Il paesaggio fragile. Viaggio nella Liguria del vino. Parte I

Racconti dalle delegazioni
25 settembre 2019

Il paesaggio fragile. Viaggio nella Liguria del vino. Parte I

Da La Spezia a Genova, tra le Cinque Terre e la Valpolcevera. Una masterclass dedicata alla Liguria condotta da Armando Castagno. Una serata così ricca e generosa che, per raccontarla, è stata divisa “geograficamente” in due parti. Questa è la prima e racconta l’est.

Barbara Sgarzi

Parla di una regione un po’ fuori moda, che di esserlo se ne compiace. Un’agricoltura difficile, segnata dall’abbandono delle terre, dal dissesto idrogeologico, dal frazionamento in un mosaico di piccoli produttori dove una cantina da 100 mila bottiglie è un gigante. Un vino fragile, a tratti impalpabile, etereo, ma diretto, senza fronzoli; prodotto quasi per sottrazione, sapido di salsedine e profumato di macchia mediterranea.

Poche parole bastano alla sapienza affabulatoria di Armando Castagno per centrare l’essenza della Liguria, in una serata che la celebra e la percorre da est a ovest, e se quelle parole alle volte mancano, le prende a prestito dai suoi cantori – Biamonti, Calvino, Caproni, ma anche Fossati e De André. Con un fil rouge che è quello dell’uscire dal cliché, dallo stereotipo della regione balneare; non guardare il mare, quindi, ma guardarla dal mare, come canta Fossati: 

Chi guarda Genova sappia che Genova si vede solo dal mare

quindi non stia lì ad aspettare di vedere qualcosa di meglio, qualcosa di più.

di quei gerani che la gioventù fa ancora crescere nelle strade.

(Ivano Fossati)

Una masterclass che è una passeggiata sui crinali a strapiombo sul mare, dove le terrazze tengono insieme zolle e radici e la viticoltura si può ben dire eroica senza rubarne la definizione. Dodici etichette per raccontare l’essenza di questa mezzaluna sospesa tra monti e mare, suddivisa in otto DOC, patria di vini generalmente «poco capiti e poco amati dalle guide», sottolinea Castagno. Vini che non si possono comprendere in una degustazione alla cieca, che vanno invece abbracciati con un ascolto più cosciente.
Il relatore

Questo cammino, che ripercorre idealmente l’Alta Via dei monti liguri, inizia da La Spezia, zona di arenaria, terra dominata dal vermentino con incursioni di trebbiano e spruzzi di bosco e albarola. Cominciamo con un Colline di Levanto DOC Costa du Muntetu della Cantina Levantese. Un blend di vermentino, albarola e bosco che provengono da una vigna a Bonassola, a 350 metri sul livello del mare. Ci accoglie con un oro pallido nel bicchiere, al naso avvolge in una nuvola di macchia mediterranea - cisto, lentisco, sentori di erbaceo, su tutto il limone – mentre all’assaggio rivela un tocco di iodio che sfocia in un finale lunghissimo, lievemente amarognolo; un vero respiro marino.

Già affascinati dall’aspetto più noto della Liguria, il suo essere un balcone sul mare, ci apprestiamo però a conoscerne l’anima più vera e profonda, quella della terra. Non dimenticando che qui la superficie montuosa è del 64,8% e quindi limitarsi all’aspetto costiero sarebbe fare un viaggio a metà. Proseguiamo quindi con un Colli di Luni DOC Vermentino Il Maggiore 2018 di Ottaviano Lambruschi. Qui parliamo di un vermentino in purezza, prodotto in sole 4.000 bottiglie da vigne molto giovani, sulle colline di Castelnuovo Magra. Rispetto al precedente è premiato da un colore più brillante, ma di converso ha un naso più timido, meno ricco. Più strutturato e intenso del precedente, più consistente e terragno e quindi meno aereo e marino, verte sulle note erbacee e minerali, con sapide note di cappero e un finale «squillante come il rintocco di una campana», dipinge efficacemente Castagno.

Sorprendente il Liguria di Levante IGT Giuncàro 2016 di Santa Caterina, a partire dal caldo color oro. Vigne a Sarzana, su terreno ghiaioso, per un particolare mix di friulano (70%), che in queste zone ha una tradizione di coltivazione che risale all’ottocento, e sauvignon blanc. Una vigna di poco più di mezzo ettaro, vinificazione solo in acciaio dopo breve macerazione, che regala un naso stupefacente in ossidazione controllata. Una declinazione di fiori carnosi, poi un caleidoscopio di polline, propoli, zenzero, cipria, sentori di terriccio; infine la pesca matura e l’albicocca, su un tessuto di erbe officinali da infuso e tisana. Al palato avvolge con un sapore denso, intenso: «un vino che sa di sole, di terra», riassume Castagno con un’efficace sinestesia.

Tu mi portasti un po’ d’alga marina

Nei tuoi capelli, ed un odor di vento,

Che è corso di lontano e giunge grave

D’ardore, era nel tuo corpo bronzino...

(Dino Campana, I Canti Orfici)

Entriamo nel territorio del genovesato con una “donna” come quella cantata da Dino Campana, la bianchetta genovese, mutazione dell’albarola e il Valpolcevera DOC Coronata La Superba 2018 di Andrea Bruzzone che la completa con tocchi di rollo, bosco, vermentino. I genovesi (come me, ndr) ricorderanno, anni fa, il famoso “bianco di Coronata”, prodotto esclusivamente nel comune di Genova, che si beveva per tradizione nelle scampagnate primaverili – il Primo Maggio, Pasquetta – e aveva il caratteristico, a tratti pesante, sentore di zolfo. Frutto di errori e ingenuità nella vinificazione dei tempi, ricorda Castagno. Errori che non ci sono in questa interpretazione del bianco di Coronata, che stupisce con un bouquet intenso, «come quando si scende dal treno in una città di mare e si avverte quel profumo particolare nell’aria», riassume la nostra guida d’eccezione. Il mare, quindi, ma anche una ricca miscellanea di spezie insolite: l’artemisia, l’assenzio, l’anice stellato. Una magnifica originalità che torna al gusto, dove il finale si potrebbe quasi dire torbato, con la secchezza di un’affumicatura naturale.


I vini

Lo spettacolo delle Cinque Terre torna nel vino bianco Vétua 2018dell’omonima cantina, che arriva da Monterosso al Mare e unisce bosco, albarola, vermentino, insieme a rari vitigni autoctoni come piccabun, frappelà e brujapagià, da vigne di età diverse, tra i 15 e i 70 anni. Naso meraviglioso, come una passeggiata in una vigna a picco sul mare, tra cespugli di ginestra; come aver imbottigliato la linfa, l’essenza delle Cinque Terre. Le 72 ore di macerazione regalano al colore una nuance che fa pensare a un sorso ricco di dolcezza, e invece l’assaggio, che stupisce per struttura e consistenza, è liscio come un vetro, dritto come un laser, tagliente come una lama; in una parola, è profondamente “ligure”.

Ha bisogno d’aria per esprimersi al meglio il Rosé D’Amour 2018 dell’Azienda Agricola Possa, «il più buon rosato ligure che io abbia mai assaggiato», esordisce Castagno. Baluardo dei vini naturali in Liguria, è creato con un 80% di bonamico da vigne centenarie e un 20% di moscato rosso, per un naso ossidativo, all’inizio quasi ematico, poi di rara bellezza, di tessuto intricato. Arrivano in seconda battuta la fragola e i sentori di sottobosco, mantenuti all’assaggio che regala una bellezza rustica, autentica: caramella al rabarbaro, corteccia, sentori di terra, per un rosato di notevole complessità.

E qui si conclude la prima parte di questo meraviglioso viaggio che attraversa la Liguria del vino in tutta la sua lunghezza, con Genova in mezzo a fare da ago della bussola.

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