Ascoltare Paolo Valente parlare di Dolceacqua, della “sua” Dolceacqua, è così coinvolgente che pare davvero di essere là: lo fa con la delicatezza di chi quel piccolo borgo interno alla Val Nervia – Liguria di ponente, prossima al confine francese – lo vive come casa o forse, ancor più, come il luogo protetto dove rifugiarsi per allentare i cordoni della frenesia quotidiana.
Ci racconta, Paolo, degli albori del borgo, del suo castello e del caratteristico e magnifico ponte e poi, come un’immaginaria salita dalla piazza su su fino alle colline circostanti, eccolo intervallare immagini a delicate e splendide citazioni di due grandi autori liguri: uno, Mario Soldati, noto e poliedrico giornalista, scrittore e quant’altro, fu frequentatore della zona anche e ben oltre quel Vino al Vino che tra noi appassionati si consulta come una Bibbia d’altri tempi; l’altro, Francesco Biamonti, qui nacque – precisamente a San Biagio della Cima, dove la Val Nervia incontra la Val Verbone -, visse e morì al principio del nuovo millennio. Soprattutto, il Biamonti, regalò degli acquerelli di parole che sono un balsamo per i sensi, tanto sono fresche, nitide e candidamente nude le descrizioni che fa di questi luoghi.
In questo cammino della mente, Paolo Valente ci porta fin dentro le vigne, perché le vigne a Dolceacqua ci sono ancora e, sebbene non più come in passato, tuttavia resistono, nascoste, allevate ad alberello, curate come fossero figli a cui dedicare la massima attenzione. E il frutto, quel rossese dall’alta fertilità basale e di precoce germogliamento, fioritura e invaiatura, grazie a un’acidità e una sapidità quasi da bianco e alla delicatezza del suo tannino, sa esprimersi in vino come perfetta cartina di tornasole del territorio da cui proviene.
Il primo a intuirlo, ci dice Paolo, fu Giobatta “Mandino” Cane, che intravide le potenzialità del vitigno, vinificandolo ed esaltandolo in piccoli preziosi numeri tra il 1974 e il 2009. L’ideale testimone è passato ad Antonio “Testalonga” Perrino, vignaiolo garagista che tutt’oggi rende inevitabile un passaggio per Dolceacqua a chi si trovi a passare sull’Autostrada dei Fiori.
Oggi, il Rossese di Dolceacqua, prima DOC ligure (1972), è una realtà stesa nominalmente su 14 Comuni e dedita all’omonimo vitigno (usato in purezza a dispetto di una percentuale minima del 95%), che pur in piccoli numeri – in termini assoluti di bottiglie prodotte - vanta la storicità zonale di ben 33 menzioni geografiche aggiuntive, qui chiamate nomeranze: una in Valle Rio San Luigi, due in Val Roia, quindici in Val Nervia, due a cavallo tra questa e la Val Verbone, dove ve ne sono dodici, e una in Val Borghetto.
Con Paolo, tra letture e aneddoti, arriviamo alla degustazione.
La degustazione
Dolceacqua DOC Superiore Roja 2022 – Roberto Rondelli
Uve provenienti da una vigna allevata ad alberello (9.000 ceppi/ha) nella nomeranza Migliarina, in Val Roia. Vinificazione in piccole vasche con follature manuali, affinamento di 12 mesi in barrique.
Luminoso, chiaro, profumatissimo di viola e ribes, macchia mediterranea, radici e cola. Il passaggio in legno, impercettibile al naso, si fa sentire all’assaggio; sapido, di buona struttura e con una leggera pungenza alcolica. Giovane e intenso, a parere di Paolo «è, e vuole essere, un vino moderno».
Dolceacqua DOC Superiore Barbadirame 2022 - Maixei
Il marchio Maixei è nato nel 2007 dalla Cooperativa Floricoltori Riviera dei Fiori che dal 1985 riunisce numerosi soci in 14 Comuni. Il vino nasce da una vendemmia manuale a seguito della quale le uve vengono selezionate e poste in fermentazione in acciaio, con una macerazione di 6-8 giorni. Affinamento e fermentazione malolattica in tonneaux.
Solare, vivace, portando il calice al naso ecco restituite note immediate di macchia mediterranea e viola, a seguire delle quali arrivano gli accenni fruttati e, complice l’aumento della temperatura, sbuffi di tabacco biondo. Al palato è fresco, meno sapido del vino precedente, ma maggiormente integrato nella sua componete alcolica. È agile e snello chiudendo allegro su aromi di liquirizia e mirto.
Rossese di Dolceacqua DOC Superiore Luvaira 2021 – Tenuta Anfosso
Vigneto ad alberello con piante risalenti al 1905, sito in località Luvaira a San Biagio della Cima. Parte delle uve (tra il 50 e il 60%) non viene diraspata, fermentazione con lieviti indigeni sulle bucce per circa 12-15 giorni a temperatura costante. Segue un affinamento in acciaio per 12 mesi e successivi 8 mesi in bottiglia.
L’impatto olfattivo è più tenue dei vini precedenti, parla di china, spezie, prugna e fiori appassiti. La bocca conferma la diversa dimensione in cui si muove questo vino, più diluito ma di gustosa trama fresco-sapida. La persistenza è sul frutto e Paolo rileva che «un anno in più ha contribuito a smussarlo».
Dolceacqua DOC Pini 2020 – E Prie
Lorenzo Anfosso è l’ideatore di E Prie, che ha fondato nel 2016, nonché figlio d’arte di Alessandro Anfosso e Marisa Perrotti. Uve da vigneti posti tra i 250 e i 300 m s.l.m. nelle nomeranze di Soldano, Foulavin e Pini. Vendemmia manuale, diraspatura parziale, fermentazione e malolattica spontanee in acciaio. Affinamento di 9 mesi in inox.
Affresco olfattivo scuro e composito, di china, cola, arancia scura e pepe nero. Il palato è materico, saporito, intenso, di buona stoffa e gustosa persistenza.
Dolceacqua DOC Testalonga 2019 – Vignaioli Nino e Erica Perrino
Si trovano in Val Nervia i vigneti dei Perrino, e in particolare all’interno delle nomeranze Arcagna e Casiglian. Dopo la vendemmia rigorosamente manuale, le uve non vengono diraspate e, per il tramite di lieviti indigeni, vengono poste in fermentazione. Affinamento di 11 mesi in botti usate da 500 litri.
Lacca, fiori appassiti, arancia candita, liquirizia e una leggera tostatura: sono scuri e in chiave terziaria i profumi che propone il naso del Dolceacqua Testalonga. Assaggiandolo è succoso, intenso, snello e al contempo infinito. A parere di Paolo Valente è il Rossese di Dolceacqua «più tipico e di maggiore storicità».
Dolceacqua DOC Angé 2018 – Ka*Manciné
Dal vigneto Galeae, in Val Verbone, nascono le uve dell’Angé vinificate in acciaio e con un successivo affinamento in barrique di 15 anni.
I profumi di questo vino sono, se possibile, ancora più scuri di quelli del vino precedente: vermouth, rosolio, erbe officinali, frutta macerata. Tutte note mature che si ripropongono, amplificate, all’assaggio, di buon attacco ma con uno sviluppo leggermente in calando.
Dolceacqua DOC Posaù Biamonti 2017 – Maccario Dringenberg
Uve provenienti dal vigneto Posaù, nell’omonima nomeranza di San Biagio della Cima, paese natìo di Francesco Biamonti al quale Giovanna Maccario ha dedicato il vino. Vinificazione con lieviti indigeni, fermentazione malolattica e poi affinamento di 10 mesi in acciaio.
Naso dicotomico che ricorda, nelle note scure, il Testalonga, ma vi unisce rimandi di mirto e macchia che ricordano che, in fondo, il mare è visibile poco più in là. Al palato è cesellato e perfettamente in equilibrio tra la suadenza calorica e la gustosa sapidità. Beva elegante che propone aromi di frutta matura, fiori recisi e un profluvio di erbe aromatiche e officinali. «Fatte le debite proporzioni», conclude Paolo, «è il vino più tannico della batteria».
Rossese di Dolceacqua DOC Bricco Arcagna 2013 – Terre Bianche
Uve da una vigna di oltre 50 anni (con punte ben oltre il secolo) nella nomeranza Arcagna, sopra l’abitato di Dolceacqua. Fermentazione con lieviti indigeni, malolattica in legno, affinamento in tonneaux e barrique.
Vino empatico e propositivo, tostatura, fiore appassito e macchia, poi cola, arancia candita e sottobosco. L’assaggio è strabordante, conquista senza remore grazie a un’eccezionale verticalità che non fa minimamente tradire gli undici anni sulle spalle. Grande bevibilità, anche grazie a un tannino lievissimo perfettamente fuso nella struttura.
Un vino delicato e schietto, bruno e luminoso, il Rossese. Tanto onesto da mostrare nitidamente, in un calice, il sole e il calore di un pugno di case di Dolceacqua.