Il tour dei Crémant

Nicola Bonera, durante il consueto appuntamento estivo Taste Camp, ci ha guidato in una appassionata e intrigante degustazione alla cieca di otto Crémant, una per ogni denominazione francese.

Daniela Recalcati

Il Crémant, spumante che ha un prezzo di ingresso piuttosto popolare, si esprime attraverso otto AOC francesi e una sita in Lussemburgo. Dal 2009, il marchio Crémant è stato liberalizzato anche per quelle denominazioni di origine europea che rispettino alcuni parametri di legge (rese inferiori ai 150 q/ha, massimo 50 g/L di residuo zuccherino, solfiti inferiori ai 175 mg/L, raccolta manuale, sosta di minimo 9 mesi sui lieviti e commercializzazione a partire dai 12 mesi dal tiraggio), purché il termine Crémant sia menzionato nel disciplinare. I produttori delle otto AOC rivendicano circa 11.500-12.000 ha di vigna, un potenziale produttivo attorno ai 100 milioni di bottiglie che, nel 2018, si è tradotta in una vendita di poco inferiore agli 85 milioni.

In termini di produzione, le AOC esprimono i seguenti valori: Crémant d’Alsace, 34 milioni di bottiglie; Crémant de Bordeaux, 7 milioni; Crémant de Bourgogne, 19 milioni; Crémant du Jura, 2 milioni e 300.000 bottiglie; Crémant de Limoux, 5 milioni e mezzo; la Crémant de la Loire, 17 milioni; Crémant de Die, 200.000; Crémant di Savoia 350.000.

I vitigni più utilizzati sono: chardonnay, pinot noir, chenin blanc - dal carattere un po’ vegetale poiché imparentato con il sauvignon blanc -, jacquère e altesse - vitigni rari della Savoia che donano ai vini freschezza, fragranza e nervosismo -, clairette - con le sue note fresche e vegetali, ma dotata di buona struttura, che viene utilizzata anche nell’AOC Clairette de Die e che, insieme alle due AOC Blanquette de Limoux e Gaillac, tutela la produzione di spumanti elaborati con tecnica ancestrale -, aligoté - vitigno che produce vini fruttati e che forse è il meno adatto alla spumantizzazione -, muscat blanc à pétit grain - con il suo tipico corredo aromatico -, savagnin - geneticamente molto simile al traminer, e conosciuto principalmente per le versioni  “sur voile” dello Jura -, pinot blanc - dai caratteri sottili, con una “forza” fruttata che risulta di poco superiore rispetto a quella dello chardonnay, ma con una componente di maturità del frutto meno marcata -, sauvignon, sémillon e colombard, quest’ultimo usato, di solito, per la distillazione.

Per aiutarci nel riconoscimento dei vini, serviti rigorosamente alla cieca, abbiamo tenuto conto di alcuni dati:

  • vitigni utilizzati e loro percentuali;
  • tempo di permanenza sui lieviti, variabile da 12 a 36 mesi;
  • residuo zuccherino;
  • titolo alcolometrico volumico, segnalato in etichetta, che è di 12-12,5% vol., tranne per il Crémant de Bordeaux che vale 13% vol.;
  • alcuni vini sono dichiarati BIO sull’etichetta, alcuni lo sono di fatto ma non sono dichiarati, uno solo dichiara il marchio di certificazione biodinamica Demeter; in realtà quasi tutti questi seguono i precetti della biodinamica e in alcuni casi l’aggiunta di solfiti viene fatta solo ed esclusivamente dopo la sboccatura;
  • i Crémant de Die dichiara di essere sotto le 5 atm;
  • nessuno dei produttori afferma di utilizzare il legno.

 

Vini in degustazione

Crémant de Loire Murano Brut M.C. – La Perrière
chenin blanc 60%, chardonnay 40%; 24 mesi sui lieviti
 
Crémant de Savoie Envol Brut – Philippe Grisard
jacquère 60%, altesse 30%, chardonnay 10%; 24-36 mesi sui lieviti
 
Crémant de Die P’tit Jules Brut – Domaine Achard-Vincent
clairette 60%, aligoté 35%, muscat petit grain 5%; 12 mesi sui lieviti
 
Crémant de Jura Blanc Brut – Reverchon
chardonnay 75%, pinot noir 20%, savagnin 5%; 18 mesi sui lieviti
 
Crémant d’Alsace Extra Brut – Domaine Bott-Geyl
pinot blanc 40%, chardonnay 30%, pinot noir 30%; 24 mesi sui lieviti
 
Crémant de Limoux Clos des Demoiselles Brut 2020 – Domaine J. Laurent
chardonnay 60%, chenin blanc 25%, pinot noir 15%; 18 mesi sui lieviti
 
Crémant de Bordeaux Nature – Château Rioublanc
sauvignon 35%, sémillon 50%, colombard 15%; 18 mesi sui lieviti
 
Crémant de Bourgogne Extra Brut – Domaine Chermette
chardonnay 100% di tre annate; 12 mesi sui lieviti

 

La degustazione – prima parte

Primo vino
Al primo impatto, il naso appare dolce, pulito, fresco e immediato, con note più floreali che fruttate e sentori di panificazione molto marginali. La bocca è rotonda, non esprime un’acidità importante e prevalgono note fruttate di mango e mielate. Riscaldandosi nel calice, emerge anche un corredo speziato molto piacevole. Vino di grande scorrevolezza, semplice e di grande morbidezza al palato.

Dal naso, ci aspetteremmo una sosta sui lieviti di 12-18 mesi piuttosto che di 24-36, per la prevalenza di note floreali. In bocca il vino parrebbe dosato e non sembra siano stati utilizzati vitigni aromatici come il moscato o il sauvignon, ma non si percepisce nemmeno quella confidenza che trasmettono gli spumanti a base chardonnay e pinot noir; sembrerebbe a base di uva tutta bianca. Dopo sosta nel bicchiere, però, il naso pare proporci dei profumi che lo rendono distintivo e potrebbero farci pensare allo chenin o al sauvignon.

Secondo vino
Il naso, al primo impatto, è meno preciso e raffinato di quello del vino precedente, esprime note di lievito un po’ invadenti e di cartone, cui seguono sentori di frutta a guscio e mandorle pelate; è un naso piuttosto monocorde. La bocca è succosa, diretta, un po’ nervosetta, con un’acidità abbastanza evidente, una tensione maggiore rispetto al vino precedente e un buon potere detergente; il finale, abbastanza corto, è su una nota ammandorlata piuttosto marcata.

Nell’insieme, non possiamo sapere se per la capacità della spumantistica o per il luogo di provenienza, è un vino con una tensione maggiore rispetto al primo. Anche qui, non sembra siano stati utilizzati vitigni aromatici. Le note un po’ più grezze e vegetali potrebbero far pensare all’utilizzo anche di uva nera. Il dosaggio potrebbe essere basso (un extra-brut?).

Terzo vino
Il colore è più caldo e pieno rispetto agli altri due. Il naso esprime note riconducibili a composti solforati, che determinano una certa pungenza, ma è anche attraente. La bocca, molto più espressiva del naso, è dotata di piacevole cremosità, con note di biscotto al malto, latte condensato e cioccolato bianco e di persistenza più lunga rispetto ai primi due calici, con una lieve nota amaricante che ricorda la nespola o la buccia del fico non troppo maturo.

Il colore più carico potrebbe far pensare all’utilizzo di uve a bacca scura, a una maggiore maturità sui lieviti, a delle uve raccolte più tardivamente, o all’assemblaggio di più annate.

La presenza al naso di composti solforati potrebbe indirizzare verso quei vitigni, tipo il sauvignon e lo chenin blanc, che hanno, nel loro corredo odoroso, soprattutto se raccolti un po’ precocemente, delle note solforate un po’ evidenti. L’assaggio potrebbe far pensare alla riconoscibilità di un vitigno, più che a una lunga permanenza sui lieviti. Sembrerebbe dosato, sicuramente più del secondo.

Quarto vino
Il naso è bizzarro e stupefacente, con note immediate di sidro, calvados e whisky torbato, lucido per scarpe e acquaragia, che evolvono poi in note fruttate di mela e pera e infine di sakè. La bocca è una spremuta di limone, vibrante, viva e succosa, con note linfatiche verdi piuttosto marcate e riconducibili alla clorofilla e al baccello dei fagiolini.

Le note eteree potrebbero essere dovute all’ossidazione, cioè al tempo trascorso sui lieviti, ma nessuno dei vini in degustazione ha una permanenza sui lieviti tale da manifestare nel vino delle note eteree; potrebbero dipendere da un assemblaggio verticale, cioè dall’unione di annate più vecchie oppure, in caso di assenza di controlli sulle pratiche produttive, da fermentazioni spontanee, uso di lieviti indigeni, scarso controllo della temperatura.

C’è talmente tanta freschezza, che il vino potrebbe essere linfatico per il clima del luogo, o per la presenza di uva bianca non troppo matura, o per l’apporto di uva rossa, anch’essa non troppo matura, che dona note verdi piuttosto marcate. Anche il secondo vino aveva una nota vegetale al naso. Non è assolutamente facile ipotizzare il tempo di permanenza sui lieviti, perché, in bocca, il vino sembra ancora un “vin claire”, mentre il naso più evoluto, potrebbe far pensare a una permanenza sui lieviti più lunga. È difficile stabilire il residuo zuccherino perché il vino è dotato di una grandissima acidità, che potrebbe mascherare la presenza di zucchero.

Spezza la degustazione dei vini, il piatto in accompagnamento proposto dallo Chef Moris La Greca che, essendo molto variopinto e contemplando l’affumicato, la frutta a guscio, le erbette con la loro parte linfatica e amaricante, il saporito/salino della salsa tonnata e del prosciutto, è risultato molto difficile da abbinare ai vini. Nicola ci ha suggerito di utilizzare vini più morbidi e remissivi, tipo il primo, ma anche il terzo, che lasciano il palcoscenico ai cibi, ma poi puliscono e resettano la bocca.

La degustazione – seconda parte

Quinto vino
Colore molto scarico. Il naso, al primo impatto, è indigeno, con qualche nota appena appena materica, scarno, deprivato, con note di lievito fresco associate a sentori minerali di polvere di cava e di gesso; dopo permanenza nel bicchiere compaiono note ossidative di anice; la complessità è latitante. La bocca è sgrassante, abbastanza fresca, con note di bicarbonato e citrato.

Il naso ci fa pensare a un vino prodotto in assenza di controllo durante la vinificazione, tipo un vino frizzante “col fondo”, piuttosto che a un metodo classico e ci fa pensare a una permanenza sui lieviti molto ridotta. Parrebbe dosato.

Sesto vino
Il colore è più marcato di quello dei precedenti. Il naso esprime note di sacchetti di lavanda essiccata, di acqua e sapone, di frutta bianca abbastanza matura, tipo il melone bianco. In bocca il vino è equilibrato e piacevole, ha più struttura di alcuni degli altri vini degustati e ha buona freschezza; è un vino trasversale, gradevole e con una bella completezza.

Il colore potrebbe far pensare alla presenza di uva nera e/o di annate vecchie nell’assemblaggio. Il fatto che sia un vino trasversale ci fa pensare che possa essere gradito e acquistato da molti consumatori e quindi prodotto in grande quantità, come avviene, ad esempio in Alsazia. È simile al primo vino, ma un po’ più voluminoso e spallato. Sembra dosato.

Settimo vino
Il colore è solo lievemente meno carico di quello del vino precedente. Il naso, al primo impatto, esprime note “champagneggianti” ed è simile al naso al quarto, con sentori di umami e di sakè, anche se espressi con maggior garbo; compaiono inoltre note agrumate e di noce. In bocca manifesta un buon corredo di acidità.

Il vino, oltre ad avere una bella nota agrumata fresca, ha anche sentori di noce e di sherry fino cioè, manifesta un‘equidistanza tra le note fresche e quelle di un’evoluzione abbastanza importante. Questa equidistanza è di solito presente negli assemblaggi verticali e non nei millesimati. Sembrerebbe inoltre avere un dosaggio assente o basso.

Ottavo vino
Al primo impatto il naso esprime note di aloe, tequila, sciroppo di mais, ammoniaca, mandorla verde e colla in stick. In bocca si percepiscono note di cereale tostato, pane di segale, fette biscottate, birra ambrata e legumi secchi. È un vino molto strano, ancora più strano del quarto, sia al naso che in bocca.

Per le caratteristiche del vino, è difficile capire il tempo di permanenza sui lieviti, ma anche la tipologia del vitigno e la zona di provenienza.

 

Terminata la degustazione, basandoci sulle nostre riflessioni, abbiamo tentato di attribuire i vini degustati alle varie bottiglie, impresa rivelatasi alquanto ardua. Questo ci insegna una cosa importante: la seconda fermentazione è un micro-mondo che diventa, a livello sensoriale, un macro-mondo, perché trasforma letteralmente quello che è il concetto di terroir e le caratteristiche del vino base.

In conclusione, ecco l’ordine di servizio dei vini:

1) Crémant de Savoie

2) Crémant d’Alsace

3) Crémant de Loire

4) Crémant de Limoux

5) Crémant de Jura

6) Crémant de Bordeaux

7) Crémant de Bourgogne

8) Crémant de Die