L’Etna – Seconda parte

Racconti dalle delegazioni
03 settembre 2025

L’Etna – Seconda parte

Il fascino e il talento dell’Etna raccontati da Giorgio Fogliani in due serate e attraverso tredici calici.

Sara Passerini

Breve storia della viticoltura etnea

La storia vitivinicola dell'Etna ha origini remote, il vulcano nacque circa 500.000 anni fa, mentre la presenza umana è attestata da circa 22.000 anni. L'introduzione e lo sviluppo della viticoltura nel Mediterraneo sono strettamente legati all'arrivo dei Greci in Sicilia intorno all'VIII secolo a.C., i quali diedero un impulso significativo a pratiche viticole probabilmente già esistenti. Successivamente, i Romani consolidarono questa attività.

L'epoca di maggiore splendore per il vino etneo è riconducibile al Basso Medioevo e ai secoli XIV e XV, periodo in cui l'estensione vitata raggiunse il suo apice. In quel contesto, la viticoltura assunse un'importanza quasi politica, culminando nella creazione della "Maestranza dei Vigneri", una corporazione di viticoltori che esercitava una notevole influenza sociale e politica. Nonostante un successivo declino, il XIX secolo fu nuovamente un periodo florido, con una superficie vitata che raggiunse i 21.000 ettari. Un dato che contrasta marcatamente con i 645 ettari registrati nel 2012, e i 1.062 ettari del 2019 (con stime attuali intorno ai 1.400). Questa contrazione è attribuibile principalmente a due fattori: l'epidemia di fillossera e la diminuzione dell'estensione delle aree vitate verso la costa. In passato, la viticoltura si spingeva fino a 200 m s.l.m., mentre oggi la viticoltura di qualità si concentra prevalentemente tra i 500 e i 1000 metri. La questione della fillossera in un contesto vulcanico merita un'analisi specifica: sebbene i terreni sabbiosi vulcanici siano noti per ostacolare la sopravvivenza dell'insetto, la fillossera giunse sull'Etna, seppur con un ritardo e una progressione più lenta, intorno agli anni '20 del Novecento. Ciò ha comportato, come in altri territori, la necessità di estirpi e reimpianti su piede americano. Si è evidenziato che, all'epoca, la scarsa conoscenza dell'insetto indusse a reimpianti massivi anche in aree dove le viti franche avrebbero potenzialmente potuto resistere.

Nonostante la notevole reputazione raggiunta a fine Ottocento per i suoi vini imbottigliati e commercializzati a livello internazionale, il Novecento fu un secolo di difficoltà per l'Etna. La creazione della DOC nel 1968 non portò immediatamente a una vasta diffusione dei vini etnei. Per molti anni, poche aziende, tra cui la pionieristica Benanti, si distinsero nel tentare di rilanciare la produzione di vini di qualità in bottiglia. Negli anni '90, si registrò un tentativo di introdurre vitigni internazionali, una tendenza comune in Italia, ma che sull'Etna non trovò un'ampia adozione. La vera svolta si è verificata all'inizio degli anni 2000 con l'arrivo dei cosiddetti "produttori forestieri". Questo fenomeno, frequente nella storia dei territori vinicoli, vede l'introduzione di nuove prospettive e capitali esterni che stimolano il tessuto produttivo locale. Nel caso dell'Etna, figure come l'italo-americano Marc De Grazia (già noto per i "Barolo Boys"), il compianto Andrea Franchetti e Frank Cornelissen, pioniere nell'esplorazione dei vini naturali sull'Etna, hanno contribuito a riaccendere l'interesse della critica e del pubblico.

Questi attori hanno innescato un processo di valorizzazione, spingendo anche i viticoltori locali a innovare. Aziende come Graci e Giuseppe Russo rappresentano la prima generazione di produttori etnei che hanno rilanciato la produzione di vini di qualità in bottiglia. Fondamentale è stato anche il contributo di Salvo Foti, considerato uno dei massimi esperti mondiali di viticoltura etnea che, dopo l'esperienza con Benanti, ha fondato la propria azienda I Vigneri, promuovendo un circolo virtuoso di scambio e collaborazione tra i produttori.

Tendenze

Negli ultimi vent’anni, il panorama vitivinicolo dell’Etna ha conosciuto una crescita straordinaria. Dal 2000 al 2024, la superficie vitata è passata da circa 345 a oltre 1400 ettari, con un incremento del 314%. Allo stesso tempo, il numero di viticoltori è aumentato fino a 474, e anche la produzione in bottiglia è più che raddoppiata, passando da 3,5 milioni nel 2013 a 7,7 milioni nel 2024. Un boom che ha trasformato l’Etna in una delle zone più dinamiche del vino italiano.

A trainare questo successo inizialmente è stato l’Etna Rosso, che ha intercettato il gusto internazionale per i rossi più leggeri, eleganti e meno estratti. Tuttavia, questo stile, sempre più diffuso, rischia oggi di portare a una certa omologazione, allontanandosi dall’identità originaria del territorio.

Negli ultimi anni, invece, si è assistito a una vera e propria riscoperta dell’Etna Bianco. Un vino che, nonostante il pedigree storico (basti pensare a Mario Soldati che già negli anni ’70 lo indicava come il vero vino etneo), era rimasto per lungo tempo marginale. La rinascita è legata a diversi fattori: la curiosità verso nuovi stili, il cambiamento nei consumi globali – con una crescita del vino bianco e una flessione di quello rosso – e il cambiamento del gusto. Se negli anni ’90 e 2000 andavano bianchi alcolici, grassi, legnosi e aromatici, oggi dominano bianchi secchi, tesi, minerali, poco fruttati e a bassa aromaticità: esattamente l’identikit dell’Etna Bianco.

Il vitigno simbolo di questa rinascita è il carricante, che ben interpreta le esigenze del mercato contemporaneo e conferisce unicità al territorio. Oltre al classico Etna Bianco, cresce anche l’interesse per la versione Superiore (prodotta solo a Milo), e si affacciano gli spumanti, mentre restano marginali l’Etna Rosato e l’Etna Rosso Riserva (che da disciplinare richiede quattro anni di affinamento in legno).

Infine, a livello strategico, cresce la pressione per espandere la DOC – sia in altezza, superando i 1000 metri, sia verso il versante ovest – mentre anche il valore fondiario dei terreni è in costante aumento.

Una tendenza riscontrabile è quella di esplorare il versante ovest (fuori dalla DOC) e il versante sud. Quest’ultimo è una zona di frontiera, poco nota ma molto interessante, e potrebbe rappresentare una delle principali linee evolutive del futuro etneo.

Questo fermento, se da un lato alimenta entusiasmo e investimenti, dall’altro pone interrogativi sulla sostenibilità del territorio e sull’identità futura dei vini dell’Etna.

Le Contrade

La revisione del disciplinare del 2001 ha introdotto le contrade, riconosciute come specifiche sottozone viticole. Queste sono porzioni di territorio che, pur potendo includere singoli vigneti con caratteristiche diverse, sono identificate e apprezzate per le loro peculiarità viticole e dei terreni. Attualmente, sono state riconosciute 133 contrade, di cui oltre il 70% si concentra sul versante nord a un’altitudine tra i 600 e i 1000 m s.l.m., il primo a essere stato oggetto di un fervore produttivo. Le contrade rappresentano un elemento chiave nella comprensione e valorizzazione della complessità del terroir etneo.

Versanti

Il versante nord si distingue per il suo carattere sobrio e affascinante, quasi austero. Cinque comuni che si estendono per circa 40 chilometri, tra i 400 e i 1000 metri di altitudine, in un corridoio naturale compreso tra il massiccio dell’Etna a sud e la catena dei Nebrodi a nord. È proprio questa barriera montuosa a schermare le piogge in arrivo da nord, rendendo il clima più asciutto e stabile rispetto al più piovoso versante orientale. Le uve maturano in condizioni leggermente più precoci, favorendo vini profondi ma nitidi, capaci di coniugare struttura e freschezza. I comuni principali coinvolti sono Randazzo, Castiglione di Sicilia, Linguaglossa, Piedimonte Etneo e, al limite occidentale, Bronte. Randazzo è anche il cuore pulsante dell’area, un borgo interamente costruito in pietra lavica. 81 delle 133 contrade trova casa sul versante nord. Attraversando la statale 120, che taglia orizzontalmente il versante, si percepisce chiaramente quanto questo tratto di Etna sia unico nel suo genere. I vini che ne nascono – in particolare da nerello mascalese – riflettono questa complessità: meno esuberanti rispetto ad altre zone, ma profondi, minerali, spesso attraversati da una trama tannica affilata e da una vibrante eleganza.

Il versante est è uno dei più importanti dal punto di vista storico e viticolo. È il più vicino al mare, e per questo è stato tra i primi a svilupparsi: da qui i vini si imbarcavano verso il resto del Mediterraneo. La vicinanza con il mare era così stretta che si racconta di una vecchia abitudine dei vignaioli di Milo, che scendevano a valle per barattare il vino con il pesce.

Dal punto di vista climatico, il versante est è quello che riceve le precipitazioni più abbondanti, con piogge annue che possono superare i 1.500 mm, valori quasi impensabili per la Sicilia. Questo è dovuto alla particolare conformazione geografica: il versante est è molto più ripido rispetto al nord, e non beneficia della protezione dei Nebrodi. Inoltre, è esposto all’umidità che risale dal mare e si scontra con l’aria fredda in arrivo dai rilievi interni, creando instabilità e piovosità elevate. Le maturazioni qui sono più tardive e l’uva carricante trova proprio in questa zona la sua elezione, in particolare nel comune di Milo, dove è protagonista dell’Etna Bianco Superiore. Il disciplinare impone qui almeno l’80% di carricante, a conferma della sua perfetta adattabilità al microclima locale. La forte escursione termica e i suoli sabbiosi e ricchi di lapilli aiutano le piante a reggere bene le piogge, senza compromettere l’equilibrio vegetativo. Il versante est è composto da una serie di comuni, tra cui Sant’Alfio, Milo, Zafferana Etnea, Santa Venerina, Viagrande, Trecastagni, Aci Sant’Antonio e Mascali. In totale, sono riconosciute 46 contrade rivendicabili, di cui ben 8 si trovano nel solo comune di Milo. Alcune di queste stanno diventando sempre più riconoscibili anche in etichetta: Caselle, probabilmente la più nota, Rinazzo, Villagrande, e altre ancora, che cominciano ad avere una vera identità stilistica.

Dal punto di vista geologico, la zona è punteggiata da una serie di crateri secondari – tra cui Monte Serra, Monte Gorna, Monte Ilice, Monte San Nicolò e Monte Rosso – che arricchiscono la morfologia e la diversità dei suoli, spesso di origine più antica rispetto ad altri versanti. Giorgio considera che, volendo, si potrebbe distinguere un sotto-versante sud-est, leggermente più caldo rispetto all’est “puro”, ma sono sfumature che, seppur reali, rischiano di complicare una geografia già piuttosto articolata.

Il versante sud, che include anche il sud-ovest, è una delle aree meno conosciute ma più promettenti del vulcano. Siamo nella parte terminale della “C” rovesciata che descrive la denominazione Etna DOC, con comuni come Biancavilla e Santa Maria di Licodia che, per posizione, ricadono più propriamente sul versante sud-occidentale piuttosto che su un sud “pieno”. I comuni coinvolti nella viticoltura del sud sono Biancavilla, Santa Maria di Licodia, Belpasso, Nicolosi, Pedara, e da poco anche Ragalna, che ha sostituito Paternò per un aggiornamento amministrativo. Anche il numero delle contrade rivendicabili è minimo: appena sei, praticamente una per comune.

La viticoltura su questo versante si sviluppa a quote più elevate: si va dai 600 metri fino anche ai 1000 o 1100. Questo perché il sud è una zona più calda e asciutta, lontana dal mare e senza barriere orografiche significative che ne schermino l’irraggiamento solare. L’esposizione pienamente meridionale rende necessario salire di altitudine per bilanciare il maggiore irraggiamento e mantenere freschezza nei vini. I terreni sono spesso più ricchi di scheletro, quindi più drenanti. Si trovano anche qui delle pendenze significative e, rispetto ad altri versanti, una presenza leggermente maggiore di nerello cappuccio, il che suggerisce un’identità stilistica da approfondire.

Il versante sud è anche più urbanizzato rispetto ad altre zone dell’Etna, e questo ha storicamente limitato l’espansione della viticoltura. Tuttavia, negli ultimi anni ha attirato l’interesse di produttori importanti: è qui che Angelo Gaja, insieme ad Alberto Graci, ha dato vita al progetto IDDA (così chiamato in omaggio al soprannome che i siciliani attribuiscono proprio all’Etna), contribuendo a spostare l’attenzione mediatica e produttiva su queste pendici ancora tutte da esplorare.

La Degustazione dei vini Bianchi

Etna Bianco Superiore Contrada Volpare 2023 - Maugeri

Contrada Volpare (Milo), altitudine: 700 m s.l.m. Carricante in purezza allevato ad alberello su piccole terrazze con muretti a secco in pietra lavica, densità d’impianto: 6000 ceppi per ettaro, terreno vulcanico sabbioso, ricco di minerali. Vendemmia nella prima decade di ottobre, fermenta per il 90% in acciaio e il 10% in tonneaux di rovere francese da 500 L, con successivo affinamento sulle fecce fini per 8 mesi.

Luminoso paglierino dal naso pimpante. È profumato e vivace: ci sono la susina, la nespola, toni croccanti arricchiti da un floreale. Un vino rassicurante, costruito sulla verticalità. Dotato di una salinità sferzante, dritta, tipica di un vino semplice. Dice Giorgio: «è un’espressione ecumenica». Ha una bella acidità, coerenza ed equilibrio, ma forse è un po’ frenato dalla giovinezza.

Etna Bianco Superiore Contrada Rinazzo 2022 - Benanti

Contrada Rinazzo (Milo), altitudine: circa 800 m s.l.m. Carricante in purezza, che cresce su terreno vulcanico sabbioso, ricco di minerali, a reazione sub-acida. Le viti sono allevate ad alberello tradizionale, con il sostegno di pali di castagno, una densità d’impianto di circa 8.000 ceppi per ettaro e una resa di circa 65 q/ha. La fermentazione si svolge in serbatoi di acciaio, usando uno specifico lievito autoctono selezionato in vigna. Il vino è lasciato maturare in vasca sulle fecce nobili, con bâtonnage periodici, per 12 mesi. Dopo l’imbottigliamento, affina in bottiglia per circa 6 mesi.

Naso un po’ trattenuto, come fosse tutto sottovoce. Si presenta più austero del precedente, eppure lascia presagire una maggiore complessità; c’è un lieve sentore di miele e fiore d’arancio, la scorza di limone e appena comincia ad aprirsi rileviamo nella sua interezza il miele d’acacia e il frutto. Si tratta di un vino molto controllato nella sua fattura con un ingresso acido mentre nel gusto riporta un aroma che conduce alla pietra; notevole la freschezza, ma non monopolizzante e il finale, bello, è leggermente arso.

Etna Bianco Contrada Cavaliere 2021 - Palmento Costanzo

Contrada da Cavaliere a Santa Maria di Licodia, altitudine 950 m s.l.m., su suolo composto da sabbie vulcaniche, sassi e rocce esclusive. Carricante 100%, piante fino a 100 anni di età, allevamento ad alberello sostenuto da pali di castagno, densità d’impianto di circa 7000 piante/ha e resa di 50 q/ha. Fermentazione in acciaio con lieviti indigeni. Affinamento: 12 mesi in acciaio e tonneaux a contatto con le fecce fini seguiti da 8 mesi in bottiglia.

Avviciniamo il naso al calice e ci stupisce un’impressione di asciuttezza, un cenno di nocciola, la nespola, sensazioni di pioggia - è un ventaglio odoroso mite ma bello - un’immagine che vuole conservare qualcosa di prezioso, col passare dei minuti fa capolino una nota iodata ben intrecciata al pistacchio crudo. Bocca tridimensionale e ampia in lunghezza e in larghezza. Un bianco autorevole, ambizioso, piacevolissimo il sorso con suggestioni di cedro a chiudere.

Terre Siciliane Bianco IGT Versante Est 2023 - Eduardo Torres Acosta

Siamo nei comuni di Sant’Alfio e di Milo, a un’altitudine tra 750 e 900 m s.l.m., su terreni con sabbie fini e ceneri vulcaniche. Carricante al 90% con altri vitigni, vigne ad alberello con età di circa 80 anni, vendemmia a metà settembre. Breve macerazione di 2 giorni sulle bucce, affinamento di 10 mesi in cemento.

Il colore finalmente cambia e da paglierino luminoso si fa più fitto e pieno, un visivo che richiama all’ossidazione. Si apre su sensazioni di frutta e di fiori, il melone bianco, la camomilla e la malva in primis, ha una sensazione volatile percepibile e suggerisce un’idea di salinità, iodio. Masticabile al palato, mantiene una sua compostezza e un’ottima corrispondenza gusto-olfattiva; tornano aromi di fiori ed erbe, non manca una parte appena astringente che, intrecciata alle altre caratteristiche e soprattutto alla salinità, determina una sensazione di durezza in bocca.

Etna Bianco Millemetri 2016 - Feudo Cavaliere

Versante sud, altitudine 950-990 m s.l.m. I terreni sono composti di sabbie vulcaniche e “ripiddu”, ricchi di minerali tendenzialmente acidi, ben esposti e ventilati. Carricante in purezza proveniente in parte da un vecchissimo vigneto a piede franco e in parte da un vigneto di recente impianto. Allevamento ad alberello e cordone speronato ad alta densità d’impianto. Vendemmia a metà-fine ottobre, affinamento in vasche d’acciaio inox su fecce fini, per un anno.

Lo stile cambia ancora e qui manifesta un intento legato all’evoluzione: frutta secca tostata, sentori legati all’affumicatura, un sussurro di mela, una speziatura viva e una balsamicità di mentuccia ed eucalipto. Bellissimo dipinto odoroso che mantiene intatta l’attrattiva anche al gusto caratterizzato da un’acidità matura, da una sapidità sferzante, da una lunghezza tattile e aromatica che imprigiona i sensi nel piacere. Chiude su note linfatiche e di rabarbaro, ma sappiamo che è solo l’inizio: è un vino che pare aver molto da raccontare.

Etna Bianco Palmento Caselle 2020 - Salvo Foti

Contrada Caselle (Milo), Etna Est a 750 m di altitudine, suoli di terra vulcanica, sabbiosa con importante presenza di ripiddu (lapilli e pomice vulcanica eruttiva). Densità d’impianto 8.000 piante/ha. Carricante 100% frutto di un’accurata selezione massale fatta da Salvo Foti: il vigneto è stato impiantato con l’antichissima tecnica etnea dei “magliuoli”: una produzione diretta, senza innesto su vite americana (franco di piede). Vendemmia nella prima decade di ottobre, fermentazione con pied de cuve, affinamento in botti da 500 L per 12-15 mesi, poi 6 mesi in bottiglia. 1700 bottiglie prodotte.

L’ultimo campione in degustazione lascia tutti perplessi e sorpresi e in un qualche modo si fa divisivo. Aspetto luminoso e vivo, debutta all’olfatto su plateali note burrose. È un naso che batte il pugno sul tavolo e pretende di sedersi al tavolo dei grandi bianchi del mondo. L’esperienza odorosa - mentre la sala rumoreggia - si arricchisce di sentori di tartufo e fungo crudo, di profondità e balsamicità. L’impalcatura gustativa è coerente, il sorso è intenso, contraddistinto da una profonda acidità che ci riporta alle caratteristiche del vitigno. Sconta forse la sua giovinezza, questo prodigio nel calice, e l’impatto del legno è, al momento, un po’ sopra le righe, ma certo è un sorso pieno di promesse.