano, Genova e le grandi città avevano rappresentato le piazze di maggior commercio per i vini dell’Oltrepò Pavese, con la vendita del vino sfuso in damigiane. Arrivati ai primi a anni ’90, il mercato stava affrontando una grande trasformazione: la richiesta diminuiva in quantità e iniziava a privilegiare la qualità, rappresentata dal vino in bottiglia.

Qualche anno prima la zona piemontese delle Langhe aveva vissuto la rivoluzione dei “ Barolo Boys”,  un vero e proprio cambio generazionale di impostazione della produzione enoica, ed è proprio su questo impulso, spiega Davide Calvi, che nel 1996 un gruppo di 11 giovani produttori si confrontano, si parlano e pensano ad un vino identificativo di uno spicchio di Oltrepò, compreso tra due torrenti, lo Scuropasso e il Versa, fondando il Club del Buttafuoco Storico.

All’epoca non esisteva la DOC Buttafuoco, ma una menzione all’interno del più ampio disciplinare Oltrepò Pavese: venne creata così una sorta di “denominazione privata”, con un disciplinare che oggi può sembrare scontato, ma che all’epoca era molto severo. Nacque un progetto molto ambizioso, con l’obiettivo di creare un vino unico, rappresentativo di un territorio, cambiando completamente l’approccio alla produzione ed aprendo al confronto con il vicino di casa che, da concorrente, diventa un socio: il nome della vigna, se pur collegata al nome del produttore, diviene il fulcro di tutto il progetto, e costituisce anche il nome del prodotto finale.

Le “ricetta” del Buttafuoco Storico

Da sempre coltivate insieme, all’interno della stessa vigna, le quattro uve rosse di riferimento dell’Oltrepò Pavese, croatina, barbera, uva rara e ughetta di Canneto, costituiscono la base del vino Buttafuoco. In questo caso si parla di uvaggio, in quanto le uve vengono raccolte tutte nello stesso momento e vinificate insieme creando nella fermentazione alcolica una sorta di “fusione a caldo”, nella quale ogni uva cede le migliori caratteristiche alla massa finale del vino. Vige un severo controllo nel vigneto per le rese e per il metodo di coltivazione e, all’arrivo dell’epoca vendemmiale, non si possono raccogliere le uve prima che una commissione di campagna, formata da attenti agronomi, abbia stabilito la data di inizio di raccolta.

Il vino è messo in commercio almeno 3 anni dopo la raccolta, deve fare affinamento almeno 1 anno in botti di legno e devono trascorrere almeno 6 mesi dall’imbottigliamento. Davide Calvi, nell’illustrare la bottiglia adottata dal Club, spiega come sia uguale per tutti e particolarmente distintiva per diversi elementi: è di vetro pesante e scuro, adatta quindi ai lunghi invecchiamenti, e di forma che ricorda l’albeisa piemontese, ereditata dalla precedente storia dell’Oltrepò. Nello stemma del Club, pressofuso nel vetro della bottiglia, è riportato il nome Buttafuoco, due nastri – a significare i due fiumi che delimitano questa zona, lo Scusopasso e la Versa, stretti attorno ad un ovale che richiama la botte anticamente utilizzata in Oltrepò, il cosiddetto “ciuf”.

Il prodotto consortile viene creato annualmente grazie all’unione di più vini prodotti dai soci del Club : questo assemblaggio viene curato ogni anno da un enologo differente, incaricato di assaggiare tutti i Buttafuoco del consorzio e di creare la propria ricetta. 

Il Club adotta un bollino di qualità per i suoi vini, rappresentato dal numero di fuochi riportati sul collarino della bottiglia, che vanno da un minimo di 1 ad un massimo di 6, valore per ora conseguito solo dall’annata 2007.

Armando Colombi sottolinea, infine, il preciso stile produttivo a cui si attiene il Club, divenuto un vero consorzio a sé, e l’importanza della storicità della vigna: i nomi che si ritrovano in etichetta, infatti, sono i nomi di appezzamenti e località riportate nelle trascrizioni catastali da decenni, addirittura in alcuni casi sono presenti nei registri comunali già dalla fine del ‘700.

L’origine “leggendaria” del nome

Un breve filmato, che troviamo anche sul sito ufficiale del Club, spiega anche il nome Buttafuoco. Si narra che nella seconda metà del 1800, la Marina Imperiale austro-ungarica varò una nave dal nome “Buttafuoco”. La leggenda vuole che il nome sia in ricordo di una battaglia perduta da una compagnia di marinai imperiali, comandati a operazioni di traghettamento sul fiume Po nei pressi di Stradella e successivamente impiegati su queste colline nella guerra contro i franco-piemontesi.Un vino del luogo ebbe particolarmente successo tra i baldi marinai, i quali, dentro una grande cantina, fecero strage di botti e bottiglie.

Le regole produttive

Simone Bevilacqua ci ha fornito alcuni dati per fotografare questa enclave produttiva, che ha una capacità produttiva di circa 100.000 bottiglie all’anno e che si attiene a regole ben precise: l’appartenenza della vigna alla zona storica di produzione, pratiche colturali virtuose e rispettose del vigneto, la forma di allevamento ascendente, la presenza esclusiva di 4 uve, una precisa data di vendemmia, rigorosamente manuale e con cernita delle uve. E ancora la vinificazione in un unico vaso vinario, affinamento minimo di 12 mesi in botti di rovere e successivo di almeno 6 mesi in bottiglia.

La sottozona Ghiaie

Sono sette i comuni del Buttafuoco Storico: Broni, Canneto Pavese, Castana, Cigognola, Montescano, Stradella e Pietra de Giorgi. La sottozona ghiaie è quella posta più a nord e comprende i comuni di Stradella, Broni e Canneto Pavese.  Qui il suolo si è formato dal disfacimento di roccia madre di origine sedimentaria/fluviale che in seguito a fenomeni di crioclastismo, termoclastismo, abrasioni dell’acqua e abrasioni del vento, è stata successivamente ricoperta  da sedimentazione organica di origine animale e vegetale. Questi terreni danno origine a vini con grande struttura, alcolicità e acidità.

La degustazione

Vigna Casa del Corno 2018, 14.5% -  Giorgi Wines

Il vigneto si trova nel comune di Canneto Pavese ed è composto per il 45% da ceppi di croatina, 45% da barbera, 5% da ughetta e, infine, il 5%  di uva rara. Al naso mostra subito un grande impatto olfattivo di frutta rossa sotto spirito, prugne e ciliegie, seguito da note vegetali balsamiche di eucalipto, mentolo e liquirizia. In seconda battuta emergono note speziate di pepe nero e di cacao, riconducibili all’utilizzo di barrique. In bocca la freschezza della barbera e l’importante tannino lasciano emergere la predisposizione di questo vino al lungo affinamento.

Vigna badalucca 2019, 14% - Azienda Agricola Poggio Alessi

Vigneto nel comune di Broni composto da 50% ceppi di croatina, 25% barbera, 13% ughetta, 12% uva rara. Naso più verticale con note di composta di ribes e frutta sotto spirito. Le note balsamiche ricordano il mirto, la spezia il chiodo di garofano. Il sorso è caratterizzato da un tannino incisivo e da un finale leggermente amaricante, con sentori che richiamano la tostatura del legno.   

Vigna Pianlong 2019, 14,5% - Società Agricola Scuropasso

Vigneto nel comune di Canneto Pavese composto da 50% ceppi di croatina, 25% barbera, 13%ughetta, 12% uva rara .È presente in sala la giovane produttrice Flavia Marazzi, che spiega come la vigna sia stata totalmente reimpiantata negli anni’80 con sistema a giropoggio che favorisce un’ottima gestione idrogeologica del terreno e agevola la corretta esposizione dei filari. La vigna è iscritta al Club del Buttafuoco storico dal 2017. Flavia prosegue spiegandoci in modo appassionato la filosofia della sua azienda, in coltivazione biologica certificata, affermando che: “la coltivazione biologica  dovrebbe essere la normalità, non una cosa da dichiarare in etichetta. Solitamente infatti le indicazioni nelle etichette di qualsiasi alimento riportano l’attenzione a elementi nocivi o negativi dei componenti, mentre qui, per assurdo, si deve dichiarare in etichetta una pratica agronomica virtuosa che salvaguarda il prodotto finale e l’ambiente “. L’azienda ha scelto le vasche in cemento per la produzioni dei vini rossi in generalee non i  contenitori in acciaio, che dal loro punto di vista favoriscono processi riduttivi non voluti, in particolare nella vinificazione della croatina. L’esame visivo della massa colorante è compatto e con riflessi ancora violacei. Si avverte netta la nota floreale di viola e di rosa rossa, seguita dalla componente fruttata di susina ancora fresca. Seguono note vegetali di sottobosco ed erbe officinali. Il sorso propone un tannino ben levigato e un finale si note resinate.

Dopo questi primi tre calici, comprendiamo con chiarezza come la  freschezza presente in questi vini, che ci fa salivare ancora dopo l’impatto della componente tannica, sicuramente molto incisiva, sia sinonimo di un grande potenziale di invecchiamento. La degustazione prosegue con due mini-verticali di due storiche vigne dell’azienda agricola Giulio Fiamberti.

Vigna Solenga 2018, 15,5% 

Vigneto del comune di Canneto Pavese composto da 50% ceppi di croatina, 35% barbera, 5% ughetta, 10% uva rara. Ritroviamo, come per i precedenti campioni, la riconoscibilità olfattiva di fiori scuri appassiti, quali la viola e l’iris, oltre alle composte di ribes, ciliegie candite e alle note balsamiche. Profumi che richiamano il sottobosco e la ghiaia. Al sorso si rivela vellutato, di grande equilibrio, morbido e con aromi di liquirizia pura.

Vigna Solenga 2017, 15.5%

Riscontriamo profumi al naso più densi, che richiamano oltre al frutto nero di sambuco anche note di inchiostro. In bocca abbiamo riscontro di frutta in appassimento che vira al liquoroso, seppur presenti un tannino ancora rugoso e chiuso. Vino probabilmente da aspettare di più nel bicchiere, ma la stessa annata ci fa capire di non essere immediatamente disponibile come la precedente 2018.

Vigna Sacca del Prete 2018,15,5%

Vigneto nel comune di Canneto Pavese composto da 55% ceppi di croatina, 35% barbera, 5% ughetta, 5% uva rara. Le note olfattive distintive della croatina escono a pieno proponendo da subito una leggera riduzione, che lascia immediatamente spazio a profumi fruttati di ciliegia e di marasca sotto spirito, oltre al floreale di violetta selvatica e rosa rossa. La chiusura olfattiva è sulla liquirizia dolce da prima, e una leggera speziatura dolce di vaniglia, lascia spazio ad una seguente  nota ematica. Al sorso richiama il ricordo del boero, con finale persistente.

Vigna Sacca del Prete 2017

Si presenta al naso più aperto, non troviamo la nota di riduzione avvertita nel precedente calice. Non si avverte neanche la speziatura dolce dell’annata 2018, ma una nota di cannella e di dolce. come le glasse a base di zucchero. Anche in questo caso la trama tannica risulta più incisiva rispetto all’annata precedente, ma il finale di bocca risulta elegante e pulito, senza alcuna sbavatura.