Il Metodo Classico Vergomberra di Paolo Verdi alla prova del formato

Racconti dalle delegazioni
16 novembre 2023

Il Metodo Classico Vergomberra di Paolo Verdi alla prova del formato

Cosa cambia nel bicchiere quando lo stesso vino viene imbottigliato all’origine in formati differenti? Insieme a Paolo Verdi, grande interprete del terroir oltrepadano, e il sommelier Nicola Bonera, una degustazione unica nel suo genere, con protagonista l’Oltrepò Pavese Metodo Classico Vergomberra 2014.

Daniela Recalcati

È stata una serata dedicata alla quintessenza della sommellerie: la degustazione alla cieca di un vino imbottigliato all’origine in diversi formati, con l’intento di riconoscerli, in base alle caratteristiche sensoriali. Per Paolo Verdi - patron dell’azienda Bruno Verdi in Oltrepò Pavese - è stata un’occasione per verificare l’influenza del formato sull’evoluzione dei vini. Va premesso che in degustazione dovevano esserci i campioni provenienti da sei bottiglie: classica (75 cl), Magnum (1,5 L), Jéroboam (3 L), Mathusalem (6 L), Salmanazar (9 L) e Balthazar (12 L). Purtroppo, quest’ultima, in un unico esemplare, ha avuto un inconveniente durante la preparazione e, pertanto, è stata sostituita da una Jéroboam di Oltrepò Pavese Metodo Classico Vergomberra 2016 che, a questo punto, sarà l’intruso nella nostra degustazione.

Prima di iniziare è utile qualche riflessione. Innanzitutto, quando degustiamo una bottiglia di spumante dobbiamo sempre tener presente che ci troviamo di fronte a una tecnica di vinificazione più complessa rispetto a quanto accade per un vino fermo.

Molteplici sono stati gli studi sull’impatto dell’ossigeno sui vini spumanti. Una bottiglia contiene, mediamente, 1 mg/L di ossigeno, con punte fino a 5 mg/L. Le ampie variazioni del livello di ossigeno disciolto dipendono da numerosi fattori:

  • la forma della bottiglia. Nel caso del Vergomberra, la bottiglia ha il collo più affusolato e la pancia più larga rispetto alla champagnotta classica. Questo ha un duplice vantaggio tecnico: 1) la camera d’aria, tra il sughero e il liquido, che in una bottiglia classica è di 2,5 cc, è più ristretta; 2) la pancia più larga determina un aumento delle mannoproteine derivanti dai lieviti, che arricchiscono la complessità aromatica del vino. Già nel 1662 erano state brevettate delle bottiglie dotate di un corpo più largo e un collo più stretto. Nel 2011, Bollinger, in occasione del 165° anniversario dell’azienda, ha modificato la forma della bottiglia della Special Cuvée, allargandone un po’ il corpo e assottigliando il collo, riproponendo il formato delle bottiglie utilizzate dalla Maison nel 1846, alla ricerca del rapporto ottimale tra vino e gas, con l’intento di ridurre la penetrazione dell’ossigeno. Gli studi hanno evidenziato che il rapporto ideale tra il diametro del collo, e quindi il volume dell’aria, e il diametro del corpo, e quindi la quantità di vino, è di 0,25. La Magnum standard e la Magnum del 1846 hanno effettivamente una ratio ottimale di 0,25; la bottiglia da 750 cc del 1846 ci si avvicina molto (0,28), mentre la bottiglia di forma standard si allontana parecchio avendo una ratio di 0,34;
  • il tempo intercorso tra la ricolmatura e la tappatura, che deve essere il più rapido possibile;
  • il sistema di ricolmatura. Di solito è manuale, ma esiste anche un macchinario che consente di eseguire la sboccatura e la ricolmatura in totale assenza di ossigeno. Nella procedura manuale, pur con l’accortezza di posizionare la bottiglia obliqua, c’è il rischio di una perdita di pressione. Durante la sboccatura si perdono dai 6 ai 10 ml di liquido, qualunque sia il formato. Ciò comporta che, nei formati grandi, ricolmando, aggiungeremo la stessa quantità di liquido a una quantità nettamente superiore di vino originale. La ricolmatura, dunque, avrà effetti più incisivi su una bottiglia standard rispetto a una di formato maggiore. Questo concetto sta alla base della presunta migliore qualità dei vini spumanti nei grandi formati. Il Vergomberra, che nasce nell’Oltrepò Pavese ed è a prevalenza pinot nero, ha, comunque, una struttura, una forza e una ricchezza che gli consentono di avere una resistenza maggiore all’ossigenazione;
  • le caratteristiche del tappo (elasticità, trattamenti di superficie, etc.). L’ingresso di ossigeno è pari a 0,15 mg/L e arriva fino a 1,8 mg/L per i tappi di minor tenuta. Dopo il tirage, in genere viene usato il tappo metallico a corona. Ultimamente, sui lunghi affinamenti, alcuni preferiscono il tappo in sughero, perché ha un ottimo ancoraggio all’interno del collo oltre a possedere la gabbietta esterna che lo blocca. Sulla lunga evoluzione il tappo metallico può non avere la stessa tenuta e quindi inglobare ossigeno. Inoltre, quando la bottiglia riposa in posizione orizzontale ci troviamo di fronte a un tappeto di lieviti a poca distanza dalla bolla di ossigeno. Con la bottiglia posizionata in punta l’ossigeno si allontana significativamente dai lieviti, portandosi verso il fondo e riducendo l’ipotetico spazio di contatto. Da ciò si deduce che, nei lunghi affinamenti, la posizione orizzontale della bottiglia sia un limite, un elemento potenzialmente ossidante, per cui si preferisce posizionarla in punta;
  • le caratteristiche dello spumante o i fenomeni che possono provocare perdita di gas (particelle nel vino, urti tra bottiglie, etc.);
  • il sistema di tappatura. Questo può avvenire in tre diversi ambienti: tappatura tradizionale (O2 nell’ambiente pari al 20,9%); tappatura inerte con O2 in cabina paria al 6%; tappatura inerte con O2 in cabina pari al 3,5%. La tappatura inerte consente un assorbimento minore di ossigeno da parte del vino. Inoltre, la tappatura con agglomerato birondellato, dopo 50 giorni, consente l’ingresso di 3 mg/L di ossigeno mentre si riduce a soli 2 mg/L utilizzando un tappo creato con farine di sughero.

Un’altra importante considerazione riguarda il tiraggio che viene sempre fatto nel contenitore di degustazione per presa di spuma diretta, e che va fatto velocemente per avere una sorta di uniformità da inizio a fine catena. Paolo Verdi ci ha raccontato che il tiraggio dei formati da 6, 9,12 litri è stato fatto il giorno dopo, rispetto ai formati più piccoli, lasciando quindi fermentare leggermente la massa perché potesse avere un contenuto zuccherino leggermente minore, e per una sorta di precauzione, cioè per evitare che la pressione salisse troppo rischiando la rottura delle bottiglie. Da ciò deriva che i formati più grandi potrebbero avere una caratteristica più fruttata legata a questa pre-fermentazione.

Lo scopo di fare grandi formati è capire se è vero che il grande formato permetta di ottenere risultati, a distanza di tempo, migliori. Nicola, che, con la sua esperienza, ha condotto in ben quattro occasioni questo tipo di degustazione, ha riscontrato che il confronto tra la bottiglia, che appare di solito un po’ più matura, e la magnum, che è, invece, più viva, vibrante e tesa, si ripropone frequentemente tra il formato Jéroboam e il Mathusalem. Infatti il Jéroboam ha un volume doppio rispetto alla Magnum, ma un collo più largo, mentre il Mathusalem, che raddoppia il volume rispetto al Jéroboam, mantiene, lo stesso diametro di collo del formato da 3 L.

Con questa degustazione Nicola ha voluto anche valorizzare l’artigianalità dei prodotti in degustazione e dimostrare che gli spumanti italiani hanno una lunga tenuta nel tempo, anche se non sono state seguite alla lettera tutte le indicazioni illustrate poc’anzi per limitare l’ingresso dell’ossigeno nella bottiglia.

La degustazione

Gli spumanti vengono serviti già versati nel bicchiere, a una temperatura leggermente più fresca di quella consigliata per apprezzare uno spumante complesso, con l’intento di arrivare al degustatore alla temperatura ottimale colmando il gap tra la stappatura, il servizio nei calici e il trasporto di questi, tramite carrelli.

Oltrepò Pavese Metodo Classico Vergomberra DOCG 2014 – Bruno Verdi

pinot nero 85%, chardonnay 15%; vendemmia manuale; fermentazione a temperatura controllata (il 5% del mosto fermenta in barrique austriache della Stiria; affinamento in legno per 6 mesi sui lieviti; tiraggio: giugno 2015; sboccatura maggio 2019; 47 mesi di permanenza sui lieviti e 53 dalla sboccatura; non dosato. Il residuo zuccherino è lievemente differente nei vari formati e varia da 2,56 g/L a 2,91 g/L, con una punta di 4,47 g/L.

La bottiglia standard e il magnum sono stati tappati con tappo a corona (alluminio), mentre gli altri formati sono stati tappati con il sughero per cui si dovrà tener presente che ogni sughero è diverso dall’altro e può influenzare il prodotto in maniera diversa.

La 2014 è stata un’annata piuttosto difficile per la copiosità delle piogge in luglio e agosto. Il colore, un po’ più dorato del solito è, probabilmente, dovuto al fatto che l’acqua, ricevuta durante i mesi estivi, ha provocato un assottigliamento delle bucce e, pertanto, durante la pressatura è stato ceduto al vino più colore.

Primo vino

Al naso si apprezzano note di vaniglia, molto piacevoli ed eleganti, e di cedro candito, cui seguono, in seconda battuta, quelle balsamiche. La bocca è cremosa e raffinata con finale un po’ vegetale. Nel complesso più simile a un vino fermo che a uno spumante. La cremosità che si percepisce in bocca potrebbe far pensare a una pressione un po’ più bassa legata, magari, all’attesa più lunga dei formati grandi (3, 6, 9 L) prima del tirage, oppure al formato bottiglia che, avendo l’ipotetico scambio maggiore con l’ossigeno, può avere perso un po’ di pressione.

Secondo vino

Il naso è completamente differente rispetto a quello del primo: un po’ più bizzarro, meno carezzevole, più balsamico, con note di foglie amare, clorofilla e un tocco di mela leggermente ammaccata. La bocca è vegetale dall’inizio alla fine, con un finale più succoso, aspro e nervoso.

Terzo vino

Il naso esprime note evolute tostate e di nocciola più evidenti rispetto ai primi due. Al contrario, la bocca è vibrante, tesa e aspra, con note agrumate di pompelmo, dove l’effervescenza non è perfettamente amalgamata con la struttura.

Quarto vino

Il naso è simile al primo in quanto garbo e “dolcezza”, anche se più tostato. La bocca è cremosa e raffinata, simile a quella del primo.

Quinto vino

Il naso riprende un po’ la delicatezza del primo e del quarto vino. La bocca è cremosa e il finale ci regala note di anice, dragoncello, cerfoglio e aneto insieme a un sentore amarognolo di buccia di agrume.

Sesto vino

Si differenzia da tutti gli altri per il colore che appare più tenue, giallo paglierino con riflessi verdolini, e non dorato come nei precedenti calici. Il naso è simile ai precedenti, ma la bocca è completamente diversa: non ha la nota calda percepita negli altri vini, ha una sottigliezza nel finale legata all’eleganza e all’equilibrio dell’annata e termina con note di cera e di purea di pesca e di albicocca. Si tratta dell’intruso e cioè il Vergomberra 2016. In questo caso si ha più o meno lo stesso uvaggio e la stessa vinificazione; sboccatura 2022; 70 mesi di permanenza sui lieviti; residuo zuccherino di 5,5 -6 g/L (residuo della rifermentazione); non dosato; utilizzo del tappo a corona; formato Jéroboam.

Il gioco

Utilizzando il sito Menti.com e i nostri cellulari, siamo poi passati al gioco, stilando prima una classifica di gradimento basata sulla piacevolezza e poi l’elenco dei vini degustati ordinandoli dal contenitore più piccolo fino al più grande. La classifica sulla piacevolezza ha dato questi risultati: Calice 1: 21 preferenze; Calice 2: 10 preferenze; Calice 3: 8 preferenze; Calice 4: 12 preferenze; Calice 5: 15 preferenze. L’ordine corretto dei formati è stato: bottiglia standard (calice 2); Magnum (calice 4); Jéroboam (calice 5); Mathusalem (calice 3); Salmanazar (calice 1).

Conclusioni

L’impresa è stata molto ardua perché le differenze tra i calici non erano così marcate, dato, peraltro, molto positivo, perché significa che, nonostante la variabile esogena, il vino non vuole cedere a elementi esterni.

Tutte le volte che Nicola ha fatto questo test, la bottiglia è sempre risultata il formato peggiore; qualche volta, con somma sorpresa, ha trovato delle mezzine eccellenti, ma solo perché, di solito, queste, vengono lavorate in riduzione e colmate con un vino diverso rispetto agli altri formati. Il Jéroboam, anche se a livello teorico non dovrebbe essere un formato eccellente, quasi sempre esce tra i più quotati e anche questa sera, ricopre un più che decoroso secondo posto dopo il Salmanazar.