Il Pendio e i "vini di pietra" di Michele Loda

Racconti dalle delegazioni
27 settembre 2022

Il Pendio e i

Ospiti del ristorante “Hosteria del Vapore” di Cicola (Bg), tanti appassionati, non solo bergamaschi, hanno potuto conoscere i vini de “Il Pendio” e il loro artefice, Michele Loda, degustandoli e apprezzandoli ancor di più grazie alla degustazione condotta da Stefano Berzi, miglior Sommelier d’Italia del 2021.

Stefano Vanzù

Le spesse mura del Castello dei Conti Suardo, risalente al X secolo, in quel di Cicola, piccolo borgo di origine romana alle porte di Carrobbio degli Angeli, hanno accolto e quasi abbracciato i tanti appassionati che si sono ritrovati in una sala dell’Hosteria del Vapore, il ristorante gestito sin dal 1870 dalla famiglia Berzi, collocato proprio nel corpo centrale del fortilizio.
L’occasione era ghiotta: degustare i vini dell’azienda “Il Pendio” e soprattutto sentirli raccontare da chi li crea, Michele Loda, e da chi li conosce e li apprezza profondamente, il “nostro” Stefano Berzi.

Nell’introdurre la serata, la Delegata di Bergamo Roberta Agnelli ha voluto sottolineare l’eccezionalità, dal punto di vista climatico, dell’annata 2022, che scriverà un nuovo e difficile capitolo nella plurimillenaria storia della viticoltura. Michele Loda, riprendendo l’intervento, ha rimarcato come, a suo avviso, il “giro di boa” sia iniziato già dieci anni fa, quando molti viticultori tradizionali hanno osservato come, anno dopo anno, le viti cambiavano per adattarsi a variazioni climatiche sempre più forti e violente, sia in termini di temperature che di fenomeni atmosferici: in Franciacorta, la zona in cui si trova “Il Pendio”, oggi si registrano anche 15 grandinate all’anno, contro le 2-3 che avvenivano in passato.


In questo 2022, ha spiegato Michele, ci sono stati quasi sei mesi di sole, senza pioggia (per un confronto, nel 2014 sulle viti è piovuto per tre mesi), al punto che ad agosto non era ancora iniziata l’invaiatura, che invece è partita molto rapidamente solo dopo il primo temporale estivo, con le uve visivamente molto belle ma al tempo stesso ricche di fibra e povere di succo, aspetto che secondo il produttore de Il Pendio pone svariati interrogativi su quest’annata.

La storia de Il Pendio

Il Pendio viene fondata nel 1988 da Luigi Balestra e acquisita dall’attuale proprietario nel 2004, l’anno della svolta nella vita di Michele Loda che, dopo un passato di dirigente aziendale e numerose esperienze anche all’estero nella commercializzazione dell’acciaio, decide di abbandonare il regno minerale per dedicarsi a quello vegetale, in particolare alla vite e all’olivo, spronato nell’impresa da due “maestri” di assoluto valore, guarda caso entrambi Luigi o meglio “Gigi”, il già citato Luigi Balestra e il grande Luigi Veronelli.

È proprio Veronalli ad accennare a Michele l'esitenza di un piccolo appezzamento situato da qualche parte “in alto” in Franciacorta e dove si fanno poche ma ottime bottiglie.  Dopo sei mesi di peregrinazioni sul territorio franciacortino, Michele Loda scopre finalmente che quell’appezzamento “in alto” è a Monticelli Brusati, piccola cittadina in provincia di Brescia, in zona montana e comune della denominazione Franciacorta ma che esula da questa realtà essendo uscito dal consorzio nel 2012.

Michele inizia a lavorare con Luigi Balestra, assorbendone gli insegnamenti “sul campo” e maturando l’idea di voler fare un vino di identità, libero dai condizionamenti e dalle forzature imposte da volumi di produzione elevati o da etichette prestigiose che debbono replicare se stesse rimanendo sempre uguali negli anni.

La filosofia in cantina

Amante dei vini fermi, Michele ritiene che anche gli spumanti Metodo Classico – la Franciacorta storica è dietro l’angolo – debbano essere riconoscibili nel frutto, senza che prevalgano le bollicine o i dosaggi che snaturano il carattere delle uve madri di quel vino. I suoi Metodo Classico, infatti, sono esclusivamente pas dosé.
Essenziale per l’identità dei vini di Michele è che tutta la produzione di uve di un anno viene vinificata nell’anno stesso, in modo da trasmettere nel vino il carattere di quell’annata, magari fredda come il 2014 o calda come il 2015.
Oggi Il Poggio lavora, con viticoltura manuale e senza l’uso della chimica, già dal 2003: possiede 3 ettri di vigneti terrazzati situati fra i 380 ed i 420 metri sul livello del mare: i “Gradoni”, a nord-est, e il “Ruc”, con esposizione a est, sono coltivati a chardonnay, il “Rocol”, esposto a sud-est, offre pinot bianco, mentre il vigneto a sud denominato “La Valletta” regala il suo pinot nero. Abbiamo anche un ettaro di oliveto e uno di bosco.
Il vigneti e l’oliveto poggiano su mezzo metro di argilla e terra scura frammista a tanta roccia calcarea biancastra che assicura un ottimo drenaggio e funge altresì da volano termico naturale; il microclima e l’altezza del sito impediscono la formazione della peronospora ma non dell’oidio, causato dalle sensibili variazioni termiche.
La resa media è di 50-70 quintali di uva per ettaro e vengono coltivate uve chardonnay, pinot nero, pinot bianco e cabernet franc, per una produzione annua massima di 20.000 bottiglie (negli anni di grazia, sottolinea Michele) declinate su 10 tipologie di vini, che però non è detto siano sempre tutte disponibili: quattro Moto Classico bianchi rigorosamente pas dosè (Trait d’union, Momi, Il Contestatore e Brusato), un rosé pas dosé Brusato Rosa, due bianchi fermi chardonnay in purezza (Chardonnay e Sebino IGT) e tre rossi fermi (La Beccaccia e Etichetta Rossa, entrambi cabernet franc 100% e La Valletta Sebino IGT, pinot nero in purezza).

La degustazione

Stefano Berzi ha un talento naturale per raccontare il vino e sembra quasi di assaporare il contenuto del calice ancor prima di portarlo alla bocca. A fine degustazione, mentre gusteremo un bel piatto di risotto giallo Carnaroli con pistilli di zafferano mantecato alla mimolette (un formaggio di latte vaccino crudo, tipico della città di Lille, nel nord della Francia) individueremo un piacevole tratto comune ai quattro vini assaggiati che, pur diversi fra loro, scopriremo essere tutti vini gastronomici, in grado di accompagnare sia piatti semplici che preparazioni più complesse, invogliando a finire il piatto grazie all’ottima beva ben evidenziata da tutte le bottiglie in tavola.

Trait d'Union - tot ensèma 2014 - Pas dosé
, 12,5% vol., chardonnay 50%, pinot nero 30%, pinot bianco 20% - Sboccatura marzo 2014

Nel 2014 piogge continue alternate a due grandinate hanno compromesso gran parte delle uve, obbligando il Produttore ad effettuare una severa selezione in campo e in cantina al momento della raccolta. Le uve salvate hanno fermentato insieme (tot ensèma) in acciaio e dopo 8 mesi la base è stata spumantizzata, ottenendo solo 5.200 bottiglie di questo V.S.Q. Bianco Pas Dosé, rimasto sui lieviti per 7 anni e mezzo.
Il colore è giallo paglierino con riflessi verdolini, al naso non si avvertono i classici sentori di crosta di pane, lievito o pasticceria ma una vinosità croccante di frutta gialla, sambuco, fiore di anice, una nota mentolata, il tutto molto equilibrato e che addirittura fa salivare ancor prima di portare il calice in bocca. Il sorso è teso, agile, con la parte vinosa riconoscibile e che predomina sulla bolla, pur evidente ma ben integrata, con un’acidità gradevole; in bocca si ha la sensazione di un vino che riempie il palato. Trait d’union può essere un ottimo aperitivo ma anche un vino da primi piatti, grazie alla sua caratteristica di essere più vino che bolla; un vino che potremmo gustare anche fra vari anni, da servire a 8 - 10 °C per apprezzarne le molteplici sfumature aromatiche.

Il Contestatore 2015 - Pas dosé
, 12,4% vol., chardonnay 100%

Colore giallo paglierino e bollicine fini, persistenti e numerose con 72 mesi di presa di spuma in catasta per questo Chardonnay in purezza nato nella calda annata 2015, che Michele Loda etichetta come il vino più rappresentativo della sua Azienda. L’esame olfattivo marca un vino che sa di gioventù, di croccante mela golden, di agrume, di gelsomino, di oliva con note salmastre e di pietra focaia mentre al palato emergono le gradevoli parti saline e sassose per un vino che in bocca esprime tutti i suoi sapori per un tempo ancor più lungo rispetto a Trait d’union.
Il Contestatore è un vino di tensione e salinità, che invita al cibo; potremmo abbinarlo alla tartare di manzo, a un primo di tagliolini al ragù e a un secondo di punta di vitello al forno.

Chardonnay IGT Sebino 2020
 12,5% vol., chardonnay 100%

Un vino tranquillo, lo definisce Michele Loda, ma che più degli altri rappresenta il terreno dove crescono le sue uve, un mezzo metro di argilla sotto la quale ci sono calcare e roccia viva; un vino nato da “pietre sciolte” che fanno arrivare in bocca i loro sali minerali e che era stato prodotto l’ultima volta nel 2013. L’affinamento di un anno avviene esclusivamente in vasca d’acciaio e all’olfatto si avverte subito che questo vino è uno Chardonnay atipico, non presentando le usuali note tropicali ma sentori mediterranei (cappero salato, pomodoro secco) e di camomilla. In bocca è minerale, dove con questo termine - a volte abusato - vogliamo intendere una vena acida intercalata dalla salinità. Si consiglia di consumarlo a 12-14 °C in bicchieri da grandi rossi in modo da esaltarne i profumi ma anche di attenderlo ancora qualche anno per apprezzare ancor di più le sue peculiarità gusto-olfattive. Da abbinare a piatti di pesce in umido o carni bianche.

La Beccaccia 2018 - Vino Rosso
 13,1% vol., cabernet franc 100%

Michele Loda vinifica questo cabernet franc come se fosse un pinot nero, effettuando una breve macerazione sulle bucce e svinando quando ritiene perfetto il colore; seguono un affinamento di almeno 2 anni e mezzo in botti da 20 hl e un altro anno in bottiglia. Anche questo vino è atipico poiché al naso non si avvisa il sentore erbaceo delle pirazine, che caratterizza i Cabernet Franc classici, quanto frutta secca (mandorla), radice di cola, tamarindo, coriandolo e cardamomo unite a sentori di sottobosco e viola mammola. La parte gustativa racconta di rabarbaro e pepe nero, di tannini integrati e maturi, di salinità ben presente, di evidente astringenza per un vino che si sviluppa nel centro bocca più che sul finale. La Beccaccia gioca più sull’eleganza che sulla potenza e pertanto è paragonabile ai Cabernet Franc della Loira piuttosto che a quelli toscani. Lo apprezzeremo “sposandolo” a primi piatti con ragù di cinghiale, cacciagione, volatili nobili ma anche un più umile piccione.