L'incontro indimenticabile con Bertrand Gautherot

AIS Monza ha accolto Bertrand Gautherot, un visionario che ha aperto nuovi sentieri nell'Aube. Oltre ai vini anche la proiezione del documentario che racconta un anno di lavoro quotidiano nella tenuta Vouette et Sorbée

Alessandra Marras

Bertrand Gautherot è un uomo che vive e respira il vino in ogni sfumatura della sua esistenza. Accolto calorosamente da AIS Monza e Brianza, accetta l'invito con una condizione: proiettare il documentario “Le Champagne a rendez-vous avec la lune” di Élie Séonnet, un'opera di 52 minuti che cattura un intero anno trascorso dal regista nella quotidianità della tenuta Vouette et Sorbée. La narrazione intreccia l'apprendistato in biodinamica di Séonnet con quello di Héloïse, figlia di Bertrand, entrambi desiderosi di comprendere questa pratica viticola ancora avvolta da un velo di perplessità. Attraverso il dialogo schietto tra il padre, sognatore sulle nuvole, e la figlia Héloïse, neolaureata alla scuola di viticoltura ed enologia di Beaune, «ancora naturalmente intrisa di un certo cartesianesimo, che, come San Tommaso, ha bisogno di vedere per credere», emerge nitidamente il profilo della visione biodinamica della Maison.

1.Vouette & Sorbée Blanc d’Argile 2020

Il primo assaggio, un puro chardonnay, arriva senza grandi descrizioni: è un’istantanea del luogo di provenienza. Vouette e Sorbée sono toponimi, ma anche eredità da preservare nel tempo. Per questo motivo, per Gautherot è imperativo che quei nomi, memoria indelebile dell’origine e faro-guida per i viaggiatori, brillino in etichetta: «è questa terra, questo "grammo di terra", che trasforma il vino in qualcosa di unico, di inimitabile».

Gautherot dice addio ai pesticidi già nel lontano 1994 e da sempre preferisce affidarsi a lieviti spontanei. La vinificazione avviene in barrique, dove il vino riposa sulle fecce fini per un periodo che permette di sviluppare profondità e complessità. Quindici mesi in bottiglia completano il processo, trasformando il vino in un'opera d'arte sensoriale che risveglia i sensi con la sua penetrante mineralità. Ogni sorso, nel finale di bocca, evoca le tracce dei suoli calcarei della vicina Chablis. Mentre il film inizia, Bertrand ci invita a scoprire un nuovo modo di vivere il vino, che celebra la terra, la famiglia e il miracolo della vita stessa.

Il linguaggio del cinema, una scelta azzeccata 

L’abile regia riesce rendere il fluire del tempo e delle stagioni, integrando il linguaggio cinematografico con la narrazione fedele del soggetto. Viaggiamo attraverso il ciclo della vita nel vigneto, dal riposo invernale, alla potatura e così via fino al raccolto; un racconto che impeccabilmente evidenzia l'importanza dei ritmi naturali e delle influenze cosmiche nella pratica biodinamica. Le immagini compongono una partitura visiva che restituisce con perfetta integrità la connessione profonda con la terra e con gli elementi naturali. Il ritmo lento e contemplativo del film consente allo spettatore di immergersi completamente nella dimensione meditativa del lavoro agricolo, catturando la bellezza e la poesia di un contesto che della consonanza fa sistema. La colonna sonora accompagna il fluire delle immagini, creando un'atmosfera emotiva e coinvolgente. 

Bertrand Gautherot: una guida lungo il sentiero meno battuto

Bertrand Gautherot è un pioniere. Certificato biologico nel 1998, al momento della conversione ha dovuto sopportare un certo ostracismo: «cadrà di faccia e ci faremo una bella risata», dicevano di lui. 

La sua scelta, infatti, era vista come un affronto: «se vuoi mettere scaglie d'oro nel tuo vino, o rompere bottiglie su uno yacht, va bene, ma se ti distingui dalla massa accettando di ridurre le quantità prodotte, questo è inquietante e allontana le persone, perché va contro una tendenza che ha visto la produzione di champagne decuplicarsi in un secolo. (...) Cambiare significa dire agli altri che sono sulla strada sbagliata», commenta Bertrand.

Lapalissiane le motivazioni che lo hanno spinto verso una trasformazione radicale. Ereditata dal padre una gestione che prevedeva, come nella più grande maggioranza dei casi, la via “semplificata” degli erbicidi, si rende conto di vivere all’interno di una assurda contraddizione: per bagnare “il suo bambino” utilizzava un’acqua che proveniva da una falda acquifera quotidianamente contaminata dalle pratiche inadeguate di lui e degli altri viticoltori della zona. Ecco che allora la biodinamica, con il suo approccio che mira a creare un sistema agricolo sostenibile, gli appare la scelta perfetta per sé stesso e per le sue viti.

Scorrono le immagini sul fluire placido delle ore del giorno, seguiamo Bertrand intento alla raccolta manuale dello sterco di mucca, elemento fondamentale per il compostaggio, da lui definito come «la prima effettiva fermentazione dello champagne», un nutrimento essenziale per i suoli che di fatto sono molto poveri; la raccolta manuale del letame consente di evitare la presenza di erba e fieno, elementi che andrebbero a intralciarne l’inserimento nel corno di mucca, una delle pratiche più controverse della biodinamica. E proprio sul corno-letame e sulla mucca, si sofferma Bertrand: simbolo sacro per molte culture, con le sue corna appuntite protese verso il cielo, e con i suoi zoccoli, saldo ancoraggio alla terra, questo animale è veicolo ideale di energia cosmica; durante l'inverno, per accumulare la massima concentrazione di energie che la terra elargisce nel periodo di riposo delle piante, il corno colmo di letame viene sepolto. Riportato in superficie e opportunamente diluito, viene restituito alle vigne. In principio scettico sull’efficacia di somministrazioni in concentrazioni così minime, Bertrand ha dovuto ricredersi con i fatti.

Continua Gautherot, invitando la figlia a riflettere sul perché si possa accettare il principio di gravità, dedotto da Newton dalla semplice caduta di una mela, e rifiutare la possibilità che le piante crescano verso il sole perché attratte da una forza cosmica. Intento al travaso, si sofferma sulla scelta della forma delle anfore, sul come decida se interrarle o meno; anche qui non si tratta di ritualità, ma di saper riconoscere, attraverso l’esperienza, la soluzione più adatta per ciascun vitigno. Il pinot bianco, con la sua grassezza, predilige la maturazione in un’anfora verticale di forma appuntita; lo chardonnay al contrario, per smussare le sue durezze, meglio evolve in una forma arrotondata.

Impegnato a potare, si sofferma sul calendario lunare: «risale agli Egizi, che avevano capito che c'erano diversi giorni favorevoli per lavorare una pianta a seconda di ciò che si andava a raccogliere: il fiore, le foglie, le radici o il frutto. (...) Si pota una giovane vite, che ha bisogno di sviluppare il suo apparato radicale, scegliendo i giorni migliori per farla attecchire. Se siamo in una regione dove sappiamo che i vini sono un po' chiusi, un po' restii a esprimersi, sceglieremo un giorno fiore, perché sappiamo che i fiori sono ricchi di aromi. Se una vite fatica a fruttificare, la poteremo in un giorno di frutta». Questo non esclude il buon senso, e infatti  fronte al riscaldamento globale bisogna imparare ad adattarsi perché ogni anno la natura insegna qualcosa. In questo i viticoltori biodinamici hanno un vantaggio, non tecnico ma filosofico: «quando sei un viticoltore biodinamico, sai che perderai qualcosa ogni anno, ci sei abituato, ci convivi. Una perdita del genere è violenta, ma non è traumatica. È traumatico per chi è attaccato con cinture e bretelle alla viticoltura HVE e così via, che non sapeva cosa significasse perdere un po' e ora ha perso molto».

… È come una danza le cui note svaniscono con l’inverno. Ma non è spenta, è sottoterra.

La natura è una partitura musicale, il viticoltore il direttore d'orchestra. Ogni giorno, la vita si rigenera e la vite, rampicante, vigorosa e perseverante, cresce mai dimentica della sua essenza. Al vignaiolo spetta instaurare un legame “onesto”, dove ogni intervento è finalizzato unicamente a bilanciare i vincoli che di necessità vengono imposti. Accompagnare senza alcuna violenza, non si tratta di una battaglia, ma piuttosto di un agire in consonanza con il ritmo, la forza e l’energia che ci circondano. «Le viti si sacrificano offrendoci il frutto affinché possiamo perpetuarlo nel tempo», prosegue Bertrand. Ogni annata porta con sé una narrazione unica; l'obiettivo è restituire l'essenza del luogo e la firma di chi le ha accolte, una melodia ripetuta con infinite variazioni, il cui finale rivelerà la verità. Non esiste una ricetta perfetta, ma solo un individuo che si pone delle domande, la biodinamica rappresenta una risposta. 

Riflessioni attorno al calice

Cos’è per te la biodinamica? «È una scienza moderna a cui si aggiunge una misura vivente». Del sole la scienza ci dice tutto, è lì fermo con i pianeti che gli girano intorno, ma se parliamo di percezione dei viventi, il sole gira attorno a noi, «la mia mucca mi ha sempre detto che ogni giorno il sole sorge a est e tramonta a ovest, così come confermano tutte le piante».

Stessa cosa per l’acqua, perfettamente descrivibile in parametri scientifici, ma anche entità vivente, «casa dei miei lieviti, uno spazio vitale per degli esseri viventi che qui dovranno moltiplicarsi». L’essenzialità della componente vivente influisce anche sulla scelta della pressa: in biodinamica la pressa semi automatica consente, dopo la prima pressatura soffice, di aprire la vasca, guardare l’uva e maneggiarla, verificandone lo stato di salute; sentirne la temperatura e, valutando lo stato di incollamento delle bucce, preziose per la definizione del bouquet odoroso, percepire l’effettiva forza della pressatura. «È un po’ complicato per delle persone abituate a lavorare unicamente con apparecchi di misura che si basano sempre sugli stessi parametri di riferimento; noi lavoriamo con il vivo, inseriamo il fattore vivente ed è per questo che possiamo anche sbagliare, talvolta», sorride Bertrand. 

2. Vouette & Sorbée Fidele 2020 

100% pinot nero, non dosato, assemblaggio di 4 vigne diverse.

È cruciale evidenziare una peculiarità di questo vino: la genetica selezionata dal nonno di Bertrand proviene dalla Borgogna, precisamente da Volnay, con una selezione massale risalente al 1956. In quel periodo, la famiglia Gautherot, considerava lo champagne superfluo; ciò che realmente interessava era ottenere un vino da consumare abitualmente, per questo venne preferita una genetica diversa da quella tradizionalmente utilizzata nella Champagne. I pinot nero di radice borgognona si rivelarono estremamente espressivi al palato, con una leggera inclinazione all’ossidazione e una generosa presenza di buccia e polpa, accompagnata da un sottile retrogusto di tannino dei vinaccioli. La loro pienezza di bocca, quasi zuccherina, si rivelò dispensatrice di un concentrato di succo di alta qualità e piacevolezza. All’epoca si scelse di piantare le viti in un suolo ipercalcareo, kidmeriggiano, molto ricco di ciottoli; una combinazione di elementi ideale del cui frutto oggi si può pienamente godere il risultato. Corroborante la salivazione al sorso, dona un finale di bocca di straordinarie pulizia e distensione, arricchito da deliziosi ricordi varietali.

La degustazione è ora lasciata a un ascolto individuale e silenzioso: «ci confrontiamo con il “vivo” e pertanto anche la relazione che si instaura non può che essere individuale e, di conseguenza, differente per ciascuno».
Proseguono le domande, su come, ad esempio, gestisca il rapporto con la figlia in questa nuova gestione condivisa: «è tutto nell’ottica della normalità, perché io non faccio le cose che si facevano prima e lei non fa le stesse cose che faccio io, è l’evoluzione. La più grande fortuna che ho avuto è che mio padre ha solo unto gli ingranaggi senza mettermi i bastoni tra le ruote. Io devo avere la stessa attitudine», sorride… «più facile a dirsi che a farsi…».

3. Vouette & Sorbée Fidele 2013

Nella loro “ricerca di follia”, ciò che vorrebbero assaggiare è il gusto del suolo, la mineralità. Per arrivare a percepire questo gusto, è necessario utilizzare la parte organica, “estraibile” con una maturazione più lunga. 

Il 2013 è rimasto 8 anni sui lieviti prima della sboccatura. È un vino elegante, in cui la lieve ossidazione è mirata ad acquisire "saggezza". 

«Sentendo la lunghezza in bocca, concentrandosi sulla struttura e sulla consistenza del sorso, si avverte la mineralità e si sente questo fluido che nutre con i suoi elementi oligominerali. È un po' la ricerca del sacro Graal, dove l'estetica aromatica è meno importante rispetto al ritrovamento del proprio villaggio». 

Prelevata dalla cantina personale di Bertrand, la 2013 è una vendemmia di ottobre, mentre la 2020 è una vendemmia di agosto. Nella 2013 il mese di agosto è stato nuvoloso e umido; le uve non sono riuscite a raggiungere la giusta maturazione. Tornato il sole intorno al 10 settembre le uve si sono lentamente caricate di molecole organiche. Le radici hanno continuato a estrarre il ferro, il manganese e i carbonati; facendo sì, prosegue il nostro ospite, che nel prodotto finale, si manifestasse una delicatezza definita, come grande traguardo, da "acqua minerale". 

«Questi sono vini destinati a non esistere più con il cambiamento climatico. I suoli si riscaldano e i microrganismi, lieviti, batteri, insetti, funghi, bisognosi di acqua, diventano meno vitali; la fotosintesi avviene in maniera sempre più rapida. È importante comprendere ciò attraverso il vino, in quanto riflette la realtà climatica attuale».

4. Vouette & Sorbée Extrait 2014

2014, assemblaggio di chardonnay e pinot noir, 50 e 50 più o meno. In questo caso, 8 anni di maturazione trascorsi con tappo in sughero. Teoricamente più a “rischio” ossidazione,  dimostra invece come, il maturare a contatto con il "vivente", restituisca un profilo molto più energico e dinamico. È una cuvée che cerca di fotografare fedelmente la fecondità del millesimo. Nel mese di giugno, in fioritura, si può avere un'ottima fecondazione sul pinot nero e una cattiva sullo chardonnay, o viceversa, è sufficiente che arrivino le nuvole e che piova. La 2014 è stata un'ottima annata, facile, entrambi i vitigni si sono sviluppati in maniera ottimale e, per integrità, la scelta è ricaduta sul 50 e 50%. Per Gautherot il successo di questo champagne è la prova evidente di quanto le persone abbiano bisogno di autenticità più che di apparenza. 

«È perché ci inebria, (...) ci fa innamorare, che la ripiantiamo [la vite] in tutto il mondo. È a questo che bisogna pensare quando si fa il vino. È ciò che ci possiede».