L’altra Borgogna: Chablis, Côte Chalonnaise, Mâconnais e Beaujolais

Quattro serate, dieci ore di lezione, trentasei vini degustati. L’altra Borgogna è tale solo nel sentir comune, perché oltre i confini della Côte d’Or non finisce il mondo del vino, anzi: ci sono vini da scoprire, riscoprire e valorizzare, che possono rendere felici gli appassionati del buon bere. E tutto, se non bastasse, in un contesto naturale strepitoso

Giuseppe Vallone

Chablis e i suoi dintorni

Il naso è sottile e originale, di talco e polvere, ananas acerbo e leggeri sbuffi di erbe di montagna. L’assaggio ne rivela la trama purissima, all’apparenza fragile eppur dotata di grande sapidità. Un vino giocato in finezza: elegante, ma non muscolare, con un carattere smaccatamente minerale che con la sua chiusura firma i dieci mesi passati in acciaio sur lie. Alla cieca difficilmente si direbbe un sauvignon.


Armando CastagnoIl Saint-Bris Exogyra Virgula 2017 del Domaine Jean-Hugues & Guilhem Goisot è il vino d’apertura delle quattro serate dedicate a quella che viene definita come l’“altra” Borgogna. “Altra” rispetto ai fasti, alle vette incontrastate e alla gioia nel calice che sanno esprimere la Côte de Nuits e la Côte de Beaune. L’Eden di Borgogna, però, non si circoscrive alla manciata di chilometri che si stendono tra Dijon e Santenay, e in questo caso all’aggettivo va riconosciuta la funzione di attribuire a Chablis, Côte Chalonnaise, Mâconnais e Beaujolais la dignità propria dell’intera regione. Un esempio calzante è proprio l’Exogyra Virgula, un vino della piccola denominazione Saint-Bris, 133 ettari vitati su cinque Comuni a sud-est di Auxerre, su marne di epoca Kimmeridgiana e Portlandiana ricche in fossili delle piccole ostriche a cui il nome del vino rende omaggio. Un sauvignon raro, tanto prezioso quanto poco conosciuto: il perfetto esempio delle perle che è possibile trovare nell’estrema periferia del panorama borgognone.

Armando Castagno ha dedicato la prima serata a Chablis e ai suoi dintorni. Temi chiari, trattati minuziosamente: la suddivisione normativa della zona, la dettagliata illustrazione dei Premier Cru insistenti sulle rive destra e sinistra del fiume Serein, la spiegazione dei caratteri tipici delle sette parcelle costituenti l’unico Grand Cru di Chablis.


La degustazione ha ripercorso puntuale l’esposizione teorica e ha riscontrato nel calice le diverse anime dello Chablis, in un crescendo tensivo culminato nello Chablis Grand Cru Les Clos 2016 del Domaine Billaud-Simon, fine e austero, elegante e attraente, e in bocca potente e teso sulla mineralità, summa perfetta dei caratteri dei due Grand Cru degustati poco prima: il Valmur 2016 di Jean Paul & Benôit Droin e soprattutto il Les Preuses 2017 di Julien Brocard, un vino sussurrato su note di ginestra, cereali, erbe aromatiche e sabbia che in bocca ha saputo cambiare marcia e rivelarsi pieno, ricco e tridimensionale.

La Côte Chalonnaise

«Ogni tanto un giornalista entusiasta riscopre la Côte Chalonnaise (…) ma in realtà una vera e propria rinascita di questa zona della Borgogna deve ancora verificarsi». Le parole che Jasper Morris pronunciò nel 2010 aprono il secondo appuntamento dedicato alla Côte Chalonnaise, prolungamento naturale a sud della Côte d’Or, dalla quale si smarca per la diversa e più disordinata conformazione orografica.


Cinque denominazioni che Armando ha illustrato con dovizia di particolari: (a) Givry e i suoi rossi; (b) Mercurey, espressa magnificamente con il Mercurey Rouge Premier Cru Clos des Myglands 2017 del Domaine Faiveley, così nitido e algido nel suo bagaglio di frutto, tè e spezie orientali, un «naso che ti guarda negli occhi» per dirla con le parole di Armando; e poi ancora (c) Bouzeron, unico caso di Borgogna in cui il vitigno di riferimento è l’aligoté e nessun’altra uva è consentita nel disciplinare di produzione, del quale abbiamo degustato il Bouzeron Les Cordères 2017 di Paul & Marie Jacqueson, territoriale al naso e in bocca, con un assaggio che, seppur agile e non particolarmente incisivo, non ha minimamente sofferto il fatto di essere stato proposto dopo cinque vini rossi. (d) Montagny, piccola denominazione a sud dedicata esclusivamente a bianchi da chardonnay, fra i quali non si può non citare il Montagny Premier Cru Les Coères 2016 di Feuillat-Juillot, così intrigante al naso – con le sue note di cedro, pietra focaia e cereale – quanto gustoso, equilibrato e fine all’assaggio. Infine (e) Rully e i suoi vini, costruiti su pesi e contrappesi, su maturità e complessità a bilanciare acidità e salinità. Denominazione declinata sia nei rossi che nei bianchi, degustata in quest’ultima versione in due esemplari, entrambi eccellenti e tipicissimi nel loro ricondursi ai caratteri classici di frutta bianca, agrumi, fiori bianchi e soprattutto spezie e note pietrose.

Il Mâconnais

Due onde rocciose caratterizzano l’orogenesi del Mâconnais, zona nota per il gamay che qui trova terreni particolarmente vocati. Cinque denominazioni Regionales e altrettante di categoria Villages su 91 Comuni, per un’estensione da nord a sud di circa 52 chilometri. Un’area ricca di tradizione e dalla storia millenaria, i cui panorami sono strabilianti.


Otto i vini che Armando ci ha proposto: un Mâcon-Villages, secondo nella scala gerarchica che norma la denominazione; un Village da uve chardonnay, la cui particolare denominazione, Mâcon-Chardonnay, si deve al paesino di Chardonnay e non all’uva; e poi quattro Pouilly, tra i quali il Pouilly-Fuissé Les Birbettes 2016 di Château des Rontets, che deve il suo nome alla veneranda età delle vigne da cui è tratto, messe a dimora tra gli anni ’20 e il 1945, vino solare, elegante, fresco e pirazinico al naso come all’assaggio e il Pouilly-Loché 2016 di Jules Desjourneys, vino biodinamico, dalla struttura corazzata e compatta eppur elegantissima, che dona sensazioni di pulizia e ordine e ha una grande storia davanti a sé. In chiusura di degustazione, prima di un apprezzabile Viré-Clessé, si è impresso indelebilmente il Saint-Véran Cuvée Unique 2016 del Domaine Guffens-Heynen, per Armando uno dei più grandi bianchi di Francia: profilo olfattivo strepitoso, con un patrimonio di frutto, sale, spezia e note fumose a dar idea di un vino marmoreo e solido. L’assaggio è consequenziale e, nobilitato com’è dalla botrite, invoca a gran voce il fois gras.

Il Beaujolais

L’ultimo incontro Armando lo dedica al Beaujolais, zona al di fuori della Borgogna classica ma ad essa per vari aspetti affine. Territorio particolarmente bello dal punto di vista paesaggistico, è ancora oggi conosciuto nel mondo del vino per il suo vino novello, oltre al quale cerca faticosamente di andare. «Le Beaujolais c’est l’éclat de rire de la table» disse Louis Orizet, e di risa gioiose, quantomeno figurate, i vini della quarta serata ce ne hanno regalate assai.

In dieci assaggi, Armando ha saputo darci uno spaccato di un “piccolo mondo antico” che, al di là delle mode e dei facili richiami commerciali, si propone al consumatore con vini onesti, franchi, eleganti e dotati di insospettabile carisma e complessità.


Il Beaujolais Rouge L’Ancien Le Buissy 2015 di Jean-Paul Brun, ad esempio, ha un naso da Borgogna classica, declinato su frutta scura fresca, terra e spezie, tanto da ricordare il profilo di pinot noir non sapessimo che si tratta di un gamay in purezza. La bocca mostra una freschezza debordante che ne agevola la beva. Il Moulin-à-Vent 2015 di Philippe Pacalet, di un rubino lucente e ammaliante, ha un naso che è «una bomba di fenoli», con rimandi alla carruba e alla frutta nera, al tartufo e alla terra, tanto scuro da essere monastico. Assaggio tannico, potente e caldo. E che dire del Côte de Brouilly Cuvée Zaccharie 2017 di Claude Geoffray, declinato sulla «nota blu del metadiorite» e dotato di grande finezza e integrità di frutto, buonissimo all’assaggio, così lungo e pieno, agile e verticale. Anche se un colpo al cuore lo dà il Morgon Cuvée Corcelette 2017 di Jean Foillard, un vino a fuoco, nitidissimo nel suo quadro olfattivo di viola e gelso, incenso e saggina e altrettanto chiaro in bocca, dove sembra un vermouth tanto è giocato sulle erbe aromatiche. Un vino strabiliante per capacità d’equilibrio e per complessità.

Un’esperienza istruttiva, con Armando Castagno che ogni volta arricchisce la platea di informazioni, di curiosità, di aneddoti ma anche di risate, leggerezza, nella costante e assidua ricerca del Bello. E di Bello, nella cosiddetta “altra” Borgogna, ce n’è davvero tanto.