Il giro del Sudafrica in otto vini
Dal Metodo Classico al passito, un viaggio lungo migliaia di chilometri alla ricerca dei migliori vini del Sudrafrica, accompagnati dall’istrionico Guido Invernizzi.
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Ci hanno insegnato che il 45° parallelo nord, nell’emisfero boreale, è la latitudine ideale per la coltivazione dell’uva e, di conseguenza, per la produzione del vino. Ed è vero. O per lo meno lo è stato fino al risveglio del nuovo mondo. Esiste un 45° parallelo anche nell’emisfero australe ed è avvicinandosi a quella latitudine che si trovano territori in grado di produrre vini di qualità. Parliamo della Nuova Zelanda e dell’Argentina, che sono letteralmente attraversate dal 45° parallelo sud, ma poco più a nord si trova un altro Stato del mondo che negli ultimi decenni ha investito molto sulla viticoltura e con risultati a dir poco sorprendenti: il Sudafrica.
Quello che probabilmente molti non sanno (e che è molto difficile anche da immaginare) è che i padri dell’enologia sudafricana sono, sorprendentemente, gli olandesi. È a un olandese, infatti, Jan Van Rieebeck, che si deve la produzione del primo vino sudafricano nel 1659, prodotto con barbatelle provenienti da Rheingau, Spagna e Francia. Ed è sempre un olandese, Simon Van Der Steel, che nel 1685 organizza la prima vera vendemmia a Constantia, coinvolgendo la gente del posto per produrre vini da dessert poi importati in Europa. A lui è intitolata Stellenbosch, città situata nel distretto di Cape Winelands, non a caso l’area più vocata per la produzione vitivinicola sudafricana.
Ma ancora una volta è ai francesi che si deve il balzo nella qualità. Quando nel 1685 Luigi XIV revoca l’editto di Nantes, le persecuzioni contro i protestanti riprendono vigorose, costringendo così gli ugonotti alla fuga. Alcuni di loro trovano rifugio proprio in Sudafrica, portando con sé barbatelle dall’Alsazia, insieme all’esperienza e alle tecniche enologiche che già allora distinguevano la produzione d’oltralpe.
Un contributo decisivo nella diffusione del vino sudafricano in Europa è stato quello degli inglesi che, come già fatto anche con il Marsala e con lo Champagne, dal XIX secolo cominciano l’importazione massiccia in Patria, dimostrando una volta di più il grande interesse verso il comparto enologico mondiale, seppur rimanendo lontani dal mondo della produzione.
La vera svolta per la fama del Sudafrica nel mondo è arrivata nel 1925, quando il professor Perold, rettore dell’Università di Stellenbosch, decide privatamente di provare ad incrociare il pinot nero e il cinsault (qui conosciuto come hermitage). Il risultato fu la creazione di quello che oggi può dirsi l’unico vitigno “autoctono” sudafricano: il pinotage.
Ciliegina sulla torta a questa grande scoperta e spinte definitive per l’enologia sudafricana sono la creazione nel 1973 delle “Wine of Origin”, le nostre denominazioni di origine, e la fine dell’Apartheid nel 1994, vera e proprio rinascita dell’intero Paese.
Da un punto di vista climatico, il Sudafrica è un enigma di complessa soluzione, per questo è opportuno schematizzare le aree. A ovest troviamo il confine con la Namibia, desertica e secca, che comporta per le aree adiacenti un clima semi arido. Più si segue la costa verso est, più si incontrano aree con clima mediterraneo: è qui che la vite trova maggiori possibilità di sviluppo, anche grazie ai venti freddi che spirano dall’Oceano Antartico e che mitigano le temperature nei mesi di maturazione del frutto, risultando decisivi per la sanità delle uve. All’estremo est, al confine con il Mozambico, il clima si tramuta in tropicale: qui si scontrano le correnti fredde da sud e quelle calde dall’Oceano Indiano, causando forti temporali e mari in tempesta.
La degustazione
Method Cap Classique Brut 2020, Spier
Metodo Classico: 68% chardonnay, 32% pinot nero. 24 mesi sui lieviti
Color giallo paglierino, per così dire, scolastico. Al naso si rivela in note panificate che richiamano alla predominanza dello chardonnay, insieme a richiami fruttati di pesca a polpa gialla e frutta secca. Per trovare il contributo del pinot nero bisogna passare al sorso, in cui si rivela il ribes insieme ad una bellissima cremosità nel perlage.
Sauvignon Blanc Reserve 2021, Diemersdal
Sauvignon Blanc 100%
L’abito è giallo verdolino, fa pensare ad un vino ancora piuttosto giovane. Il naso è qualcosa di insolito: il mix di profumi è fatto di pompelmo, zolfo, frutta tropicale, sentori quantomai anomali se pensiamo ai sauvignon blanc europei. Il punto di contatto con questi ultimi si rivela al sorso che ci permette di riscontrare quella parte verde, vegetale, più tipica del vitigno per come lo conosciamo. Grande morbidezza ed avvolgenza, figlie di un’importante struttura e ottimo il ritorno sapido.
221 Chenin Blanc 2021, Alvi’s Drift
Chenin Blanc 100%
Il colore giallo paglierino è di notevole brillantezza. La nota sulfurea percepita nel Sauvignon Blanc torna a fare capolino anche in questo calice, unendosi a una componente di frutta a polpa gialla matura e a note floreali bianche, perlopiù di gelsomino. In bocca ricorda molto gli chenin blanc della Loira, con una nota alcolica ben marcata che va a comporre un corpo morbido, ben bilanciato da notevole freschezza.
Scaramanga White 2021 – Nabygelegen
Chenin Blanc 65%, chardonnay 25%, verdelho 10%
Dal punto di vista cromatico non ci si scosta dal giallo paglierino, ma aumenta la quantità di materia colorante. La parte fruttata è ancora ben evidente, soprattutto su tonalità di banana e pesca matura, ma sono ben evidenti anche le note di spezie dolci conferite al vino dall’importante passaggio in legno effettuato sia in fase di fermentazione che in fase di maturazione. Il sorso riesce ad essere allo stesso tempo fresco ed avvolgente, e se è vero che il legno deve sempre essere vassallo del vino, qui ne abbiamo una eccellente dimostrazione pratica.
Sounds Of Silence Pinot Noir 2020 – Oak Valley
Pinot nero 100%
Siamo di fronte ad un’annata 2020, eppure la tonalità vira già verso un granato pieno, seppur di ottima limpidezza. Il naso è decisamente variegato, passando da un primo impatto fatto di una nettissima balsamicità a note fruttate di ciliegia e mora, per poi passare a sensazioni di sottobosco, di spezie e fumé. Aromi di bocca perfettamente rispondenti, acidità vibrante a reggere un sorso piacevole ma complesso.
The Original 2022 – Diemersfontein
Pinotage 100%
Rosso porpora, tendente al violaceo, molto carico di materia. Come era successo anche per il Sauvignon Blanc, anche qui dobbiamo piegarci a qualcosa di anomalo ed affascinante. Nonostante l’estrema giovinezza di questo vino, sono nette le note di caffè e cioccolata, di amarena matura, di spezie orientali e una leggera sensazione terrosa. Il palato è invaso da un tannino già discretamente levigato, che a lungo andare non risulta invadente grazie ad una buona componente di acidità e ad una bella sapidità in grado di sciacquare il cavo orale.
Private Collection Shiraz 2017 – Saxenburg
Syrah 100%
La tonalità di rosso vira su un rubino di ottima lucentezza e con una discreta carica colorante. Basta una prima olfazione per capire che, anche in questo caso, siamo di fronte ad un’interpretazione diversa di un vitigno ampiamente conosciuto e coltivato. La consueta nota speziata del Syrah è riscontrabile anche in questo calice, ma si fa da parte per lasciare spazio alla ciliegia, alla cioccolata bianca e ad una leggera nota tostata. Grande sapidità in finale di sorso che sostiene una notevolissima persistenza.
Hanepoot Jerepigo 2021 – Slanghoek
Zibibbo 100%
Nettare dal color oro lucente, figlio dell’appassimento in pianta del frutto. Il naso è un ricordo di olive verdi, albicocche disidratate, pesche sciroppate e sentori iodati. Straordinariamente equilibrato nella sua dolcezza grazie ad un bel calore che riempie il cavo orale e distoglie dal residuo zuccherino. Pressoché infinita la persistenza.
Doveroso il ringraziamento alla delegazione di Brescia e al suo gruppo servizi, come sempre impeccabili nella conduzione della serata e… se è vero che la miglior qualità di un appassionato di vini è la curiosità, di certo questa serata avrà soddisfatto molti presenti!