L'Alto Adige di Patrick Uccelli
AIS Monza e Brianza ospita il vignaiolo altoatesino Patrick Uccelli, patron di Ansitz Dornach a Salorno, che ci ha raccontato con passione il suo lavoro e la sua filosofia in vigna e in cantina. Insieme a lui Fabrizio Bandera, relatore AIS e profondo conoscitore della viticoltura dell'Alto Adige.
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«Chiamo i miei vini con i numeri, indicando la progressione degli imbottigliamenti, perché ogni anno non sarà mai lo stesso vino del precedente, perché io non sono lo stesso dello scorso anno e non sarò lo stesso il prossimo anno». Patrick Uccelli, vignaiolo altoatesino, patron di Ansitz Dornach a Salorno, ci ha portati a conoscere l’anima vinicola della sua terra e l’essenza del suo appassionato lavoro, accompagnato da Fabrizio Bandiera, relatore AIS e grande conoscitore ed estimatore dell’Alto Adige.
Clima e geologia in Alto Adige
Regione perlopiù di montagna, con solo il 15% del suolo coltivabile, ha due grandi valli principali: la Valle dell’Adige, con un profilo a “V” tipico delle valli scavate dai ghiacciai, e la Valle Isarco, dove i vigneti sono posti a una quota altimetrica maggiore.
Il clima è alpino, caratterizzato da inverni freddi ed estati fresche, con temperature che, nelle aree interne, non arrivano mai a picchi estremi. Importante la presenza di una buona escursione termica tra giorno e notte nel periodo di maturazione delle uve. Nelle posizioni migliori la ventilazione asciuga le uve dopo le piogge, permettendo così di ottenere uve sane.
Da un punto di vista geologico, in Alto Adige si possono identificare tre macro zone: la parte più antica, formatasi dai 500 ai 300 milioni di anni fa, è costituita da rocce metamorfiche, ossia plasmate a grande profondità da temperature e pressione, scisti e gneist emersi dopo l’orogenesi alpina che troviamo nella cresta di confine della Val Venosta e nella parte più alta della Valle Isarco. Vi è poi la parte centrale risalente a 280 milioni di anni fa: sono vulcaniti, materiale eruttato dal super vulcano che c’era nella zona di Terlano. Li troviamo da Bolzano, passando per Merano e scendendo fino a Caldaro e, in parte, in Valle Isarco. Infine, la terza macro zona è caratterizzata da sedimenti perno-giurassici formatisi 130 milioni di anni fa, che troviamo nelle creste di confine a sud della regione, che separano la Valle dell’Adige dalla Val di Non e dalla Val di Fassa.
Oltre alle vulcaniti sono inoltre presenti molte rocce calcaree, conseguenza di una faglia locale che, da San Michele all’Adige fino a Rodena, ha fatto scivolare materiale calcareo dalla cima delle creste di confine fino a fondovalle, la cosiddetta Linea di Trodena. Qui troviamo Salorno, primo paese che si incontra sulla destra entrando in Alto Adige, che sorge sull’antico cono di deiezione di un torrente il quale, nascendo molto in alto, poteva garantire acqua potabile alla popolazione della zona. È il quarto Comune vitato altoatesino e il primo vitigno coltivato è il pinot grigio.
Sotto c’è Dornach, dove si trova l’azienda di Patrick, che teoricamente si collocherebbe su quella fascia di calcare dovuta alla faglia; nella realtà qui ci sono tantissimi porfidi, a conferma che la maggior parte di questi suoli sono di origine vulcanica.
Le caratteristiche della viticoltura altoatesina
La viticoltura altoatesina è cambiata molto negli ultimi quindici anni, approdando oggi a vini molto territoriali e con caratteristiche diverse nelle varie zone vinicole, e con una sempre maggiore attenzione alla sostenibilità.
La produzione dei vini dell’Alto Adige numericamente è poca cosa: con circa 5800 ha vitati (in aumento negli ultimi trent’anni anni), si ha una produzione di circa 357 mila hl all’anno e 4 5milioni di bottiglie, di cui il 98% a DOP. A questi numeri si aggiunge anche una produzione spumantistica di Metodo Classico che conta circa 450 mila bottiglia all’anno. Fenomeno recente sono le cosiddette Super Cuvée, ovvero selezioni parcellari da vigne vecchie che danno qualche migliaio di bottiglie l’anno.
L’allevamento della vite in Alto Adige è diviso tra pergola e guyot. La prima è utilizzata soprattutto per le coltivazioni più tradizionali (lagrein e schiava), mentre il secondo, più moderno e con alta densità di impianto, si utilizza per la ricerca della qualità.
Attori della viticoltura altoatesina sono circa 5.000 aziende a conduzione familiare, anche se – numericamente - il 70% del vino viene ancora prodotto da cantine sociali, che in totale sono 12/13 aziende medio grandi, ormai moderne e qualitative e con una connotazione che non trova quasi eguali in Italia.
Più di un centinaio sono invece i Vignaioli Indipendenti, dei quali fa parte anche Patrick, in alcuni casi ex conferitori di cantine sociali, molti dei quali sono riuniti nella Freie Weinbauem Südtirol (FWS), con una produzione che copre circa il 5% del vino dell’Alto Adige.
Il restante 25% sono le Tenute dell’Alto Adige, aziende che possono avere anche uve di proprietà ma che per la maggior parte acquisiscono le uve; di queste fanno parte le cantine più rinomate della regione.
Unica Denominazione regionale è la DOC Alto Adige, alla quale è possibile far seguire in etichetta il nome di sottozone aventi caratteristiche diverse una dall’altra. Quella che qui ci interessa è la sottozona Bassa Atesina, zona più a sud e più calda, con terreni di argilla dolomitica e sabbia.
Nel 2020 il Consorzio dei vini dell’Alto Adige ha presentato al Ministero dell’Agricoltura un fascicolo con la modifica del disciplinare della DOC Alto Adige, nel quale, tra le tante cose, c’era anche la definizione di ben 84 UGA (unità geografiche aggiuntive); un tentativo questo di valorizzare la specificità di un terroir. Una di queste è la UGA Buchholz, riferita al nome di una località che letteralmente significa “pochi”. Ha orientazione Ovest e i vitigni coltivati sono pinot bianco, pinot nero e chardonnay.
Cosa si coltiva in Alto Adige
Fino a solo trent’anni anni fa, la coltivazione dell’Alto Adige era ancora impostata secondo le esigenze dell’Impero Austro-Ungarico, che imponeva grandi vini bianchi in Germania e in Austria, demandando alle provincie più meridionali la produzione di vini rossi. La crisi dell’esportazione di vino rosso sfuso degli anni ’60 del secolo scorso, ha costretto – e di converso agevolato - i vignaioli del altoatesini a tornare alla loro vera e propria vocazione bianchista.
Oggi il vitigno più coltivato è il pinot grigio, anche se poi, paradossalmente, si fa fatica a trovarlo come vino. Grande ascesa l’ha avuta il sauvignon, così come in crescita è l’allevamento di vitigni Piwi, ibridi resistenti alle malattie fungine. Patrick Uccelli, nella sua azienda ne ha diverse varietà, tra le quali ci ha portato in degustazione il souvignier gris ed il cabernet cortis.
Il souvignier gris è un’uva dal bellissimo colore rosa, che riesce a mantenere una buona acidità anche a maturazione completa. Utilizzato come base spumante, in macerazione o in taglio con altre varietà. Il cabernet cortis, incrocio tra cabernet sauvignon e solaris, si distingue per un grande spettro di aromi, fortemente segnato da note fruttate.
La Degustazione
Mitterberg IGT souvignier gris “Cécile 40” – 2022
Vino dal colore molto particolare, dovuto a una leggera macerazione che viene portata avanti fino a fine fermentazione alcolica, ovvero 10/14 giorni.
La fermentazione viene fatta a bacca intera: per un 70% le uve vengono diraspate ma non pigiate per far sì che la fermentazione avvenga all’interno della bacca integra, mentre il 30% è fermentato insieme al raspo.
Le sensazioni olfattive sono dolci, con note di frutta a polpa verso la confettura e la gelatina, ma con rimandi anche freschi e agrumati. Arrivano anche accenni di caramelle al miele ed erbe aromatiche, per un naso molto accogliente. L’ingresso in bocca è avvolgente, con la presenza di una leggera tannicità. Sul finale emerge una delicata salinità. Nel complesso un vino molto equilibrato e di grande piacevolezza.
Vino rosso “Cécile 46” - 2022
Il secondo vino da vitigno Piwi, il cabernet cortis, si presenta nel bicchiere in una veste porpora, con buona massa colorante, bella profondità e bella vivacità.
Al naso si approccia timido, con sentori di frutti di bosco freschi, mirtillo e mora ed un leggerissimo sottobosco asciutto. Arriva anche una delicata speziatura di pepe.
Il primo sorso da una sensazione di falsa dolcezza, ma poi arriva la succosità del frutto a contrastare questo primo approccio. Il tannino è leggero e ben integrato. Il finale è succoso con un deciso ritorno di mirtillo.
Come tutti i vini di Patrick, è un vino che in gioventù si esprime prima in bocca che al naso; i profumi arrivano con il tempo.
Vigneti delle Dolomiti IGT pinot grigio “Louis 39” – 2022
100% pinot grigio macerato, anche in questo caso la macerazione è utilizzata per dare delle sottolineature e non fine a sé stessa.
La fermentazione avviene per l’80% a bacca intera e per il 20% con i raspi e l’affinamento è in cemento, quindi una lavorazione del vino delicata.
Vino di un bellissimo ramato tendente al rosso, che appena portiamo al naso ci ricorda le caramelle alla mela del passato, insieme a una parte agrumata; è un agrume scuro, con ricordi di chinotto, tamarindo, una parte erbacea molto delicata e sbuffi floreali, di rosa rosa.
Nonostante sia un vino giovanissimo, in bocca dà grande piacevolezza, presentandosi con una texture raffinata, che ha presenza ma non sgarbo. Sicuramente saporito, lascia emergere nitidamente il sapore della ciliegia ed ha una grande tattilità.
Nel finale troviamo un bel gioco tra la dolcezza del frutto e la salinità.
Vigneti delle Dolomiti IGT bianco “34” – 2021
60% pinot bianco e 40% chardonnay, è uno dei vini che Patrick definisce vin de soif, termine che identifica un vino che si fa bere molto bene, un vino immediato ma non banale, da bere quotidianamente.
Generalmente per questa tipologia di vini Patrick utilizza il metodo della maturità a scalare, ovvero vendemmia solo i grappoli che hanno raggiunto la piena maturità, lasciando in pianta gli altri, che andrà poi a vendemmiare successivamente; questo gli permette di creare ed ottenere una cuvée equilibrata senza dover apportare ulteriori interventi sul vino in fase di lavorazione. Un vino questo che si regge sulla sapidità e sui ricordi affumicati.
Vigneti delle Dolomiti IGT pinot bianco “25” – 2019
Un pinot bianco riserva che, in comune con il vino precedente, ha le caratteristiche del vitigno, ma qui ha decisamente in più il volume. Un naso di grande mineralità, dove emerge un agrume dolce, giallo. Intensità più marcata, con ricordi resinosi e speziati. La prima metà di bocca è un po’ più larga, poi nel finale la fa da padrone la sapidità che quasi arriva a dare una sensazione di pizzicore, di frizzantino. Nonostante il volume, in bocca conserva un buon equilibrio e una buona freschezza.
Vigneti delle Dolomiti IGT pinot nero “Louis 38” – 2022
Pinot nero coltivato su terreno di porfido. All’aspetto un rosso leggero, ma di fatto diverso dai vin de soif di Patrick; un vino già di buona bevibilità non appena imbottigliato. La lavorazione di questo vino si differenzia dagli altri per una maggiore qualità dell’imbottigliamento, che permette di far entrare meno ossigeno nella bottiglia e di avere quindi un vino molto più aperto.
Siamo di fronte alla parte essenziale del pinot nero, declinata nella sua maggior bevibilità. Non ha un’apertura aromatica sconvolgente, ma lascia emergere la parte del chinotto, il piccolo frutto, lampone e fragola, insieme ad accenni di note erbacee. Il sorso invece è buono subito. Una tessitura che non è pressante, non è imponente, appena un po’ ruvida da stimolare la parte tattile del gusto. Ritorna in bocca il frutto saporito, marasca e ciliegia selvatica.
Vigneti delle Dolomiti IGT pinot nero “Aurelie Montagna 45” – 2022
Versione differente di un pinot nero coltivato in montagna. Una versione forse un po’ più in linea con l’idea di austerità del pinot nero che è più comune nell’Alto Adige. Sensazioni olfattive maggiormente spostate verso il frutto ed un approccio di bocca decisamente diverso. L’impronta del terreno calcareo da volume, potenza e struttura.
Mitterberg IGT pinot nero “XX” – 2015
Una concezione del pinot nero che non esiste più, dove emerge la violenza del vitigno. Grande integrità di bocca nonostante i 10 anni di vita, ancora buona freschezza e tannino di spessore. Note dolci, rimandi di sottobosco e sentori legati alla terra….. Se fosse un Borgogna sarebbe certamente un Nuits-Saint-Georges!! Un vino dal finale lunghissimo, caratterizzato da una magnifica tessitura della struttura.