L’Alta Langa di Enrico Serafino. Una storia da raccontare

Racconti dalle delegazioni
02 novembre 2022

L’Alta Langa di Enrico Serafino. Una storia da raccontare

AIS Monza ha ospitato la storia di Enrico Serafino e dell’Alta Langa grazie al racconto di Nico Conta, presidente dell’azienda piemontese, e Roberta Viotti, Sommelier e Degustatore AIS, che ha condotto la degustazione

Manuela Basaglia

La prima cosa da sapere è che Enrico Serafino si chiamava Serafino di nome ed Enrico di cognome. La seconda che Serafino Enrico non era enologo, o figlio di vignaioli; era figlio di ricchi possidenti piemontesi senza alcun legame con il mondo del vino. Ultima cosa da sapere è che il pinot nero, oggi alla base di tutte le bollicine della Enrico Serafino, non era un vitigno vincente in Alta Langa prima del 1878.
Come è possibile, allora, che oggi la Enrico Serafino sia diventata un’eccellenza in continua ascesa e che il suo nome sia indissolubilmente legato a quello di Alta Langa?
Lo racconta Nico Conta, presidente da cinque anni di questa azienda vitivinicola, partendo da un assunto che lo ha guidato per tutta la sua carriera, e che trova comunione di intenti nella storia della Enrico Serafino: per fare le cose fatte bene, devi farle bene. 

Passato e presente di Enrico Serafino

Nel 1878 approda in Italia, grazie a Carlo Gancia, il metodo champenoise: Serafino Enrico rimane affascinato dall’applicazione di un metodo che permette di creare uno champagne partendo da uve piemontesi. E vede le possibilità di questa rivoluzione attraverso gli occhi di imprenditore quale è.

Da Torino si trasferisce nel sud del Piemonte, a Canale, nella zona “dove il vino veniva bene”, con l’obiettivo di fare i vini che i contadini non potevano fare, o che i nobili facevano, ma che non vendevano. 
La prima decisione che prende è scegliere una posizione centrale nel paese per la sua cantina, per renderla facilmente raggiungibile dalla forza lavoro e dai mezzi di trasporto; compra una piccola costruzione all’inizio del paese, vicino alla ferrovia, che al suo arrivo era un pastificio (eredita, per un errore all’anagrafe, anche la licenza del pastaio). Nasce la Enrico Serafino, che produce Barolo, Barbaresco, e da subito si concentra anche sull’applicazione del Metodo Classico; i registri dell’epoca, quelli che si sono salvati, ci parlano già di pupitres e investimenti in bottiglie apposite per sostenere la pressione delle bollicine. 

La seconda decisione importante che Serafino prende è quella di avere una visione internazionale per i suoi vini: non rimane solo in Italia, ma si rivolge ai mercati internazionali con i suoi prodotti. E lo fa con grandissimi risultati: nel 1894 viene premiato ad Anversa; riceve quattro medaglie alla prima Esposizione Universale del XX secolo a Parigi nel 1900, e nel 1911 è un affermato esportatore dei suoi vini in Cina.
Quando ancora il marketing non esisteva, la Enrico Serafino vantava un dépliant stampato in quattro lingue, di cui oggi purtroppo rimane una sola copia, salvatasi dall’incendio che nel 1919 distrugge la cantina e la maggior parte dei documenti cartacei. 
Woodrow Wilson in persona, il padre della Società delle Nazioni, giunto in Piemonte dopo la Conferenza delle Nazioni a Parigi, e invitato a una cena di gala alla Filarmonica di Torino, durante la quale i vini serviti erano proprio quelli di Enrico Serafino, elogerà il grignolino di Serafino. 

Nel 1918 Serafino Enrico muore, ormai riconosciuto come un vero patriarca del vino italiano, e i suoi figli e i loro figli poi si mettono alla guida dell’azienda. Passerà in diverse mani fino all’erede con il vizio per il gioco – non può mai mancare in nessuna storia che si rispetti – che farà sì che l’azienda esca dalla proprietà per discendenza diretta. Ereditata da una famiglia di contadini arricchitisi, viene poi comprata dal Gruppo Barbero, un’azienda a proprietà familiare che viene in seguito acquista da Campari, portando la Enrico Serafino a far parte del gruppo Campari Wines.  L’approccio e i dettami della cultura industriale entrano alla Enrico Serafino, e vi rimangono anche quando nel 2014 la stessa Campari chiude la sezione Wines, e l’azienda viene acquistata dalla famiglia Krause Gentile, di cui oggi è ancora di proprietà. 


L’Alta Langa e la genesi del progetto dedicato al Metodo Classico

Oggi la Enrico Serafino vanta 25 ettari che vanno da Serralunga d’Alba passando per Canale fino all’Alta Langa, ai quali si uniscono altri 35 ettari che vengono controllati con un accordo a lungo termine. Oltre e più di questo, l’azienda è legata in maniera indissolubile al territorio dell’Alta Langa e al Consorzio dello Spumante Metodo Classico – Progetto Alta Langa stesso, essendone al suo interno un punto di riferimento imprescindibile. 

Per capire come questo sia avvenuto, Nico Conta si concentra sulla descrizione del territorio dell’Alta Langa. Il paesaggio collinare tipico di questa zona è nato quando gli Appennini hanno spinto sulle Alpi, creando un bacino chiuso su sé stesso, oggi noto come bacino terziario piemontese: il naturale isolamento di questa area ha fatto si che le sue caratteristiche rimanessero invariate nei secoli, donando ora un terreno ricoperto di fossili preistorici depositatisi sulle terre emerse un tempo ricoperte dal mare. Il terreno, ricco così di minerali e di nutrienti di origine marina, è una delle ragioni che spiegano i vini unici che qui si producono.

È proprio su questa unicità si scommette nel 1990, dopo che nel 1988 la Francia ottiene il diritto di uso esclusivo del metodo champenoise, quando il resto del mondo non francese ha bisogno di trovare un nuovo nome, che non si chiami metodo champenoise, ma che inglobi e identifichi il Metodo Classico. Alcuni decidono di legare la propria produzione al nome del territorio, come la Franciacorta (il consorzio nasce nel 1990), Trento e l’Oltrepò Pavese. 

In Piemonte si pensa di fare lo stesso, ma si parte con uno svantaggio: se da un lato qui risiedono le cantine storiche del Metodo Classico, la zona non è di vocazione del pinot nero. Alta Langa è una denominazione che nasce per genesi inversa: invece di regolamentare una produzione decennale, qui ci si mette a tavolino, e grazie a una rigorosa attività scientifica vengono scelti i cru dove andare a piantare il pinot nero, in un progetto che è a tutti gli effetti una scommessa.  Il progetto Consorzio dello Spumante Metodo Classico – Progetto Alta Langa nasce nel 1990 e ne fanno parte i grandi nome della zona, quali Cinzano, Gancia, Riccadonna, ma non Enrico Serafino.

Nel 1990 vengono selezionati 20 cru sperimentali e nel 1994 si vendemmiano i primi 4, ma i risultati non sono quelli sperati: ci si accorge che le rese sono basse, soprattutto nella trasformazione uva-vino; oltre a questo i tempi che servono per un Metodo Classico sono molto più lunghi che quelli necessari per la produzione di uno Charmat. L’investimento è troppo oneroso, e svariati grandi nomi escono dal progetto: proprio questo permette alla Enrico Serafino di entrare nel consorzio e, forte della sua storia e della sua esperienza ormai centenaria nella produzione di Metodo Classico, di prendersi sulle spalle la denominazione e fare la differenza.  

Gli investimenti sono parecchi, grazie anche al sapiente lavoro dell’enologo Gianni Malerba: un database costantemente aggiornato di valutazione di performance, una library di vini di riserva, lieviti solo selezionati, 56 parcelle e 29 giorni dedicati alla vendemmia fanno si che questa azienda vitivinicola vanti uno degli assortimenti dei più vari in Alta Langa, e che alcuni suoi prodotti siano diventati paradigmi della denominazione. Un logo, che è una sezione di un fossile del terziario piemontese, per ricordare con ogni bottiglia il valore del territorio sul quale l’azienda poggia. 

Insieme agli altri tre grandi nomi rimasti nel Consorzio – Gancia, Fontana Fredda e Banfi – ottiene in meno di 20 anni la DOCG (2011, 2002 la DOC). Oggi il disciplinare Alta Langa è uno dei più rigorosi al mondo: solo pinot nero e Chardonnay dal 90 al 100%, designati comuni in tre sole provincie (Alessandria, Asti e Cuneo), vigneti a giacitura esclusivamente collinare dai 250 metri s. l. m. a salire, con una densità di impianto inferiore ai 4.000 ceppi per ettaro. In ambito di vinificazione e designazione 65% il massimo valore di resa uva/vino (l’eccedenza sopra il 75% perde la DOCG) con un minimo di 30 mesi di permanenza sulle fecce e 36 per i vini con menzione riserva. 

Lo stesso disciplinare riporta menzione di quanto è stato nella serata il fil rouge del racconto di Nico Conta: “La sistemazione dei vigneti in aree particolarmente vocate, la grande padronanza tecnica degli operatori agricoli e la lunga esperienza enologica della Case spumantiere si sono felicemente coalizzate nel produrre vini importanti e strutturati”.

Perché “per fare le cose fatte bene, devi farle bene”.

Roberta Viotti e Nico Conta Degustazione

Roberta Viotti ha una naturale predisposizione a descrivere i vini come fossero un racconto, un viaggio in cui accompagna i partecipanti nelle sei degustazioni che vengono fatte durante la serata, guidando i presenti attraverso un vero e proprio viaggio sensoriale in ciascun calice. 

Propago Blanc de Blancs Alta Langa DOCG Metodo Classico, Extra Brut 2018
100% Chardonnay, 36 mesi sui lieviti, 12,5% vol. 

Prodotto dal 2014, è un vino cristallino, paglierino luminoso, con un naso di grande eleganza, complesso e ampio: parla di note agrumate, fiori di tiglio, accompagnate da una spiccata nota minerale. All’assaggio è sapido e fresco, con un perlage cremoso e perfettamente integrato; le note di agrume sono percettibili anche in bocca, e vi si uniscono il sentore di frutta bianca matura e una finale nota erbacea. Persistente, perfetto per un aperitivo o per accompagnare piatti di pesce.
Una curiosità: propago significa germoglio, ovvero lo spin-off 100% Chardonnay nella totalità di Pinot Nero, a cui il vigneto Alta Langa della Enrico Serafino è invece interamente votato.

Oudeis Alta Langa DOCG Metodo Classico, Brut 2018
85% Pinot nero, 15% Chardonnay, 36 mesi sui lieviti, 12,5% vol. 

È il primo Alta Langa prodotto dalla Enrico Serafino, il più “vecchio”. Ha un colore giallo paglierino con riflessi dorati, dal perlage fine e persistente.  Al naso risulta austero, con sentori di fiori gialli, frutta a polpa bianca, agrume, note erbacee e silvestri, e una finale nota minerale carica.
In bocca è complesso, verticale ed asciutto, con sentori di agrumi, elegante e intenso, dalla ricca struttura e dal lungo retrogusto minerale. Ottimo come aperitivo, consigliato con piatti a base di pesce e crostacei e a tutto pasto.

Parcellaire Alta Langa Metodo Classico DOCG, Extra Brut 2018
95% Pinot Nero, 5% Chardonnay, 36 mesi sui lieviti, 12,5% vol. 

Vino dal colore giallo dorato, brillante. Al naso i profumi sono delicati, con sentori di frutta a polpa bianca come la pesca e il pompelmo, accompagnati da una spiccata nota minerale e calcarea. Al palato complesso, verticale con sentori agrumati, vibrante ed elegante, dalla ricca struttura e dal lungo piacevole retrogusto. Tocco graffiante tipico delle colline di Alta Langa domato dall’assemblaggio parcellare.

Zero Alta Langa DOCG Metodo Classico Pas Dosé Blanc de Noirs 2016
100% Pinot Nero, 72 mesi sui lieviti, 12,5%

Prodotto in riduzione, proviene da vigne dai 20 ai 25 anni di anzianità. Giallo paglierino chiaro. Delizioso spumante con fine e persistente "perlage". Ampio e complesso al naso, con sentori di fiori di tiglio, miele, piccolo frutto rosso croccante spolverato di zucchero a velo, agrumi e una lievissima crosta di pane.
All’assaggio è complesso, corposo, elegante e intenso, con una struttura vibrante e un retrogusto minerale molto lungo. Ottimo come aperitivo, consigliato con crostacei.

Zero 140 Alta Langa DOCG Metodo Classico Pas Dosé, Millesimato Riserva 2009 Luna
85% Pinot Nero 15% Chardonnay, 140 mesi sui lieviti, 12,5% vol. 

Alla vista giallo paglierino con riflessi dorati, un colore carico e pieno, brillante. Al naso ampio e complesso: sentori di fiori gialli, miele, nocciole tostate, vaniglia e crosta di pane. Al palato il perlage è fine e cremoso, perfettamente integrato nella struttura del vino, con una trama vibrante e una piacevole acidità seguita da un finale minerale, e un retrogusto torbato e di nocciola. Spiccano le note evolutive elegantissime.

Bricco di Neive, Barbaresco DOCG, 2019
100% Nebbiolo, 14,5% vol. 

Rosso rubino intenso con riflessi granata, luminoso.  Ha un naso ampio, fatto di profumi eleganti, con sentori di fiori essiccati, mora, sottobosco, polvere di liquirizia, e finali nota di karkadè. In bocca è intenso, fresco, on un tannino ben presente, ma integrato e distribuito, che ben accompagna la freschezza; lungo e persistente, ha una finale nota smookey e croccante. Perfetto in abbinamento con cacciagione, arrosti, formaggi stagionati, piatti a base di tartufo bianco.